Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
ARABIA SAUDITA

Così parlò bin Salman, amico dell'Occidente

Si è parlato molto e con ampio anticipo dell’intervista rilasciata dal principe saudita Mohammed bin Salman al The Atlantic, nel corso della sua visita negli Usa. Una volta pubblicata il 2 aprile, possiamo vedere che una cosa è certa: è un’intervista che va presa con beneficio di inventario. Ma quel che esprime è già importante.

Esteri 05_04_2018
Mohammed bin Salman

Si è parlato molto e con ampio anticipo dell’intervista rilasciata dal principe saudita Mohammed bin Salman al giornale The Atlantic, nel corso della sua visita negli Usa. Una volta pubblicata il 2 aprile, possiamo vedere che una cosa è certa: è un’intervista che va presa con beneficio di inventario. Ma quel che esprime è già importante su tre temi principali: imperialismo islamico, rapporti con i movimenti jihadisti e Israele. Su questi temi le parole del principe sono importanti.

Prima di tutto, è bene precisare che Mohammed bin Salman non è il re dell’Arabia Saudita, ma l’erede al trono. Il re è ancora, attualmente, Salman, 82 anni, vivo e lucido. Tuttavia ha già ceduto al figlio parte della responsabilità del governo del suo regno. E una volta investito di questo potere, pressoché assoluto, il giovane Mohammed ha iniziato a promuovere riforme modernizzatrici. Che hanno uno scopo in particolare: rendere l’Arabia Saudita indipendente dall’esportazione del petrolio, che per ora è la sua prevalente fonte di introiti. Non si può creare dal nulla un sistema nuovo in una monarchia assoluta che, da un punto di vista economico, è poco più di un’amministrazione di grandi riserve di petrolio. Prima che la produzione, deve cambiare la società, per permetterle di dispiegare le sue energie creative. Per questo il giovane principe reggente sta gradualmente cambiando le regole, allontanandosi dalla rigida applicazione della legge coranica. Finora, infatti, l’Arabia Saudita è più simile all’Afghanistan dei Talebani (o per certi versi anche all’Iraq sotto l’Isis) che non ai paesi musulmani più moderati.

Su questo punto si capisce bene che l’intervista deve essere presa con riserva, soprattutto quando il principe saudita dice a un attonito intervistatore, Jeffrey Goldberg, “Nella nostra religione non c’è alcuna differenza fra uomo e donna. Ci sono differenti doveri per uomini e donne. Ci sono diverse forme di uguaglianza. Nel governo saudita, le donne sono pagate esattamente come gli uomini. Abbiamo regole simili anche nel settore privato. Non vogliamo trattamenti separati per persone diverse”. Sarà. Però le donne non hanno ancora avuto il permesso definitivo di guidare. Hanno appena ottenuto l’autorizzazione di assistere a eventi sportivi. Possono andare al cinema, come gli uomini: prima del 2017 non c’erano cinema. Secondo il principe Mohammed, non ci sono regole che impongono alle donne di non uscire di casa se non accompagnate da un maschio di famiglia. Ma questa norma, probabilmente per consuetudine, viene tuttora seguita. Quando parliamo di Arabia Saudita, dunque, dobbiamo tener ben presente di quale sia la sua realtà: una monarchia assoluta, governata in base alla sharia, in cui vige una segregazione totale, non solo della donna, ma anche di tutti i non musulmani. Dove i non musulmani non possono neppure avvicinarsi fisicamente ai luoghi sacri della Mecca e di Medina. Non solo non è permesso praticare altre religioni all’infuori dell’islam, ma è anche vietato portare segni visibili della propria religione. E la pena di morte è applicata di frequente, per reati che includono anche la “stregoneria”. Anche sulla massiccia violazione dei diritti umani nello Yemen, dove l'Arabia Saudita sta guidando una coalizione sunnita in una guerra senza esclusione di colpi contro gli insorti sciiti, il principe preferisce puntualizzare ("Lo Yemen è precipitato nel 2014, non nel 2015", quando è iniziato l'intervento arabo a guida saudita) e sorvolare sui dettagli, dichiarandosi parte lesa di un grande progetto espansionista iraniano.

Detto questo, la parte interessante dell’intervista riguarda amici e nemici dell’Arabia Saudita. Per bin Salman c’è un arci-nemico che è l’Iran e due minori che sono i movimenti jihadisti sunniti (come Al Qaeda e l’Isis) e i Fratelli Musulmani. Non si stenta a capire perché gli interessi sauditi coincidano, attualmente, con quelli degli Usa e delle democrazie occidentali in senso lato. Tutti costoro, secondo il principe saudita, sono varie facce dello stesso problema: “In questo Triangolo del Male (Iran, jihadisti sunniti e Fratelli Musulmani, ndr) cercano di promuovere l’idea che il dovere di un musulmano sia quello di ripristinare il Califfato, di restaurare la mentalità da Califfato: per la gloria dell’islam vogliono costruire un impero con l’uso della forza. Ma Dio non ci ha chiesto di far ciò e nemmeno il Profeta Maometto ci ha chiesto questo. Dio ci ha chiesto solamente di diffondere il verbo. E questa missione è compiuta. Oggi, ogni uomo ha il diritto di scegliere il suo credo. In ogni paese è possibile comprare libri di religione. Il messaggio è stato consegnato. Non abbiamo più il dovere di combattere per diffondere l’islam. Ma nel Triangolo del Male, vogliono plagiare i musulmani, dicendo loro che il loro dovere di musulmani, la loro dignità di musulmani, richiede l’edificazione di un impero islamico”.

Eppure è proprio questa l’accusa che è sempre stata rivolta all’Arabia Saudita: di aver speso miliardi di petroldollari, nel corso dei decenni, per diffondere la variante più fanatica dell’islam e di aver foraggiato anche i peggiori gruppi jihadisti. Su questa accusa, il principe bin Salman fa una mezza ammissione: “Se si parla di finanziamenti che risalgono a prima del 1979, allora si parla della Guerra Fredda. Il comunismo si stava espandendo ovunque, minacciando gli Usa, l’Europa e anche noi. L’Egitto stava diventando quel tipo di regime. Noi lavorammo con chiunque potesse essere usato per liberarci dal comunismo. Fra questi c’era anche la Fratellanza Musulmana. Noi finanziammo la Fratellanza in Arabia Saudita. E anche gli Usa la finanziarono”.  Ma dopo il 1979: “Scoppiò tutto. La rivoluzione in Iran creò un regime basato su un’ideologia di puro Male. Un regime che non lavora per il popolo, ma che è al servizio di un’ideologia. E nel mondo sunnita, gli estremisti incominciarono a copiare lo stesso modello di regime”. Quindi niente più fondi all’estremismo, dopo la rivoluzione iraniana? Secondo Mohammed bin Salman, l’Arabia Saudita è stata più vittima che carnefice in questi ultimi 40 anni. Quanto ai fondi neri per gli jihadisti sunniti: “Sfido chiunque a trovare le prove che il governo saudita finanzi gruppi terroristi. Sì, ci sono persone saudite che finanziano gruppi terroristi, contro la legge saudita. Abbiamo incarcerato molte persone, non solo perché finanziavano, ma anche perché sostenevano gruppi terroristici. E una delle ragioni per cui abbiamo problemi con il Qatar è per non permettere loro di usare il loro sistema bancario per raccogliere fondi privati sauditi da destinare a organizzazioni estremiste”.

Se questi sono i nemici, Israele è diventato amico? Stranamente, la classica retorica anti-sionista tipica di tutti i leader arabi e islamici, nel principe saudita scompare completamente. Anzi, della questione ebraica arriva a dire: “Credo che ogni popolo abbia diritto di vivere in pace nella sua nazione. Credo che i palestinesi e gli israeliani abbiano entrambi diritto alla loro terra”. Secondo il negoziatore Usa per il Medio Oriente Dennis Ross, interpellato per l’occasione, nessun leader arabo, prima di questa intervista, aveva mai parlato di “diritto” degli ebrei alla loro terra. E questa è una buona notizia: forse una mediazione saudita per la questione mediorientale, stavolta, può essere veramente sincera.