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Curò il Covid, assolto dopo la delazione del collega

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L'assurda storia di Fabio Milani, medico bolognese che curò una famiglia con polmonite da Covid abbandonata dal suo medico: segnalato dal collega all'Ordine per non essersi vaccinato ha subito un processo per esercizio abusivo della professione. Oggi è stato assolto e alla Bussola dice: «Cinque anni durissimi». 

Attualità 11_03_2025

Ha subito un processo per esercizio abusivo della professione medica perché un collega delatore lo aveva segnalato all’Ordine in quanto non vaccinato. Ora, dopo tre anni, il dottor Fabio Milani può finalmente cantare vittoria. Il 20 gennaio scorso il giudice della seconda sezione penale di Bologna Stefano Levoni lo ha assolto dall’accusa di esercizio abusivo della professione medica (articolo 348 cp) ristabilendo così la sua onorabilità professionale, che in tempo di Covid sopperiva alle assenze degli altri colleghi medici.

Come quella del collega di Bologna, che lo fece denunciare per esercizio abusivo della professione mentre Milani stava visitando proprio i pazienti che quello non voleva andare a curare.

«Una vicenda drammatica ed emblematica della situazione, che molti medici hanno vissuto», commenta oggi il suo legale alla Bussola, l’avvocato Riccardo Luzi di Cesena che lo ha seguito in questa vicenda kafkiana. E paradigmatica, perché in un colpo solo condensa tutte le storture subite in pandemia: l’abbandono terapeutico a base di Tachipirina & vigile attesa, la sospensione dei medici non vaccinati e la delazione dei colleghi.

Una storia che merita di essere raccontata fin dall’inizio.

Il dottor Fabio Milani è uno stimato medico del bolognese che durante il Covid ha curato non solo i suoi pazienti, ma anche quelli degli altri medici che si rifiutavano di andare a casa a visitarli, forti della raccomandazione Tachipirina & vigile attesa delle circolari ministeriali, che oggi si cerca di nascondere o negare.

Con l’introduzione del Dl 44/2021, Milani decide di non sottoporsi alla vaccinazione e per questo nel luglio 2021 riceve una segnalazione dalla sua Asl che lo sospende da tutte quelle attività inerenti il rischio di diffusione del Sars-Cov 2. Una definizione piuttosto generica e non vincolante sulla quale torneremo nell’analisi del suo caso in tribunale.

Il 16 dicembre di quello stesso anno, Milani viene contattato da una donna di Bologna che sta male. Anche il marito e la figlia hanno gli stessi sintomi da Covid e necessitano di un medico. Il loro curante, però, per ben due volte si rifiuta di andare a casa a visitarli.

«Io a casa loro non ci metterò mai piede», avrebbe detto il medico di medicina generale secondo il verbale di accertamento dei Nas, mentre il dispositivo del giudice così recita: «Per tale ragione aveva contattato il proprio medico curante, il quale le aveva detto di prendere della Tachipirina e di vedere l’evolversi della malattia, nonostante gli fosse stata rappresentata la gravità della condizione clinica della stessa e del marito».

A quel punto entra in campo Milani, contattato grazie ai suggerimenti di alcuni conoscenti tramite il passaparola. Ricordate? In quei giorni si cercavano disperatamente medici disponibili a curare mentre i titolari di quei pazienti si facevano di nebbia e su questa vergogna sanitaria non si indagherà mai abbastanza da parte della Commissione bicamerale Covid.

Milani si reca a casa della famiglia riscontrando in tutti i tre componenti una polmonite in atto. Prescrive farmaci, tra cui il Rocefin (un antibiotico) e il Medrol (un cortisonico). È il 16 dicembre, padre, madre e figlia ringraziano e iniziano le cure. Dopo qualche giorno, terminata la prima scatola di antibiotici, la donna richiama il medico di medicina generale, lo aggiorna sulle loro condizioni e gli chiede una nuova ricetta per quei farmaci necessari per proseguire le cure.

Ma a quel punto accade l’inverosimile: il curante, saputo della visita di Milani a casa dei suoi assistiti indaga su di lui e scopre che il medico è destinatario di una segnalazione dell’Asl che lo sospende (anche se tecnicamente è un termine improprio) dalle attività di cura. In realtà, Milani non era stato ancora sospeso dall’Ordine dei medici di appartenenza, pertanto, non aveva alcuna limitazione prescrittiva e di cura. Ma il collega pensa di segnalarlo comunque all’Ordine.

Parte così il procedimento penale per esercizio abusivo della professione medica, che vedrà Milani imputato per diversi anni in un processo che non sarebbe dovuto nemmeno iniziare: «Anzi, invece di indagare quel medico per omissione di soccorso e omissione d’atti d’ufficio, sono venuti da me che sono stato l’unico che ha curato quelle persone», ha detto Milani alla Bussola aggiungendo che durante le udienze, anche la famiglia curata da lui, si è precipitata in tribunale per testimoniare a suo favore.

Una volta iniziato il processo, anche il Pm si convince dell’estraneità dei fatti di Milani e aderendo alla memoria del legale ne chiede l’assoluzione, che arriva il 20 gennaio scorso: «P.Q.M – così recitano le formule – assolve Milani Fabio dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste», come si può leggere nel dispositivo reso noto in questi giorni.

«In punta di diritto, la mossa vincente – spiega l’avvocato Luzi – è stato aver eccepito che il 16 dicembre 2021, il mio assistito non era affatto sospeso dall’esercizio della professione medica. Fino al 31 dicembre 2021, infatti, per l’applicazione della legge 44/2021 (quella che regolamentava l’obbligo vaccinale dei sanitari ndr.) era in vigore un regime di sospensione comminato dalle Asl, ma che non inibiva l’esercizio della professione. Successivamente, col Dl 172/2022 si è dato un giro di vite, chiamando in causa direttamente gli ordini professionali anche per altre professioni. Quindi Milani a quella data non era sospeso, cosa che invece accadde solo successivamente».

Il giudice gli ha dato ragione. E oggi il dottore può tirare un sospiro di sollievo: «Ha fatto bene il suo lavoro e invece di sentirsi dire “grazie” si è trovato in questa situazione drammatica», ha concluso Luzi. Mentre Milani così ha aggiunto: «È stato pesante, sono stati cinque anni di lotta, ma rifarei tutto perché ho testimoniato che il nostro dovere di medici è quello di curare, cosa che durante la pandemia purtroppo non è sempre avvenuta».



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