Dal cardinale De Donatis una difesa senza pudore
Con un comunicato a nome del Vicariato di Roma, il cardinale De Donatis prova a difendere il proprio operato e a sposare una linea garantista per padre Rupnik, accusato di abusi seriali. Dopo un lungo e ingiustificabile silenzio, ecco affermazioni piene di menzogne, già smentite dai fatti accertati.
Pensavamo che il silenzio fosse scandaloso, ma le parole riescono a fare anche di peggio. Dopo 22 giorni dalle prime rivelazioni della stampa riguardo ai ripetuti abusi sessuali e psicologici commessi dall’artista gesuita padre Marko Ivan Rupnik, il cardinale vicario di Roma Angelo De Donatis ha finalmente deciso di rompere il silenzio e pubblicare un lungo comunicato a nome del Vicariato di Roma. Obiettivo: difendere il proprio operato (scaricando le eventuali responsabilità su altri) e sposare una surreale linea garantista.
Si tratta di un comunicato talmente menzognero e fuori tempo da far nascere qualche sospetto anche su chi l’ha scritto. Allora dobbiamo anzitutto ricordare che le accuse contro padre Rupnik sono state indagate dalla Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) che le ha ritenute credibili, al punto che: a gennaio 2020 è arrivata alla decisione di scomunicare il gesuita sloveno, decisione comunicata in maggio e annullata pochi giorni dopo (intervento che è di pertinenza esclusiva del Papa); una seconda indagine tra il 2020 e il 2021 non ha portato a nessuna sanzione canonica perché la CDF ha ritenuto di non dover derogare alla prescrizione (forse perché avevano visto come era finita la scomunica?). Queste circostanze sono state autorevolmente confermate dal superiore generale dei Gesuiti, padre Arturo Sosa lo scorso 14 dicembre.
Davanti a questi fatti acclarati, cosa ci dice il cardinale De Donatis? Primo: «La Diocesi di Roma (…) non era consapevole fino a tempi recenti delle problematiche sollevate». Tempi recenti? Quanto recenti? Davvero dobbiamo credere che la diocesi di Roma non sia stata avvertita ormai tre anni fa che c’era un prete che operava nella capitale sul cui capo pendeva una scomunica? E quando il 16 dicembre scorso, in un incontro del consiglio episcopale di Roma De Donatis ha affermato ai suoi confratelli che si tratta di calunnie, non aveva ancora letto nulla delle ammissioni di padre Sosa due giorni prima? E ancora: quando si dice Diocesi di Roma cosa si intende esattamente? Perché a indagare sulle denunce contro Rupnik nel 2020-2021 è stato incaricato monsignor Daniele Libanori, gesuita e vescovo ausiliare di Roma, ed è stato lui a giudicarle credibili. Libanori avrebbe dunque tenuto tutto nascosto a De Donatis? Oppure è il cardinale De Donatis, grande protettore di Rupnik, che sta mentendo spudoratamente? I fatti dicono la seconda: proprio ieri sera il sito americano The Remnant ha pubblicato il testo della lettera che una delle suore abusate ha inviato il 5 giugno scorso a 17 autorità ecclesiastiche, tra cui proprio il cardinale De Donatis, descrivendo gli abusi subiti.
Seconda questione, il cardinale vicario ci indica «una strada certa»: «Noi ministri di Cristo non possiamo essere meno garantisti e caritatevoli, di uno Stato laico, trasformando de plano una denuncia in reato. I giudizi che vediamo diffondersi da parte di molti con particolare veemenza, non sembrano manifestare né un criterio evangelico di ricerca della verità, né un criterio di base su cui si fonda ogni stato di diritto, a verbis legis non est recedendum» (non ci si può sottrarre al dettato della legge).
E qui la posizione di De Donatis si fa surreale. Parla come se ci fossero solo denunce da accertare; ma qui siamo di fronte a due giudizi definitivi, arrivati peraltro dopo quasi 30 anni di denunce silenziate in tutti i modi e da tante autorità ecclesiastiche: in Slovenia, in Italia, a Roma, tra i gesuiti. Cosa c’è di più grave di una scomunica? Se è stata annullata per sovvenuto «pentimento» - come ha detto padre Sosa – ciò non toglie che il crimine fosse stato realmente commesso. E nel secondo caso, le accuse sono state giudicate credibili ma cadute in prescrizione. E monsignor Libanori lo ha messo nero su bianco nella lettera inviata ai preti di Roma dopo l’infelice e scandalosa performance del 16 dicembre del cardinale De Donatis.
Quindi chi sarebbe a non manifestare «un criterio evangelico di ricerca della verità»? Ma come si fa ad essere così falsi e allo stesso tempo sprovveduti da non rendersi conto che lo scandalo è troppo grosso perché si pensi di potersela cavare con un comunicato pietoso pieno di menzogne e dallo spiritualismo farisaico?
In realtà, alla fine si capisce che anche a De Donatis qualche dubbio sulla possibilità di cavarsela a buon mercato deve essere venuto, perché per ogni eventualità ci tiene a ricordare che Rupnik non dipende dalla diocesi di Roma malgrado abbia «prestato numerosi e preziosi servizi di carattere ministeriale alla Chiesa di Roma». Così rimanda la palla ai gesuiti e al Dicastero per la Dottrina della Fede, e intanto si copre le spalle non escludendo, se necessario, eventuali provvedimenti contro il Centro Aletti, creatura di padre Rupnik e suo quartier generale.
Un’ultima questione va messa in risalto: il cardinale De Donatis non solo accusa di giustizialismo quanti stanno indagando e scrivendo articoli sulle malefatte di padre Rupnik, dice anche che «il Popolo di Dio» è disorientato da «questa sconcertante comunicazione, soprattutto mediatica».
E no, il Popolo di Dio, caro cardinale De Donatis, è disorientato dai pastori pervertiti e menzogneri, che pretendono di trasformare i propri peccati in virtù, e pontificano arroganti e certi della propria impunità, vanificando il lavoro e la testimonianza della stragrande maggioranza dei sacerdoti che vivono con fedeltà e sacrificio la loro missione.