Cristoforo Colombo, una ricerca sfata i falsi miti
Non solo la cancel culture. Da cinque secoli è in atto un’opera per infangare l’immagine del grande esploratore. Ma una ricerca ventennale sfata i miti su di lui, dalla Terra piatta alla leggenda del povero mozzo. In realtà era un nobile, imbevuto di spirito cristiano, con una famiglia originaria del Monferrato.
Come ogni anno, attorno al 12 ottobre (ricorrenza della scoperta dell’America) va in scena una polemica grottesca e sterile contro la figura di Cristoforo Colombo. L’Ammiraglio morì nel 1506, e non fece dunque in tempo a conoscere i deliri politically correct e la cancel culture. Buon per lui, viene da pensare; meno fortunate sono le statue che raffigurano il grande navigatore, che specialmente negli Stati Uniti sono fatte vittima di ogni genere di atto vandalico, fino alla loro rimozione (come recentemente avvenuto a Pittsburgh).
La cosa singolare è che contro Colombo sembrano cospirare non soltanto i militanti woke o le autorità del potere civile: ben cinque secoli di storia hanno lavorato per infangare o modificare l’immagine di Colombo, tant’è che oggi del Navigatore che ha cambiato la storia il vasto pubblico conosce poco o niente di vero.
Una ricerca ventennale condotta dal Centro Studi Colombiani Monferrini, forte di tre convegni internazionali sul tema, cerca di sfatare i miti sorti sul grande esploratore. In primo luogo: Colombo non sarebbe stato il povero marinaio descritto dai libri di scuola. Tutto, nella storia del navigatore, indica la sua formazione universitaria (studiò all’Università di Pavia) e la sua vasta cultura umanistica; il suo matrimonio con la nobile Felipa Perestrello, le entrature dei fratelli Colombo alle corti di Portogallo, Spagna, Francia e Inghilterra e i loro agganci con i banchieri genovesi e perfino con i pontefici devono sollevare il legittimo sospetto che il buon Cristoforo non fosse il figlio di un cardatore di lana, ma un aristocratico che aveva scelto la via del mare. Via che non era inusuale per i nobili di allora.
E dunque? E dunque Colombo sarebbe appartenuto alla famiglia dei consignori di Cuccaro Monferrato, sperduto paesino oggi in provincia di Alessandria, anche se nessun documento rivela con assoluta certezza che Colombo sarebbe stato piemontese di nascita e non ligure. Anzi: molti indizi portano a supporre che i Colombo di Cuccaro siano stati costretti a spostarsi da un paese all’altro, fino a Savona (città importante nella vita del Colombo storico). Ma queste sono questioni di campanile e relativamente di poco conto. Di certo, una parte della famiglia rimase in Monferrato, e fu proprio questa dinastia monferrina che concorse all’eredità di Cristoforo quando morì l’ultimo erede maschio spagnolo, don Diego II, nel 1578. Nel 1608 il Consiglio delle Indie, suprema autorità giuridica della monarchia iberica, decretò che quella dei Colombo di Cuccaro era la famiglia dalla quale proveniva Cristoforo Colombo, ma – in quanto stranieri – non assegnò ai legittimi discendenti italiani la cospicua eredità dell’Ammiraglio.
Dunque, dalle ricerche si denota un Colombo aristocratico, “ultimo cavaliere medievale”. Un cavaliere imbevuto di spirito cristiano, desideroso di trovare tesori che potessero finanziare una crociata che liberasse la Terrasanta. Azioni poco politically correct, ma sicuramente affini ai cavalieri di allora. E lo schiavismo? Colombo era preoccupato della conversione degli indios, che difese quando possibile dagli attacchi dei suoi compagni di viaggio e dei primi conquistadores. In tutta risposta, fu calunniato e tolto di mezzo con un piccolo “colpo di stato” (Colombo era governatore delle terre da lui scoperte), infine rimandato in Spagna in catene. Crudeli persecutori, questi spagnoli della fine del XV secolo? La dominazione spagnola, passati i primi anni di vacatio legis, fu attiva nel proteggere e nel tutelare gli indios, condannando gli abusi con una produzione legislativa estranea a tutti gli altri Paesi europei. Con il risultato che le riserve indiane furono una triste realtà del mondo protestante, non dell’America latina cattolica.
Colombo inaugurò, certamente, una pagina dolorosa di conquiste e stermini; non riuscì a contenere gli abusi, e anche lui - uomo del suo tempo - non fu esente da episodi poco luminosi; ma gli eccessi dei posteri non possono essere a lui imputati. Tanto più che Colombo visse una vita di fede, a tratti quasi mistica. Fu terziario francescano, ossessionato dall’idea di essere un inviato di Dio. Il suo era un cristianesimo imbevuto di profezie e misticismo; una religiosità da marinaio, spontanea e verace perché consapevole di dovere la riuscita di ogni viaggio alla sola azione della Provvidenza. Di fronte all’attivismo della cultura laicista dell’Ottocento, la Chiesa replicò avviando la causa di beatificazione di Colombo; causa che, morto Leone XIII, venne frettolosamente sospesa.
Viene da domandarsi perché su Colombo siano circolate tante storie inverosimili, dalla bufala della Terra piatta alla leggenda del povero mozzo diventato viceré. I motivi storici sono molteplici, e vanno dalla denigrazione del Colombo cattolico al campanilismo di politici italiani come Paolo Emilio Taviani che, genovese, tirò acqua al mulino della sua città attribuendole la paternità indiscussa di Colombo. Una paternità che, invece, è oggetto di discussione: molti comuni in Italia si attribuiscono l’onore di aver dato i natali a Colombo. Molti dati conducono a Cuccaro Monferrato, dove è addirittura presente un museo, inaugurato alla presenza dei discendenti spagnoli e torinesi del grande navigatore.
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L'autore dell'articolo ha pubblicato il libro Cristoforo Colombo. Il nobile (D’Ettoris 2021), scritto in collaborazione con il Cescom (Centro Studi Colombiani Monferrini) e con il discendente italiano della famiglia Colombo, conte Giorgio Casartelli Colombo di Cuccaro.