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avanti miei "prodi"

"Comunità democratica", si ripete l'equivoco cattodem

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Il nuovo soggetto politico dovrebbe sottolineare la presenza cattolica nel Pd. Per ora ripropone l'eterno nodo irrisolto di una fede che non oltrepassi i limiti imposti dal "pudore democratico". Credenti, ma non troppo.

Editoriali 02_01_2025
Photo LaPresse/ Matteo Secci

Tornano a far parlare di sé i cosiddetti cattolici democratici. Il 18 gennaio prossimo terranno una convention per fondare “Comunità democratica” (CD invece che DC, ha ironizzato La Verità) che dovrebbe essere finalizzata a contare di più nel Partito Democratico perché il Paese ha bisogno della cultura cattolica. Per ora si fanno i nomi di Prodi, Castagnetti, Del Rio, Stefano Lepri, Patrizia Toia, Silvia Costa, Fabio Pizzul, Francesco Russo, Paolo Ciani (Demos), Emiliano Manfredonia (Acli) e Ernesto Maria Ruffini. C’erano stati diversi segnali premonitori. Le insofferenze di Del Rio sulla vita interna al PD manifestate a più riprese, i recenti ritorni sulla scena di Romano Prodi, le dimissioni di Ruffini dall’Agenzia delle entrate, un lungo intervento di Goffredo Bettini sul dialogo tra credenti e non credenti su Libero di domenica 29 dicembre.

Finora i commenti sono stati di ordine strettamente politico e hanno riguardato per esempio se questo rialzo delle pretese cattoliche nel PD danneggerà o meno Elly Schlein, oppure se veramente costoro vogliano rimanere dentro il PD o se invece abbiano qualcosa d’altro in mente, come spera Carlo Calenda che li vorrebbe fuori da quel partito. Da parte nostra evitiamo di entrare in questo tipo di considerazioni (ci sarà il tempo per farlo se l’iniziativa prenderà forma) per proporre invece qualche altra considerazione di interesse per i cattolici.

L’idea, come accennato, è incentrata sul portare avanti nel partito la cultura cattolica. Ora, proprio qui sta il problema irrisolvibile da parte dei cattolici democratici. Quando, infatti, il cattolico democratico entra nella politica, deve dimenticare di essere cattolico per poter essere democratico. Come fa, allora, a portare la cultura cattolica in politica? Si obietta che egli non dimentica di essere cattolico, solo lo vuole testimoniare in coscienza e non in modo pubblicamente e politicamente evidente. Le luci che la fede dà alla politica le terrebbe nascoste nel suo cuore, ma con ciò non significa che le dimentichi. Tra la fede e la politica ci sarebbe una coerenza tacita, inespressa, intima. In pubblico egli userebbe solo argomenti politici, sapendo che non sono sufficienti senza la fede ma conservando questa consapevolezza nel privato.

Questa versione delle cose però non tiene sia per motivi di fondo che contingenti. La fede cattolica esige o non esige una presenza pubblica non solo tramite la mediazione delle coscienze personali ma in se stessa? Il cattolico democratico direbbe di no, ma la fede cattolica, con le sue ragioni, direbbe di sì. La vita sociale in quanto tale ha bisogno di fondamenti non disponibili, la comunità stessa ha necessità di legami più forti della Costituzione, lo spazio pubblico in sé ha bisogno di qualcosa di più solido del pluralismo delle intenzioni individuali. Senza il sostegno comunitario, le intenzioni di coscienza deviano perché il pubblico non nasce da una somma di privati. Il bene comune c’è prima delle decisioni delle coscienze e non saranno queste a costituirlo. Ma il bene comune politico è incapace di fondare se stesso senza il riferimento pubblico, e non solo delle coscienze, ad un Bene maggiore.

Oltre a questi motivi di fondo, bisogna anche considerare le attuali circostanze della politica, non solo italiana. Le leve che la politica oggi manovra riguardano la natura o l’artificio, la vita o la morte, il teismo o l’ateismo. E su queste basi intende educare e controllare le persone e i popoli. Essa pretende di riplasmare l’umano e di eliminare il divino, producendo sistemi di educazione di massa e di pianificazione dei comportamenti che penetrano anche nelle coscienze. Le stesse democrazie laiche, che si vorrebbero neutrali o perfino aperte al religioso, esprimono in realtà una irreligiosità di fondo. I cattolici sono sempre più perseguitati non solo in giro per il mondo, ma soprattutto nelle nostre democrazie. Davanti a questa sfida sarà ancora possibile ragionare in termini di presenza solo guidata dalla intimità della nostra coscienza individuale? Oppure, come diceva Del Noce, servirebbe una “risposta a sfida”?

Il cattolicesimo democratico continua da decenni a ripetersi allo stesso modo. Anche se le evidenze storiche dimostrano che questa forma di presenza di cattolici, che per rispetto della democrazia e della Costituzione devono dimenticare di essere cattolici, non ha prodotto niente di positivo. Proviamo a scorrere nuovamente i nomi citati all’inizio di questo articolo. E proviamo anche ad aggiungerne altri a nostra memoria. Non si è in grado di citare un solo fatto politico nel quale questi cattolici democratici abbiano difeso ad oltranza e con il sacrificio principi e valori indisponibili. Non è, per caso, che senza la presenza pubblica della fede, anche la coscienza individuale perde i suoi riferimenti principali?

Come si diceva, non si può dire allo stato attuale cosa sarà di questa iniziativa. Ad un altro aspetto però si può fare accenno anche ora. Oggettivamente, la situazione della Chiesa cattolica italiana di oggi, con la conduzione di questo Presidente della CEI e di questi vescovi, può essere confacente all’iniziativa politica di cui stiamo parlando. Da un lato le gerarchie sostengono che politicamente si può stare da tutte le parti, il che è già da vedere, poi però con i loro continui interventi pseudo-politici fanno capire che sarebbe meglio stare da una parte sola. Quella in cui si collocherà la nuova creatura di Comunità democratica. E anche questo sarà da vedere.



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