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SPONDA SUD

Cosa dobbiamo attenderci dai disordini in Tunisia

Dieci anni fa, dopo il rovesciamento del governo dell’ex presidente Ben Alì, dalla Tunisia era partita un'ondata migratoria enorme verso l'Italia. Ora, la destituzione del governo da parte del presidente Saied può dare origine a uno scontro molto duro. Cosa potrebbe accaderci?

Esteri 02_08_2021
Manifestazione a Tunisi

Dieci anni fa, il rovesciamento del governo dell’ex presidente Ben Alì, la famosa “Rivoluzione dei gelsomini” tunisina che provocò un’impennata di sbarchi di dimensioni tali che Lampedusa si ritrovò in ginocchio. Dieci anni dopo, lo spettro di una nuova grave crisi sul fronte immigrazione si fa sempre più tangibile. 

Kais Saied, attuale presidente tunisino, ha congelato le attività parlamentari e ha sciolto il governo. Un colpo di mano che avrà riflessi importanti sulla vita politica tunisina e quindi anche sull’emigrazione verso l’Italia. Il Belpaese già è in grave difficoltà nel contrasto dell’immigrazione clandestina e con il ministro dell’Interno ha ammesso di essere in allerta direttamente in Parlamento. I tunisini sono la prima nazionalità negli sbarchi  in Italia con 5852 arrivi da gennaio. E nel 2020, su 32.154 immigrati arrivati nel 2020 nel nostro Paese, 12.883 erano tunisini. 

Nel frattempo, audito al Comitato Schengen, il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Federico Cafiero de Raho, ha ammesso che negli arrivi via mare, “va acquisendo sempre più spessore il canale proveniente dalla Tunisia. E proprio la Tunisia costituisce l’origine e la provenienza di soggetti a rischio sotto il profilo del terrorismo”. Un allarme non da poco quello dell’arrivo di terroristi mescolati agli immigrati proprio dalla Tunisia. E che pure è passato sottotono. Solo per intenderci, l’attentatore di Nizza di ottobre 2020 era un immigrato tunisino che un mese prima era passato a indisturbato Lampedusa. 

La destabilizzazione del Paese attraverso la “Primavera araba”, dopo dieci anni, ha prodotto solo democrazie immature e fragili con movimenti islamisti che le hanno minate e compromesse dall’interno. Saied formalmente è un indipendente, e il suo colpo di mano, s’è già detto, pare esattamente il tentativo di sgonfiare la galassia della Fratellanza Musulmana. L’azione non è stata improvvisata, ma a lungo studiata e con le dovute garanzie anche a livello internazionale. 

Ecco che la crisi odierna della Tunisia è ancora più pericolosa. Con ogni probabilità finirà con il precipitare, il che provocherà inevitabilmente un esodo verso l’Italia. La forza di maggioranza islamista Ennahda, legata a stretto giro ai Fratelli musulmani, aveva indicato il premier destituito. Il suo leader, Ghannouchi, sta tentando di calmare la piazza smettendo di aizzare le comunità islamiche delle moschee: il monito di Saied che ha promesso una “pioggia di proiettili”, evidentemente, ha raggiunto l’obiettivo.

Eppure solo poche ore fa Ghannouchi dichiarava fuori dai denti in un’intervista al Corriere della Sera, “Siamo tutti sulla stessa barca. Noi tunisini, l’Europa, in particolare voi italiani. Se in Tunisia non sarà ripristinata la democrazia al più presto, rapidamente scivoleremo nel caos. Potrà crescere il terrorismo, la destabilizzazione spingerà la gente a partire, in ogni modo. Oltre 500mila migranti sono pronti a partire”.

Ghannouchi è lo stesso che ha passato oltre venti anni di esilioLondra - perché paladino della lotta armata nei paesi arabi, in virtù del principio di re-islamizzazione -, prima di tornare in patria dopo il crollo del regime di Ben Ali, nel 2011. E solo un anno fa, era il protagonista dei contrasti tra il governo e il partito di maggioranza. Salem Labiadh, leader del Movimento popolare nazionale, denunciava un Parlamento in balia di Ghannouchi. La pressione di Ennahda dipendeva, infatti, dal tentativo del movimento islamista di intimidire i partiti al potere per costringerli a votare contro il progetto di legge presentato dal Partito Desturiano Libero (PDL), anti-islamista, per classificare i Fratelli Musulmani come “organizzazione terroristica”. Era già quella la goccia di un vaso, che sarebbe traboccato, di una situazione politica della Tunisia sempre più instabile

Saied da mesi giudicava inconcludente l’azione politica dell’oramai passato esecutivo, da qui la mossa di prendere lui le redini in base all’articolo 80 della Costituzione tunisina. Il capo dello Stato allo stesso tempo era però cosciente che sarebbe stato impossibile procedere senza l’appoggio di esercito e polizia. Il “paracadute” politico per il presidente tunisino potrebbe essere arrivato anche dall’estero. Pare, infatti, che il Cairo stia monitorando da vicino la situazione, e che lo stallo politico abbia preoccupato non poco il presidente Al Sisi. Se la Tunisia è destabilizzata, prima dell’Italia, è l’Egitto a preoccuparsi di scongiurare la crisi: non solo per la vicinanza, ma per la posizione strategica del Paese nel Mediterraneo, oltre alla vicinanza con la Libia.

L’impressione però è che Tunisi possa diventare presto il perfetto terreno di scontro tra Il Cairo ed Ankara. Non è certo un mistero che dietro il finanziamento e l’appoggio ai Fratelli Musulmani si celi la mano della Turchia. E forse non è un caso che sia ripresa l’inchiesta, iniziata ben prima delle rivolte, sui finanziamenti esteri e illeciti al movimento islamista. La duplice condanna di Erdoğan non s’è fatta attendere e Saied ormai è nel mirino turco. 

Una posizione, quella di Ankara, a sostegno di Ennahda e contrapposta a quella de Il Cairo. Tra Egitto e Turchia le divergenze sono forti e note: sono ai ferri corti nel Mediterraneo orientale, dove si contendono lo sfruttamento delle risorse di gas. La Tunisia potrebbe rappresentare, allora, direttamente o indirettamente, una nuova puntata dello scontro regionale tra i due attori mediorientali, uno scenario simile a quello già visto in Libia. Per il momento l’aspirante sultano risulta sconfitto. Ma la partita è solo all’inizio.

E l’Italia? L’instabilità della Tunisia rappresenta una questione di sicurezza nazionale per l’Italia sia per quanto riguarda il suo fabbisogno energetico, sia per la ben nota questione dei flussi migratori illegali. Secondo i dati della compagnia petrolifera algerina Sonatrach aggiornati al primo trimestre 2021, l’Italia ha importato dall’Algeria circa il 35% del suo gas naturale dall’estero (+109% anno su anno) nel periodo gennaio-marzo. L’Algeria c’entra nella misura in cui il gas algerino arriva in Italia tramite il Transmed, attraverso il territorio tunisino. Se la Tunisia volesse, potrebbe bloccare il 35% delle importazioni di gas dell’Italia. La stabilità della Tunisia, pertanto, è fondamentale anche per la sicurezza energetica del nostro Paese.

Ma questo è solo uno dei molteplici aspetti. L’Italia è molto presente nei settori manifatturiero, energetico, costruzioni e grandi opere, bancario, trasporti, meccanico, elettrico, farmaceutico, turistico e agro-alimentare. L’Italia, da parte sua, dovrebbe farsi trovare pronta per offrire una valida alternativa ai giovani disoccupati che scelgono di affidarsi ai trafficanti di esseri umani invece che al mercato del lavoro. Ma al momento non pare pervenuta.