Così 3 cardinali avrebbero affossato la Messa in latino
Non è noto se papa Francesco abbia mai letto il rapporto sulla Messa in latino basato sulle risposte date dai vescovi - peraltro in buona parte favorevoli - ai questionari della CDF. Per il Traditionis Custodes, Bergoglio si sarebbe invece basato su un rapporto segreto e “vendicativo” curato dai cardinali Parolin, Versaldi e Ouellet. Una ricostruzione di Diane Montagna svela il retroscena.
Avevamo già avuto modo di esprimere perplessità sulle ragioni che avrebbero portato Francesco a sopprimere il motu proprio di Benedetto XVI sulla liturgia antica (vedi qui). Nella lettera che accompagna il recente motu proprio Traditionis Custodes, il Papa aveva fatto presente che la sua drastica e ben poco misericordiosa decisione sarebbe stata motivata dalle risposte dei vescovi del mondo ai questionari inviati dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, con lo scopo di monitorare i risultati dell’applicazione nelle diverse diocesi del Summorum Pontificum.
Ricordiamo il tenore delle affermazioni di Francesco: “A distanza di tredici anni ho incaricato la Congregazione per la Dottrina della Fede di inviarVi un questionario sull’applicazione del Motu proprio Summorum Pontificum. Le risposte pervenute hanno rivelato una situazione che mi addolora e mi preoccupa, confermandomi nella necessità di intervenire. Purtroppo l’intento pastorale dei miei Predecessori, […], è stato spesso gravemente disatteso. Una possibilità offerta da san Giovanni Paolo II e con magnanimità ancora maggiore da Benedetto XVI al fine di ricomporre l’unità del corpo ecclesiale nel rispetto delle varie sensibilità liturgiche è stata usata per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni”. Francesco sottolinea ulteriormente che la sua incredibile decisione è stata presa “rispondendo alle vostre [dei vescovi, n.d.a.] richieste”.
Probabilmente, di tutte queste affermazioni, l’unica cosa che corrisponde a verità è l’invio del questionario da parte della CDF. Almeno secondo la ricostruzione dell’iter reale che avrebbe portato a Traditionis Custodes da parte della nota giornalista Diane Montagna (originale inglese e traduzione italiana a cura del blog Duc in altum).
In sostanza, la Montagna, in base a fonti proprie, avanza il dubbio di cosa effettivamente il Papa abbia considerato per prendere la sua decisione. Vi sarebbero infatti stati due rapporti “paralleli”: uno con le reali risposte dei vescovi al sondaggio, o quanto meno un riassunto fedele di tali risposte, e un altro, proveniente sempre dalla CDF, che avrebbe molto creativamente interpretato le risposte reali dei vescovi, che oltretutto stavano ancora arrivando a Roma. “Quel che è certo è che il secondo rapporto parallelo, che per quanto ne so è stato commissionato intorno al novembre 2020, fu consegnato prima di Natale. Tuttavia, a quel punto, la CDF stava ancora ricevendo ed elaborando le risposte al sondaggio, e lo fece fino a gennaio 2021. Quindi il secondo rapporto era sicuramente incompleto e probabilmente anche superficiale, data la rapidità con cui fu completato il volume di materiale da analizzare e il fatto che il materiale sia stato ricevuto in quattro o cinque lingue”, spiega Diane Montagna. La quale poi aggiunge che “in quelle regioni dove la Messa tradizionale è più diffusa (cioè Francia, Stati Uniti e Inghilterra) la situazione è molto favorevole. La CDF ha ricevuto da questi paesi risposte nel 65-75% dei casi, e oltre il 50% è stato favorevole. Ciò si sarebbe riflesso nella relazione principale”. Quella relazione che invece pare non essere mai stata presa seriamente in considerazione. La Montagna riferisce: “Fonti raccontano che durante un’udienza con il cardinale prefetto della Cdf, Ladaria, papa Francesco gli ha letteralmente strappato di mano la copia del rapporto, dicendo che lo voleva subito perché ne era curioso”. E subito dopo precisa: “Non è noto se papa Francesco abbia effettivamente letto il rapporto principale”.
Quando a febbraio di quest’anno era stata resa disponibile la sintesi delle risposte dei vescovi francesi, avevamo già fatto notare come in sostanza tali risposte fossero favorevoli al mantenimento della liturgia antica, nonostante il tentativo dell’estensore di gettare fango (vedi qui). Le nostre considerazioni di allora, come quelle della Montagna, trovano conferma nella realtà dei fatti. Il sito traditioniscustodes.info, che raccoglie conferme, modifiche e soppressioni delle Messe in rito antico nel mondo, attesta che proprio nei Paesi in cui la Messa nel rito antico è più diffusa non si sono verificate soppressioni significative, quanto piuttosto conferme o revisioni relative alle chiese ove rendere disponibile questa forma liturgica, dal momento che con il motu proprio è stato disposto che non vengano utilizzate chiese parrocchiali.
Che le risposte reali dei vescovi abbiano poco a che fare con la decisione draconiana di Francesco trova conferma anche nelle parole che monsignor Augustine Di Noia, segretario aggiunto della CDF, rilasciò quattro giorni dopo la pubblicazione di Traditionis Custodes, parole ricordate nell’articolo di Diane Montagne: “La sua [di Francesco] ragione per abrogare tutte le disposizioni precedenti in materia non si basa sui risultati del questionario, ma è stata solo provocata da essi. Il punto decisivo è sotto gli occhi di tutti: l’evidente e continuo tradimento delle intenzioni dei due pontefici che hanno permesso la celebrazione del Messale del 1962 per riportare i tradizionalisti nell’unità della Chiesa”.
Di Noia aveva scelto di rimpolpare le file di coloro che hanno deciso di non ricordare più - chissà perché - che le decisioni di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI non erano motivate solo dal desiderio di ricondurre in unità il mondo legato al rito antico, ma anche dalla stima di tale rito e dal bene che esso avrebbe potuto apportare nel contesto della grande crisi liturgica che continua ad affliggere la Chiesa. Sia come sia, Di Noia deve ammettere che le risposte inviate dai vescovi non sono la ragione del contenuto del motu proprio, riconciliandosi in questo modo con la realtà, ma facendo passare papa Francesco per un bugiardo.
La ricostruzione di Diane Montagna svela il fondamento ideologico dell’atto più divisivo della Chiesa, dalla crisi modernista in poi. Bisogna risalire alla sessione plenaria della CDF del 29 gennaio 2020. Assente il Cardinale Prefetto (Ladaria) per malattia, la sessione fu presieduta dal Segretario, mons. Giacomo Morandi; “presenti anche altri membri della CDF, tra cui il Segretario di Stato cardinale Pietro Parolin; il cardinale canadese Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi; il cardinale italiano Giuseppe Versaldi, prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica”. E pare siano stati questi tre cardinali a indirizzare la riunione sul pericolo tradizionalista, dal momento che erano giunte notizie che ben 13 mila giovani si erano iscritti all’annuale pellegrinaggio “tradizionalista” di Chartres. Bisognava mettere mano a questa anomala corrente di vita nella Chiesa degli ultimi sessant’anni.
Fatto sta che la plenaria si concluse con l’invito a “studiare attentamente l’eventuale trasferimento delle varie competenze della VI Sezione (sugli Istituti Ecclesia Dei e sulle altre materie trattate) ad altri dicasteri vaticani che si occupano di materie affini: la Congregazione per il Culto Divino, la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica […] e la Congregazione per il Clero”. Esattamente gli articoli 6 e 7 del motu proprio venturo. Se si vuole capire la motivazione decisiva di Traditionis Custodes può dunque essere utile rispolverare i classici delle passioni dell’uomo o vizi capitali, e soffermarsi in particolare sull’invidia.