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INTERVISTA / ALIMONTI

«Crisi del gas, stiamo pagando la transizione energetica»

La guerra in Ucraina c'entra poco, la crisi energetica è figlia delle scelte politiche sbagliate dell'Europa. La dipendenza dal gas della Russia è anche frutto dell'aver detto no al carbone e al nucleare, buttando tanti soldi sulle rinnovabili che non possono essere la soluzione nel breve periodo. Una concezione ideologica della transizione energetica. E ora pagheremo anche con il razionamento dell'energia. Parla il professor Gianluca Alimonti.
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Attualità 31_08_2022

«La situazione è difficile, inevitabile il razionamento dell’energia, ma non prendiamocela con la Russia, è la conseguenza delle nostre scelte di politica energetica». Il professor Gianluca Alimonti, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e docente di Energetica all’Università degli Studi di Milano, non vede un lieto fine alla crisi energetica incombente. E l’ottimismo sfoderato dal presidente del Consiglio Mario Draghi al recente Meeting di Rimini appare come minimo fuori luogo.

Draghi sostiene che è già diminuita della metà la quota di importazione di gas dalla Russia, che quindi sarebbe già stato sostituito. Ma allora, si chiede il cittadino medio, perché i prezzi continuano a salire e si parla di razionamento come se non avessimo più il gas?
Ci sono diversi motivi: intanto il gas russo era la soluzione più economica, quindi sostituirne la metà va bene, ma il costo è più alto (per esempio dall’Algeria) o molto più alto, nel caso del gas liquido che arriva via nave e che richiede anche un investimento sui due rigassificatori, di cui parla anche Draghi. Poi, teniamo conto che dalla Russia importavamo 30 miliardi di metri cubi di gas; ne abbiamo sostituiti 15 raschiando il fondo del barile, a costi più alti come abbiamo visto; ma ne restano ancora 15 miliardi di metri cubi e, come ha avvertito la presidente della Commissione Europea Ursula von der Layen, la Russia potrebbe anche chiudere completamente i rubinetti. E a quel punto come ci si copre? Consideriamo che a questo punto abbiamo la copertura aggiuntiva per un anno, e non ci sono alternative facili.

Quindi le famiglie, che già stanno ricevendo bollette salatissime, rischiano anche il razionamento?
A questo punto il razionamento o la diminuzione forzata dei consumi mi pare inevitabile, ma il problema non è solo per il consumo domestico. Per l’industria è un disastro perché il costo dell’energia è fondamentale nei processi di produzione e con questi costi tante aziende saranno costrette a chiudere. Pensi che il prezzo del gas è aumentato ormai di 20 volte rispetto alla normalità pre-pandemia. E il prezzo dell’elettricità, che per il 40% è prodotta con il gas, è arrivato a superare i 700 euro per Mwh quando in tempi normali era su un livello di 50 euro, che per anni è stato il prezzo base della nostra economia. Rendiamoci conto che l’energia per una società è come il sangue per il corpo umano, è vitale. Un aumento dei costi del gas o dell’elettricità significa un aumento di prezzi su tutti i prodotti, a partire da quelli alimentari.

In questi giorni si parla molto di price cap, ovvero un tetto massimo da stabilire per il prezzo del gas per tutta l’Europa.
Devo dire che sono abbastanza scettico sul price cap. Se si intende un prezzo da imporre al venditore, non vedo come sia l’acquirente a poter dettare il prezzo quando – come l’Europa – è in chiara posizione di debolezza. L’Europa non ha petrolio, non ha gas, ha disperato bisogno di fonti energetiche. Se invece si intende un prezzo amministrato, in cui è lo Stato a fissare un prezzo massimo per i consumatori pur acquistando a prezzi di mercato, resta il problema di come lo Stato paghi la differenza. Nelle condizioni in cui siamo non mi sembra una strada semplice. Diverso è il discorso per l’elettricità, per cui è anche possibile un aggiustamento verso il basso cambiando alcuni criteri sulla formazione del prezzo.

Ai Paesi europei, quindi, converrebbero una soluzione rapida della crisi ucraina e il ristabilimento di un rapporto pacifico con la Russia.
Qui entriamo in un discorso di geopolitica, da cui peraltro dipendono spesso anche le scelte energetiche. E possiamo dire che l’Europa avrebbe potuto e dovuto giocare un’altra partita in questo conflitto. Però possiamo limitarci a una constatazione: la Russia oggi, come effetto delle sanzioni, vende all’Europa il 20% di quanto faceva prima dell’invasione dell’Ucraina. Ma lo vende a un prezzo molto più alto, il che paradossalmente fa sì che oggi la Russia incassi di più pur vendendo meno. Il gas che non vende all’Europa, viene venduto sottocosto a Cina e India e il resto bruciato. Cioè, se lo scopo delle sanzioni era impoverire la Russia per evitare il finanziamento della guerra con i nostri soldi, abbiamo ottenuto l’effetto opposto: ci impoveriamo noi, dando ancora più soldi alla Russia.
Ma come abbiamo già avuto modo di dire, l’impennata del costo del gas dipende in minima parte dalla guerra in Ucraina, la crisi dei prezzi è iniziata molto prima.

Quali sono le cause?
I fattori della crisi dei prezzi sono principalmente due: certamente c’è la componente del rimbalzo violento dei consumi dopo la pandemia. Ricordiamo che con la crisi economica legata alla pandemia la domanda aveva segnato una drastica riduzione, ma con il superamento dei lockdown in brevissimo tempo la domanda è tornata ai livelli precedenti, però con un mercato ancora impreparato. Ma soprattutto l’Europa paga una transizione energetica perseguita in modo ideologico, non tenendo conto della realtà europea che è di povertà delle fonti energetiche. Si è detto no al carbone, no al nucleare, si è scelta la dipendenza dal gas russo e si sono buttati molti soldi sulle rinnovabili. È il classico passo più lungo della gamba che ha provocato uno shock economico, con i prezzi delle materie prime che in Europa sono i più alti al mondo. La transizione energetica, la riduzione dei combustibili fossili, è certamente doverosa nel lungo periodo – e non per l’emergenza climatica – ma è un processo che va fatto nei dovuti modi e nei tempi necessari. Per cui l’aumento delle rinnovabili, per quanto auspicabile non può essere considerato la soluzione, men che meno nel brevissimo periodo.

Cosa si dovrebbe fare dunque?
La situazione ora è veramente molto difficile proprio perché ci siamo messi in un cul de sac. Data la chiusura decisa nei confronti della Russia, nell’immediato si può fare ben poco di più rispetto a quello che si sta facendo: diversificazione delle forniture di gas; riattivare le centrali a carbone, come sta facendo la Germania; fermare la chiusura delle centrali nucleari; e poi il razionamento energetico. Questo è inevitabile, date le circostanze. Purtroppo dovremo pagare questa situazione che abbiamo creato.