Coca-Cola ai suoi dipendenti: «Chi è bianco è razzista»
Da quando sono trapelati i contenuti di un corso di formazione per i dipendenti della Coca-Cola, negli Usa è scoppiata una polemica. La seconda diapositiva spiega come «essere meno bianchi»: sii «meno oppressivo», «meno arrogante», «meno certo», «meno sulla difensiva», «meno ignorante», «più umile». Ma così si crea solo più divisione e odio nella società.
Da quando sono trapelati gli screenshot di un corso di formazione online per i dipendenti della Coca-Cola, negli Usa è scoppiata una polemica che va ingrossandosi ora dopo ora. «Cerca di essere meno bianco», così recita una slide del corso, 49 minuti di ideologia pura in cui risulta in tutta evidenza come il pendio scivoloso del politicamente corretto si sia trasformato in una rovinosa caduta libera. Ma andiamo ai fatti.
Con imbarazzante candore la seconda diapositiva del corso spiega cosa significa dover «essere meno bianchi». Significa essere «meno oppressivo», «meno arrogante», «meno certo», «meno sulla difensiva», «meno ignorante», «più umile». Essere meno bianchi significa «ascoltare», «credere», «rompere con l’apatia» e «rompere con la solidarietà bianca». Non paghi, in una slide successiva si legge: «Negli Stati Uniti e in altre nazioni occidentali, i bianchi sono indotti a sentirsi intrinsecamente superiori perché sono bianchi. La ricerca mostra che dai 3 ai 4 anni i bambini comprendono che è meglio essere bianchi».
Il corso di formazione per i dipendenti della Coca-Cola (già utilizzato da altre aziende e presentato presso l’Università del Wyoming e quella del Montana) si intitola Confronting Racism, “Affrontare il razzismo”. È un corso scritto e pensato dall’attivista Robin DiAngelo, autrice di White Fragility, un piccolo libro uscito sotto silenzio nel giugno 2018 ma schizzato a due milioni di copie dopo la morte di George Floyd. Oggi Robin DiAngelo è una star invitata nei più prestigiosi salotti televisivi d’America: ospite del celebre Tonight Show (clicca qui), della CBS (clicca qui), rilanciata da NBC News (qui). Perfino i cristiani metodisti americani hanno ospitato il suo verbo (clicca qui).
Tra i pochi che in passato hanno avuto il coraggio di bollare l’opera della DiAngelo come «assolutamente ridicola» e «velenosa spazzatura» c’è stato Tucker Carlson, giornalista di punta di Fox News, preoccupato che «presto potrebbe essere necessario leggere White Fragility nella scuola dei nostri figli». Per Carlson il best seller della DiAngelo può essere riassunto in quattro parole: «I bianchi sono razzisti». «Tutti bianchi sono per definizione razzisti – ha continuato il noto anchorman in un live infuocato (clicca qui) - che abbiano sei o cento anni. Sono razzisti perché sono bianchi. Solo i bianchi sono razzisti. Nessun altro lo è».
Poco ha potuto il giornalista se il corso (che per stessa ammissione di Robin DiAngelo «integra il libro») è addirittura disponibile per l’acquisto su LinkedIn Learning (clicca qui). Sul social network più diffuso al mondo dedicato al lavoro, il webinar utilizzato dalla Coca-Cola è così descritto: «È onesto dire che l’America ha trascorso la sua intera storia in un difficile dialogo con le razze. [..] Negli ultimi decenni questo rapporto si è concretizzato in una serie di sfide al razzismo sistemico e alla disuguaglianza, effetti del privilegio bianco, cioè dell’immunità di cui godono i bianchi [..] rispetto alle sfide che affrontano le persone di colore». E ancora: «In questo corso, Robin DiAngelo, autrice del best seller White Fragility, ti fornisce il vocabolario e le pratiche necessarie per iniziare ad affrontare il razzismo e i pregiudizi inconsci, sia a livello individuale, sia nella vostra organizzazione aziendale».
Non è forse inutile ricordare che Robin DiAngelo richieda cachet sbalorditivi, soprattutto sulla scia del movimento BLM. Ingaggiarla per un corso di indottrinamento di mezza giornata sui pericoli dell’uomo bianco costa non meno di 15.000 dollari. Non di rado, raccontano le cronache, ne sono serviti 40.000. È il nuovo business dell’antirazzismo?
Alla vista dei messaggi marchiati Coca-Cola, per giunta calati in modalità top-down sulla testa dei poveri dipendenti, le reazioni sui social non sono mancate. Donald Trump Jr. ha ritwittato la notizia (suo padre, come tutti sanno, è stato espulso per sempre da Twitter tra il silenzio dei più), e insieme a lui moltissimi altri, compresa Abby Johnson («Riuscite a immaginare un’azienda che ospita un corso di formazione su come i dipendenti possono “essere meno neri”? Immagino di essere troppo bianco per bere @Coca Cola», così l’attivista prolife). Sulla falsariga è il commento di Candace Owens, l’autrice di colore che ha fondato Blexit (combinazione di “nero” e di “uscita”), fondazione che invita i neri e gli ispanici ad abbandonare il Partito Democratico. Scrive la Owens: «Se il corso si sforzasse di insegnare ai dipendenti come essere meno neri, il mondo imploderebbe e le azioni legali si sprecherebbero». Per poi aggiungere: «Spero sinceramente che questi dipendenti facciano causa alla Coca-Cola per razzismo palese e discriminazione».
Chi ha raccolto lo sfogo (e gli screenshot) dei dipendenti della Coca-Cola facendoli conoscere al mondo con un tweet è la psicologa Karlyn Borysenko. «Così non si sta affatto creando un ambiente di lavoro più sano», ha scritto, «non si fa altro, anzi, che insegnare a odiarsi e a creare più divisione». Non è un caso che l’ex presidente Trump, lo scorso settembre, abbia vietato alle agenzie federali di sottoporre i propri dipendenti a una formazione basata sulla “teoria critica della razza”, liquidata dall’ex Presidente Usa come «propaganda divisiva e antiamericana». Il presidente Joe Biden ha revocato tale divieto il mese scorso, nel suo primo giorno in carica.
Per inquadrare gli inviti ad «essere meno bianchi» sponsorizzati dalla Coca-Cola, e per comprendere quanto essi siano l’espressione di un delirio tutto di natura accademica, bisogna costeggiare la già citata “Critical race theory” (CTR). La dottrina secondo la quale, nei bianchi, il razzismo è ormai «sistemico», «endemico» e «strutturale», mentre la razza è divenuta, innegabilmente la caratteristica organizzativa fondamentale della società. Secondo la CRT, insomma, è razzista anche affermare di non fare caso al colore della pelle (non a caso, per la DiAngelo, «i bianchi non esistono al di fuori del sistema della supremazia bianca»). Scrive James Lindsay, icastico saggista americano tra i principali oppositori della Critical race theory: «Noti la razza? È perché sei razzista. Non la noti? È perché sei privilegiato, quindi razzista». L’unica possibilità è l’autoflagellazione (e il passaggio alla Pepsi).