Cristiani in Iraq: «Con Gesù Bambino non abbiamo paura!»
Il mistero del Natale illumina e rafforza la minoranza cristiana, ulteriormente ridotta dopo l’invasione dell’Isis nella terra di Abramo che è divenuta terra di persecuzione. Alla Bussola la testimonianza di suor Narjis, religiosa cattolica di rito caldeo.
Iraq, la terra di Abramo, ma anche terra di persecuzione per i cristiani; terra di minoranza per chi professa la fede in Dio. Dal rapporto diffuso nel novembre scorso dall’organizzazione Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) è stato evidenziato che, seppur rispetto ai report precedenti «il ritmo dell’esodo è molto più lento, la comunità è scesa dai circa 300.000 fedeli presenti prima dell’invasione dello Stato Islamico del 2014 ai circa 150.000 rimasti nella primavera del 2022».
Il mistero del Natale è racchiuso nella Luce; e se il buio sembra avere la meglio, per i cristiani, la parola speranza diventa ancor più luminosa, più forte, proprio quando le tenebre sembrano vincere. La Nuova Bussola Quotidiana ha voluto ascoltare, proprio nei giorni in cui la Luce del Bambino Gesù viene celebrata, una voce che in questa terra vive la propria missione.
È suor Narjis Henti, della Congregazione Figlie del Sacro Cuore di Gesù, appartenente alla Chiesa Caldea Cattolica. La sua voce è ferma, decisa, profonda: non ha paura, così come le sue consorelle, così come i cristiani che cercano di vivere la propria fede in un paese così piegato dalle guerre.
Le Figlie del Sacro Cuore di Gesù, Suor Henti, nascono proprio in questa terra, l’Iraq. Può delineare – per sommi capi – la storia, le origini, la missione della congregazione della quale fa parte?
Apparteniamo alla Chiesa caldea cattolica dell'Iraq; la congregazione è nata nel 1911 ad Araden, un villaggio del nord iracheno; nasce grazie all’ispirazione di Padre Abd Al-Ahad Raees, che è stato il nostro fondatore: da questa sua esperienza sul campo, prende vita la nostra congregazione che all’origine ha il desiderio di essere di aiuto alla Chiesa, di servizio al prossimo, soprattutto di aiuto per gli ammalati, i moribondi; nasce con l’intento di aiutare le donne ad organizzare le loro mura domestiche, ad educare i bambini. Poi, la missione della nostra congregazione è cresciuta, ovviamente; come la stessa nostra regola contempla, viviamo la missione secondo le necessità che la realtà circostante ci presenta.
Attualmente, il nostro servizio è più ampio: lavoriamo nelle parrocchie occupandoci del servizio liturgico; ma, soprattutto, la nostra missione è andata sempre più focalizzandosi sull’aspetto pedagogico: abbiamo, infatti, diverse scuole in Iraq. Abbiamo, inoltre, un centro liturgico a Bagdad e uno ad Erbil.
La storia dell’Iraq ci presenta, purtroppo, diverse pagine tragiche. Quali immagini le vengono in mente maggiormente?
Ci sono stati attacchi da parte dell’Isis che possono ritenersi infernali; attacchi in cui abbiamo vissuto momenti terribili: vittime, sangue, dolore e sofferenza. Ricordo una notte in cui le nostre chiese e le nostre comunità hanno aperto le porte a chi aveva bisogno; in una sola notte sono arrivate 5.000 famiglie depredate di tutto. Le guerre, in fondo, le abbiamo sempre vissute, ma dopo la caduta di Saddam Hussein, il tutto si è andato sempre più accentuando. È terribile pensare che si possa uccidere secondo la propria identità!
Le persecuzioni, le bombe, gli attacchi e i feriti: come si vive tutto questo alla luce della fede?
Come cristiani abbiamo sempre avuto la speranza che con Cristo siamo più forti. Nel 2006, quando sono entrata in comunità, ho sentito una chiamata molto forte per essere al servizio di questo popolo. Ho scelto di essere uno strumento che Dio può utilizzare per dare conforto e speranza. La mia vocazione non ha a che fare con la paura. Siamo ancora più forti, anche se siamo perseguitati. Mi viene in mente san Paolo, la sua Seconda Lettera ai Corinzi: «Quando sono debole, è allora che sono forte» (12,10). È questa consapevolezza che ci fa andare avanti nella nostra missione, nella nostra vocazione. La Chiesa Caldea è conosciuta nella storia come la “Chiesa del martirio”: siamo fieri di ciò che siamo! Nella nostra liturgia dei Vespri ci sono degli inni che portano il nome di Inni dei martiri; in queste preghiere chiediamo la loro intercessione per tutta l’umanità. Abbiamo, inoltre, grande considerazione di tutti gli scritti dei Padri della Chiesa, che assieme ai martiri rappresentano per noi dei veri e propri fari per condurre il nostro cammino nelle terre di persecuzione. Con loro, non abbiamo paura!
Come si prepara al Natale la popolazione cristiana nel territorio iracheno?
Il Natale è una festa di gioia! E, quindi, con gioia, ci prepariamo ad attendere il Bambino Gesù. Le nostre parrocchie sono sempre piene: le attività con i bambini ci aiutano ad attendere la nascita del Re dei re; in noi vive non il pensiero della persecuzione – che nel nostro tempo presente sta divenendo, molte volte e sempre di più, discriminazione verso i cristiani – ma un pensiero di estrema gratitudine a Dio per averci donato Suo Figlio! E noi rispondiamo a questo dono, lodando il Signore con gioia: basterebbe pensare alla nostra liturgia del tempo di Avvento; sono pagine scritte dai Padri della Chiesa, soprattutto, che ci aiutano a prepararci interiormente al Santo Natale. Il nostro breviario, in lingua aramaica, in questo tempo così importante, ci offre la possibilità di vivere – con alcune preghiere – la bellezza della nostra Chiesa, soprattutto quella delle nostre origini dal I secolo d.C.! La nostra gioia, certamente, è data dalla certezza della presenza, della vicinanza del Bambino Gesù, di Cristo, nelle nostre difficoltà quotidiane che incontriamo. A queste difficoltà noi rispondiamo con le stesse parole che l’angelo Gabriele, al momento della sua presentazione alla Vergine, aveva pronunciato: «Non temere!». Mi fa piacere, sinceramente, cogliere questa occasione per augurare a tutti, davvero a tutti, un santo Natale da vivere nella piena speranza, con cuore pronto, per abbracciare il Re della pace.