Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Teresa di Calcutta a cura di Ermes Dovico
UTOPIA VERDE

Come il Green Deal sta uccidendo anche il colosso Volkswagen

Ascolta la versione audio dell'articolo

La Volkswagen, colosso dell'industria automobilistica tedesca, rischia per la prima volta di dover chiudere fabbriche in Germania. Perché i costi della mobilità sostenibile stanno diventando insostenibili.

Economia 05_09_2024
Volkswagen, incontro con i sindacati (La Presse)

La Volkswagen, colosso automobilistico tedesco, è entrata in crisi e rischia di chiudere impianti di produzione in Germania, una mossa senza precedenti. Finora, la grande azienda, aveva sempre fatto di tutto, assieme ai sindacati, per salvare i posti di lavoro. Il dibattito di questa settimana su eventuali chiusure dà l’idea della gravità della crisi. C’entra, eccome, il Green Deal europeo: la Volkswagen non sarebbe così in difficoltà se non si sentisse costretta, dalle leggi, oltre che dalle circostanze, a produrre auto elettriche più costose che rendono meno. E che soccombono più facilmente alla concorrenza della Cina. E la crisi non riguarda solo la Volkswagen, ma tutto il sistema produttivo della “locomotiva d’Europa”.

«L'industria automobilistica europea si trova in una situazione molto difficile e grave», ha dichiarato il nuovo amministratore delegato Oliver Blume in un comunicato. «Il contesto economico è diventato ancora più difficile e nuovi concorrenti stanno entrando nel mercato europeo». Leggasi: concorrenti cinesi ed europei che producono in Cina.

Alla fine dell’anno scorso, pareva che l’azienda potesse salvare posti di lavoro pur tagliando i costi. A dicembre 2023, infatti, Volkswagen e sindacati avevano dichiarato di poter tagliare del 20% i costi del personale amministrativo in un programma di ristrutturazione, impegnandosi a non effettuare licenziamenti fino alla fine del 2029 e scegliendo invece il blocco delle assunzioni e un piano di pensionamento parziale al personale nato nel 1967.

Ma ora la Volkswagen sta valutando la chiusura di fabbriche di produzione di veicoli e componenti in Germania per tagliare i costi. Daniela Cavallo, capo del consiglio di fabbrica della Volkswagen, si oppone a questa mossa. «Il problema di Volkswagen – dichiara la leader sindacale di origine italiana - non sono gli stabilimenti tedeschi o i costi del personale, ma il fatto che il management non fa il suo lavoro». La Cavallo ha attribuito le scarse prestazioni del marchio a errori commerciali della dirigenza, come il rifiuto da parte dell’ex amministratore delegato Herbert Diess di considerare una maggior produzione di auto ibride. Quest'anno le auto ibride vendono di più, perché sono meno costose delle auto elettriche e comunque permettono di risparmiare sul carburante.

Un’altra causa della crisi è sicuramente l’alto costo del lavoro. Gli operai tedeschi sono quelli pagati meglio in Europa: 62 euro all’ora, contro i 29 euro di un operaio spagnolo, i 23 di un ceco e i 16 di un ungherese.

Ma prima degli errori del management e prima degli alti costi del lavoro, a monte di tutto, c’è sempre il Green Deal. Ha aumentato i prezzi dell’energia, soprattutto dopo l’interruzione del gas russo (causa invasione dell’Ucraina) e dopo la chiusura delle ultime centrali nucleari tedesche. Ma l’impatto maggiore della strategia europea è proprio sull’industria dell’auto, perché l’obiettivo di vietare il motore a scoppio entro la metà del secolo sta obbligando tutte le industrie del settore a enormi sacrifici e costosi cambiamenti. A partire dal prossimo anno, le auto Volkswagen dovranno rispettare standard di emissione europei molto più severi. L'anno scorso le emissioni di anidride carbonica della sua flotta sono state del 24,2% superiori a quelle che dovranno essere raggiunte nel 2025.

Herbert Diess aveva puntato sull’auto elettrica con nuovi veicoli come l'ID.3 e l'ID.4, ma non è andata come previsto. «Ci sono impianti dedicati ai veicoli elettrici che non producono ai livelli previsti e i costi sono fuori controllo», ha dichiarato Stephen Reitman, analista di Bernstein, citato dal Wall Street Journal. Alla fine dell’anno scorso, quando la Volkswagen aveva appena concluso l’accordo con i sindacati per non tagliare posti di lavoro, il governo tedesco ha tagliato gli incentivi per le auto elettriche: spesa insostenibile per una “mobilità sostenibile”. Il motivo della fine anticipata e imprevista di questo programma? La Corte Suprema tedesca aveva negato l’indebitamento straordinario per 60 miliardi di euro per la transizione verde.  È lo stesso motivo per cui sono aumentate anche le tasse per i combustibili agricoli, alla radice delle proteste degli agricoltori. L’altra vittima sono stati i produttori di auto elettriche che evidentemente contavano sui fondi pubblici per la crescita del loro mercato.

Nel campo dell’auto elettrica, poi, la Cina ha innegabili vantaggi: è quasi monopolista delle terre rare, è la prima produttrice al mondo di batterie al litio (quasi l'80% delle quali è prodotto in Cina) e ha costi del lavoro minimi. I produttori cinesi hanno un vantaggio sui costi che può raggiungere il 30%. Nella prima metà di quest'anno, l'EX30, auto elettrica della Volvo prodotta in Cina, ha superato le Volkswagen ID.3 e ID.4 nella classifica delle vendite in Europa. L’azienda automobilistica cinese BYD, l'anno scorso, ha superato le vendite di Volkswagen in Cina, e sta crescendo rapidamente anche in Europa. Sta costruendo un nuovo impianto in Ungheria, dove i costi del lavoro sono più bassi, e aumenta i suoi investimenti nella promozione.

Questa è una crisi che non riguarda solo la Volkswagen, appunto. È spia di un disagio che riguarda tutto il sistema produttivo tedesco, la locomotiva europea che non corre più.