Chiesa liquida e senza identità, ecco il perché
Concludiamo il nostro breve viaggio alla scoperta delle conseguenze che il rifiuto della metafisica in ambito morale sta provocando in seno alla Chiesa: non esiste una meta, non esiste la verità, e anche il magistero diventa allora "narrante", non "definitorio". Da qui la recente allergia dei documenti ecclesiali per le definizioni.
Concludiamo il nostro breve viaggio alla scoperta delle conseguenze che il rifiuto della metafisica in ambito morale sta provocando in seno alla Chiesa. Empirismo, storicismo, situazionismo, etica del discernimento, utilitarismo, fenomenologia etica, idealismo, democraticisimo, progressismo sono alcuni dei figli che il connubio tra una fede senza trascendenza e una morale senza metafisica ha generato in casa cattolica, come abbiamo evidenziato nelle precedenti puntate. Me vi sono altri figli che appartengono a questa famiglia per niente cattolica. Vediamo quali potrebbero essere.
Relativismo. La dinamica dialettica rivoluzionaria non arriva mai alla meta, non esiste non esiste un punto fermo (l’importante è il viaggio, non la meta, direbbe qualcuno). Anzi, in tale prospettiva filosofica, la meta, a ben vedere, non esiste, perché non esiste un punto di arrivo definitivo, un traguardo da superare. E se esiste è solo una meta provvisoria, perché quella stessa meta diventa punto di partenza per un nuovo viaggio: non è una meta, ma una tappa. Esiste quindi solo il movimento incessante e non finalizzato, non ordinato ad una meta ultima: esiste solo il viaggio, solo una evoluzione senza fine. Tale visione filosofica dell’esistenza e dell’esistente è in netto contrasto con la dottrina cattolica, secondo la quale tutto è finalizzato, perché tutto ordinato da Dio verso Dio e dunque tutte le nostre azioni devono tendere a tale fine ultimo. Inoltre questa visione progressista che interpreta il mondo in costante divenire, rigettando qualsiasi “punto fermo”, non può che rigettare lo stesso concetto di verità – scadendo così nel relativismo etico - perché la verità, per definizione, non muta e non può fondersi con il suo esatto opposto che è l’errore (l’antitesi) in una verità a loro superiore (sintesi). Invece nella Chiesa, nonostante questa evidenza, è in atto il tentativo impossibile di conciliare gli opposti. Si vedano ad esempio certi sforzi ecumenici verso i seguaci di altre religioni. Inoltre non esistendo la verità, non si può certo avere la pretesa di proporre la conversione a chicchessia, perché si verrebbe tacciati di proselitismo.
Il mistero. Ma se non c’è verità, si deve privilegiare il dubbio, la domanda, il mistero. E così non possiamo sapere cosa ha detto realmente Gesù, parimenti la sofferenza è avvolta solo dalle nubi del mistero e nulla possiamo dire di valido su di essa, la stessa missione della Chiesa è imperscrutabile e lei interroga più che dare risposte. Una precisazione: vero è che l’intelletto non può abbracciare perfettamente e quindi completamente tutto il reale, ma con certezza può dire qualcosa del reale. L’impossibilità di dire tutto (prerogativa solo di Dio), non significa che non possiamo dire niente.
L’identità liquefatta. Se il paradigma di riferimento è il fattuale empirico, questo muta. La verità sia quella pratica, cioè la morale, che quella speculativa, ossia riferita all’essere, diventa liquida, transeunte: infatti io sono un uomo, ma poi diventerò polvere. Così anche l’identità della Chiesa diventa liquida. Quindi è impossibile predicare una qualsiasi verità (duratura) anche sull’esistenza delle cose. Ora se tutto muta ciò significa che nulla ha una sua identità, perché l’identità, volendo semplificare, è una peculiarità irripetibile di un ente che lo fa essere quello che è nel tempo. Noi, nonostante il ricambio cellulare, rimaniamo noi stessi negli anni. Dunque la realtà delle cose, privata di una sua natura metafisica o divina immutabile, diventa liquida e perciò perde la sua identità. Togli l’identità e gli enti si assomiglieranno tra loro, anzi si identificheranno gli uni con gli altri. Ecco la volontà di dare valore più a ciò che ci unisce rispetto a ciò che ci divide, perché tra due enti dove le identità sono smussate le somiglianze aumentano. Da qui tutti i tentativi di dialogo con i non credenti, con gli appartenenti ad altri credo religiosi, etc.
L’analisi vs la sintesi. Il flusso degli eventi quindi rende liquida la realtà e dunque per rappresentare questo flusso, come abbiamo accennato in precedenza, è preferibile usare un magistero narrante, più che definitorio: il primo è analitico, si perde nel particolare e ha un andamento fluviale, inoltre è per forza di cose prolisso e verboso perché deve descrivere tutto; il secondo è sintetico perché non descrive, ma prescrive dopo aver individuato la definizione, perché ha individuato l’identità, la natura di un ente o di una condotta. Da qui l’allergia di molti recenti documenti ecclesiali per le definizioni perché vogliono imbrigliare la multiforme vita, formalizzare l’informale.
Conclusioni. La chiave di lettura proposta all’inizio di questa analisi – “una morale senza metafisica” – meriterebbe, banale a dirsi, moltissimi distinguo e precisazioni. Ma il tentativo era solo quello di indicare una visione d’insieme che riuscisse a sintetizzare, trovando un unico fil rouge, le molte vicende, di ordine dottrinale e pastorale, che stanno interessando la vita della Chiesa in questi ultimi anni.