Un manuale moderno per raggiungere la sovranità energetica
Nella "geopolitica dell'energia" l'Italia è quasi sempre un vaso di coccio fra bidoni di ferro. Francesco Giubilei, con il saggio Sovranità energetica. Dagli errori della transizione ecologica alla guerra in Ucraina, spiega la situazione a non addetti ai lavori e suggerisce una strategia (la sovranità energetica) per uscire dalla crisi.
Sarebbe un errore grossolano, quello di pensare alla guerra russo-ucraina come causa scatenante di una crisi energetica. L’attuale conflitto nell’Est Europa, semmai, è una delle conseguenze degli scenari di “geopolitica dell’energia” delineatisi nell’ultimo decennio. Scenari in cui, per l’ennesima volta, l’Italia si configura come il classico vaso di coccio circondato da vasi di ferro.
Parlare di politiche energetiche è argomento oltremodo complesso, per il quale qualunque articolo giornalistico, anche lungo e approfondito, risulterebbe poco esauriente. Il saggio di Francesco Giubilei Sovranità energetica. Dagli errori della transizione ecologica alla guerra in Ucraina (Giubilei Regnani, 2022) ha il pregio di affrontare la problematica con un approccio fruibile ai non addetti ai lavori. L’analisi di Giubilei offre ampi dettagli sulla situazione energetica globale, mantenendo un buon livello di obiettività, sebbene, fin dal titolo, si faccia promotore di un indirizzo politico piuttosto esplicito.
La tesi dell’autore parte da una serie di assunti, più volte ribaditi da differenti prospettive nel corso dell’opera: l’eccessiva dipendenza italiana dall’estero sul fronte di energia e materie prime; la maggiore lungimiranza degli altri Paesi su questo stesso fronte; la necessità di una diversificazione delle fonti energetiche, secondo criteri più realistici di quelli attuali, fortemente ideologizzati; l’ostacolo rappresentato dall’ecologismo estremo, ormai istituzionalizzato, che ha impedito la realizzazione di impianti energetici che sarebbero risultati strategici per l’Italia.
Se da un lato, vista la relativa scarsità di risorse minerarie, l’Italia non può illudersi di conseguire un’indipendenza energetica tout court, dall’altro, il nostro Paese avrebbe tutte le carte in regola per conquistarsi una sovranità nel settore, sia valorizzando le proprie fonti energetiche interne, sia stringendo accordi con nuovi partner esteri. La dipendenza dal gas russo al centro dei dibattiti attuali potrebbe essere ammortizzata, incentivando, ad esempio, i giacimenti nostrani di gas naturale attualmente destinati soltanto al 4% del consumo nazionale totale (record negativo a livello europeo). Per ragioni di salvaguardia ambientale, l’Italia ha vietato l’estrazione di gas dall’Adriatico settentrionale e ha messo fine alle trivellazioni. Anche il progetto EastMed è stato accantonato, mentre l’importazione di gas liquefatto, in particolare dagli Usa, pone un problema di costi, sia sul fronte del trasporto via nave, sia per l’eterno dilemma dei rigassificatori, assai poco presenti sul nostro territorio e ancor meno utilizzati.
Il Green Deal sollecita tutti i governi dell’Unione Europea alla transizione ecologica e all’implementazione delle fonti rinnovabili. Da questo punto di vista, l’Italia meridionale rappresenta una potenziale miniera a cielo aperto, specie per ciò che riguarda il solare e l’eolico. Si pone, però, il problema dell’infiltrazione della criminalità organizzata, come pure quello dello smaltimento degli impianti nel momento in cui diventeranno obsoleti.
Rimanendo in tema di rinnovabili, se è vero che l’uso delle auto elettriche o a idrogeno (che entro il 2035 dovranno sostituire definitivamente i vecchi veicoli a motore endotermico) è a impatto ecologico zero, non altrettanto si può dire per la costruzione di ognuna delle singole nuove vetture. Al momento attuale, in cui le auto ecologiche coprono soltanto il 3% del parco auto, poi, il costo di ogni ricarica è altissimo e si pone il problema di una sua riduzione, nel momento in cui la transizione ecologica è stata imposta in modo particolarmente autoritativo, con grave discriminazione dei fruitori meno abbienti.
Giubilei smaschera inoltre alcuni paradossi di natura etica e geopolitica. Primo fra tutti: che senso ha sanzionare la Russia e boicottare il suo gas per ragioni di principio legate alla guerra, quando la maggior parte dei potenziali sostituti come partner energetici (Azerbaigian, Qatar, Congo, Angola, ecc.) non sono certo Paesi che brillano per democrazia e tutela dei diritti umani? Un discorso simile vale per la Cina, nei confronti della quale la nostra dipendenza energetica è anche superiore a quella nei confronti della Russia. Se è vero che, sia pure in ritardo, Pechino ha iniziato ad attuare una serie di politiche ecologiche, diventando il principale fornitore per l’Europa di risorse per un’energia pulita (batterie per veicoli elettrici e pannelli solari in primis), è altrettanto vero che la Cina, l’India e altri Paesi extraeuropei inquinano in misura maggiore e, avendo meno vincoli ambientali, rischiano seriamente di diventare più competitivi rispetto alle economie occidentali.
La maggior parte delle politiche energetiche attuali, vincolate agli accordi europei e a quelli internazionali sul cambiamento climatico (Parigi 2015 in particolare), penalizzano l’Italia più di ogni altro Paese, anche sul piano economico. Iniziare a diversificare i Paesi fornitori e a sfruttare le risorse interne, sfidando gli assurdi veti di un’ottusa ideologia ambientalista – non è da trascurare l’ipotesi del nucleare di nuova generazione – sarebbe il primo passo per riconquistare una posizione di primo piano, sulla scia di quanto aspirò a fare Enrico Mattei (cui Giubilei dedica un intero capitolo del saggio) a cavallo tra gli anni ’50 e ’60. Serve, però, il coraggio di sfidare gli interessi delle grandi lobby internazionali e il tabù dell’investimento in grandi opere nell’interesse della collettività e delle nuove generazioni: un coraggio che ormai manca da troppi anni.