Cosa insegna la musica ai funerali di Elisabetta
Tanti hanno espresso ammirazione per la solennità del rito e della musica ai funerali della regina Elisabetta. Le funzioni cattoliche di oggi non reggono il confronto, perché in pochi anni si è rasa al suolo una tradizione secolare di musica sacra, lasciando il posto alle canzonette. E la mancanza di formazione è alla radice di certe liturgie fai-da-te.
Come tutti sanno, il 19 settembre 2022 si sono svolti i funerali della regina Elisabetta dopo 70 anni di regno. Alcuni dicono che questo evento potrebbe essere stato l’evento televisivo più seguito di sempre, con più della metà della popolazione mondiale davanti allo schermo. Leggendo i commenti di tanti sui social media, era prevalente un senso di ammirazione per la solennità del rito e per l’ottima qualità della musica e un senso di vergogna per quello che abbiamo nelle nostre chiese cattoliche.
Si potrebbe dire che questa era un’occasione particolarmente speciale e quindi il tutto è stato particolarmente curato, ma chi segue queste funzioni, per esempio su YouTube, si rende conto che così non è. Inoltre, basterebbe paragonare una funzione cattolica particolarmente solenne e si capirebbe facilmente che dal confronto ne usciamo fuori proprio male.
Eppure il rito cattolico tradizionalmente offriva sia lo splendore del culto che il posto per la grande musica sacra. I musicisti di Chiesa che hanno assistito a questa cerimonia non possono che essere rimasti sconsolati pensando a quello a cui sono costretti. Ci sono voluti secoli e secoli per mettere su una tradizione venerabile nella musica sacra, ci sono voluti pochi anni per raderla al suolo. E per cosa poi? Per offrire a Dio i rimasugli delle canzonette commerciali. Perché questo è stato fatto? Perché “il popolo deve cantare”!
Ora, ovviamente ci può essere lo spazio per il canto del popolo, ma questo non dovrebbe escludere lo spazio per il coro, come i funerali della regina Elisabetta hanno dimostrato. E poi, qual è la logica in tutto questo? Si dice che non si può usare il latino a Messa (malgrado la raccomandazione del Vaticano II che per questa gente, quando conviene loro, è il Santo Graal) perché il popolo non lo conosce più, non si studia più a scuola. Ma si pretende che la gente DEVE cantare, quando potrebbe essere applicato lo stesso ragionamento di cui sopra e cioè che la gente non è educata al canto corale qui da noi. Siamo il Paese dell’opera, tutti vogliono essere solisti. In effetti la stagione d’oro della polifonia rinascimentale era fatta da solisti che sapevano combinarsi insieme. Quanto i nostri figli sono educati a scuola? Chiedete all’uomo medio di cantare qualcosa e probabilmente vi guarderà come se gli aveste chiesto di fare una colonscopia in pubblico.
Chi scrive non è tra quelli che esaltano in senso assoluto i cori inglesi, poiché essi hanno anche dei difetti. Ma onestamente, in fatto di buon gusto, ci danno una pista. Da noi continua imperterrita l’opera di autodemolizione della Chiesa che Paolo VI aveva denunciato e la liturgia viene beatamente celebrata in costume da bagno o da ciclista. E i vescovi, oltre giustamente a indignarsi, dovrebbero riflettere su come sia stato possibile che i loro preti possano avere soltanto pensato che fare una cosa del genere fosse possibile. Chi li ha formati? Chi li ha seguiti? Cosa gli hanno insegnato della liturgia?
Vanno capiti i poveri musicisti di Chiesa che si indignano e si vergognano, ma dopo decenni che sto in mezzo a queste cose gli suggerirei che non c’è proprio altro da fare che farsene una ragione, perché si continua a voler curare il paziente con la stessa medicina che lo ha fatto ammalare.