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IL VERTICE SUGLI ABUSI

Chi muove i fili del summit che non tocca l'omosessualità

L’80% degli abusi commessi dal clero hanno per vittime adolescenti maschi, ma il summit in Vaticano sta evitando di affrontare il problema. Questa voluta omissione è un segno chiaro del potere della lobby gay nella Chiesa e un’indicazione del desiderio di rendere accettabile quello che la Chiesa, da sempre, condanna in modo esplicito, e cioè i rapporti omosessuali. Lo confermano le parole elusive pronunciate dagli uomini scelti per guidare il vertice, da Cupich a Scicluna.
-MARX TRA DENUNCIA E RETORICA SUL CLERICALISMO di Nico Spuntoni

Ecclesia 24_02_2019

Il vertice in svolgimento a Roma sulla protezione dei minori appare a molti come una rappresentazione un po’ teatrale, accuratamente organizzata da una regia mediatica collaudata - come peraltro i sinodi sulla famiglia e sui giovani - e i cui risultati, se e quando ci saranno, saranno tutti da verificare. Per ora sono le perplessità a regnare, almeno per chi ha seguito con un minimo di attenzione - da un anno a questa parte, e cioè dal disastroso viaggio in Cile del Pontefice - l’esplosione di casi di abusi in tutto il mondo.

Il vertice era stato convocato a settembre, per rispondere in qualche modo alla denuncia dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò, e inizialmente si parlava non solo di minori ma anche di adulti vulnerabili. «Adulti vulnerabili» erano i seminaristi, magari appena maggiorenni, e i giovani sacerdoti presi di mira da McCarrick, e quelli del seminario di Tegucigalpa molestati dal braccio destro del cardinale Maradiaga, e altri ancora negli Usa (o in Argentina, dal vescovo Zanchetta, «figlio spirituale» di Jorge Mario Bergoglio). Impercettibilmente gli «adulti vulnerabili» - vittime di preti e vescovi omosessuali - sono scomparsi dal paesaggio, lasciando in piedi solo i generici «minori».

Sono in molti a vedere questa voluta, persistente omissione come un segno chiaro del potere della classe omosessualista nella Chiesa e un’indicazione del desiderio di rendere accettabile quello che la Chiesa, da sempre, condanna in modo esplicito: e cioè i rapporti omosessuali. Una frase dell’arcivescovo Scicluna, segretario aggiunto alla Congregazione per la dottrina della Fede oltre che arcivescovo di Malta, è un segnale indicativo: eterosessualità e omosessualità «sono condizioni umane che riconosciamo, e che esistono, ma non sono qualcosa che realmente predispone al peccato». Il che, se nel frattempo dottrina cattolica e Catechismo non sono cambiati, non appare esatto. Eterosessualità e omosessualità non sono equivalenti, e poi c’è da ricordare che prima che iniziasse la propaganda Lgbt si parlava semplicemente - in modo complementare - di maschi e femmine, e non di “omo” ed “etero” come categorie ridotte a una pulsione.

Si voleva evitare - ed è stato chiaro dagli interventi dei leader del vertice, Cupich e Scicluna - che nel corso dei lavori si parlasse di omosessualità come di una delle cause degli abusi. Una linea che si è difesa anche contro la ragione e l’evidenza delle cifre. L’80% dei casi riguardano maschi su maschi, e le vittime hanno dai 14 anni in su. Un esperto della Congregazione per la dottrina della Fede ci ha detto che il 90% dei casi che arrivano a Roma hanno queste caratteristiche. Rapporti di specialisti, come quello del Ruth Institute, testimoniano in questo senso. Ma non si può dire, né al vertice, né nella Chiesa: il Pontefice, a partire dalla crisi cilena in poi, ha accusato di tutto: potere, umana natura, clericalismo come causa degli abusi, ma non l’omosessualità. Perché questa afasia? È certamente un elemento di perplessità fra i laici che osservano, con sempre maggiore attenzione e discernimento, il detto e l’omesso.

E parlando di clericalismo, e potere, alcuni elementi direttamente collegati al vertice, o anche solo temporalmente, saltano agli occhi. A organizzare il vertice non è stato chiamato, come sarebbe sembrato logico e naturale, il cardinale e arcivescovo di Boston, Sean O’Malley, presidente della commissione che si occupa di abusi, ma il cardinale e arcivescovo di Chicago, Blase Cupich. Cupich, come Joseph Tobin, Donald Wuerl, Robert McElroy, Kevin Farrell, fa parte della “filiera” McCarrick. Cioè di quel gruppo di potere che il Pontefice ha organizzato per rompere l’unità della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, troppo impegnata nella difesa della vita e dei valori cattolici tradizionali e invisa alla politica in stile Obama e Clinton.

Quando è scoppiata la bomba Viganò (e prima ancora il rapporto del Gran Giurì della Pennsylvania), Cupich è il cardinale che ha dichiarato che il Pontefice aveva cose più importanti degli abusi di cui occuparsi, come l’ecologia e i migranti. Cupich è uno degli esponenti della linea filo LGBT. Nello stupore di molti, e in particolare dei laici americani, è stato chiamato a organizzare il vertice sugli abusi. Affiancato da altri due bergogliani di ferro, come Scicluna e Gracias, e con un paio di gesuiti - Lombardi e Zollner - a completare la squadra. O’Malley è stato infilato in una conferenza stampa a fare vetrina, e comunque ha subito dato fastidio al management, affermando che è necessario che si faccia chiarezza sulle amicizie e complicità di McCarrick. Che sembra esattamente quello che il management vaticano non desidera proprio. Se non è “clericalismo”, come si chiama oggi, e potere, far gestire il vertice da un gruppo di persone legate al potere, che cos’è? E per aggiungere una ciliegina sulla torta, alla vigilia del vertice nomino Camerlengo un altro del mio gruppo di potere, e legato a McCarrick, cioè il discusso cardinale Farrell. Discusso e distratto, perché vivendo per sei anni con McCarrick nulla vide e nulla sentì.

L’altra grande perplessità è la trasparenza. Di che cosa accada all’interno del vertice, di che cosa dicano i vescovi, non sappiamo nulla. Sono già stati fatti tre sinodi così. E nonostante questo il management continua a parlare di trasparenza. Che, nei fatti, viene negata. A novembre i vescovi americani in assemblea erano pronti per votare alcune misure sugli abusi. Fra queste, l’istituzione di una commissione, formata da laici, per indagare sugli abusi, e le eventuali coperture. Un diktat della Congregazione per i Vescovi - secondo alcuni d’accordo con Cupich e Wuerl, arcivescovo di Washington (ora amministratore apostolico) - ha chiesto ai vescovi statunitensi di non votare, di attendere il vertice di febbraio.

Non c’è dubbio che molti vescovi americani si chiederanno, ora, perché. Dalle ipotesi di quadro formulate da Cupich si capisce. Ogni potere di indagine deve restare in mano ai chierici (quegli stessi che hanno, dal 2002, coperto e omesso) che possono eventualmente chiedere aiuto ai laici. In ultima analisi, al Papa compete il diritto di veto e di decisione sulle indagini. Esattamente come ha già fatto per un’inchiesta aperta dalla Congregazione per la dottrina della Fede nei confronti del suo amico e alleato Murphy O’Connor. Sempre a proposito di quello che chiamano “clericalismo”.