Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Francesca Saverio Cabrini a cura di Ermes Dovico
DEMOCRAZIA BLOCCATA

Che vinca o perda, il Pd governa

Chi farà parte del prossimo esecutivo? Quale sarà il partito che se ne avvantaggerà? Finora, dal 2011 ad oggi, il Pd è sempre stato al governo, indipendentemente dai suoi risultati elettorali. E le poche volte che non lo è, si scatena l'inferno mediatico-giudiziario contro i suoi avversari.

Politica 05_02_2021
PD

Come sarà composto il prossimo governo Draghi, sempre che “super Mario” riesca a ottenere la fiducia? Se lo chiedono in tanti, ma una cosa è già certa: il Partito Democratico farà parte della maggioranza che lo sostiene e dunque otterrà quasi certamente anche ministeri importanti. E' già una costante storica: che vinca o perda, il Pd è sempre al governo, dal 2011 ad oggi, con solo poco più di un anno di intervallo all’opposizione. E’ un dato di fatto. Stranamente pochi lo constatano. 

Nel 2011 cade il governo Berlusconi, che pure godeva di un’ampia maggioranza parlamentare, a causa di divisioni interne e non a seguito di una sconfitta elettorale. Le ultime elezioni si erano tenute nel 2008 e lo schieramento di centrodestra, guidato dal Pdl (fusione di Forza Italia, Alleanza Nazionale e partiti minori centristi) aveva stravinto, vittoria confermata anche alle amministrative del 2010. Pur essendo forza di minoranza, il Pd è stato il partito che più ha caratterizzato il governo tecnico di Mario Monti, che ha guidato il Paese dalla fine del 2011 alle elezioni successive del 2013. L’esecutivo era costituito da figure professionali non politiche, a partire dall’economista premier, ma il Pd era maggioritario fra i membri politici dell’esecutivo, con 3 sottosegretari. Il Pdl era ancora partito di maggioranza relativa in Parlamento, ma non aveva rappresentanti nell’esecutivo. Se gli elettori di centrodestra lamentano che il governo, votato dalla maggioranza degli italiani, sia stato rovesciato con metodi non elettorali e sostituito da un esecutivo di sinistra, sono accusati di non capire le regole della democrazia parlamentare. Ma non hanno tutti i torti.

Nel 2013, il centrodestra e il centrosinistra arrivano praticamente pari: la coalizione di centrosinistra con il 29,5% dei voti, il centrodestra con il 29,2% alla Camera, mentre al Senato il centrosinistra con 31,6% e il centrodestra con il 30,7%. Una differenza statisticamente irrilevante che (buonsenso vorrebbe) di solito dà origine a un governo di larghe intese. Soprattutto considerando che il terzo schieramento, il Movimento 5 Stelle, allora guidato da Beppe Grillo, forte del suo 25,6% dei voti (il singolo partito più votato) non voleva allearsi con nessuno, perché credeva ancora di “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno”. Il governo Letta, emerso da questo stallo, era solo apparentemente di larghe intese: premier Enrico Letta (Pd), vicepremier Angelino Alfano (Pdl), ministeri pesanti al Pdl (Interni, Riforme costituzionali, Infrastrutture e trasporti, Politiche agricole). Ma la maggioranza schiacciante dell’esecutivo era, numericamente parlando, del Pd: 8 ministri, 5 viceministri, 12 sottosegretari (oltre al premier), contro 4 ministri, 1 viceministro e 8 sottosegretari riservati al Pdl. Considerando che le due formazioni erano arrivate praticamente alla pari, la sproporzione a favore del Pd è evidente a tutti. Ma anche qui, chiunque lo constatasse avrebbe poi subito la lezione degli esperti di democrazia parlamentare e, allora, anche di sistemi elettorali maggioritari.

Ma il vero “capolavoro” è arrivato un anno dopo. Matteo Renzi è subentrato a Letta alla guida del governo. E ha formato un esecutivo che era praticamente un monocolore Pd: 10 ministri, 2 viceministri, 23 sottosegretari. Il tutto coperto dalla foglia di fico di 3 ministri, 1 viceministro, 9 sottosegretari riservati al Nuovo Centrodestra, nato dalla scissione di Alfano dal Pdl. I “costruttori” di allora. Caduto il governo Renzi, alla fine del 2016, a causa della sua sconfitta nel referendum costituzionale, il successore è stato Paolo Gentiloni, altro esponente del Pd e anche lui alla guida di un governo ancor più vicino al monocolore: ben 14 ministri, 2 viceministri, 18 segretari del Pd, contro appena 2 ministri, 1 viceministro e 9 sottosegretari riservati ad Alternativa Popolare, nuova creatura di Alfano nata sulle ceneri del Nuovo Centrodestra. Tutto ciò avveniva, ricordiamolo ancora, in un Parlamento formato da elezioni in cui il centrodestra e il centrosinistra erano arrivate praticamente pari.

Con il voto del 2018 lo stallo si è prolungato, ma (cosa che si tende spesso a dimenticare) ha chiaramente vinto il centrodestra. Lo schieramento formato da Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia ha ottenuto la maggioranza relativa con il 37% alla Camera e il 37,5% al Senato. Mentre il Movimento 5 Stelle è diventato il singolo partito più votato con il 32,7% alla Camera e il 32,2% al Senato, il centrosinistra a guida Pd ha subito una sconfitta umiliante: 22,8% alla Camera e 23% al Senato. Eppure il centrodestra non ha potuto formare il suo esecutivo: non aveva voti a sufficienza per sostenerlo da solo e il presidente Sergio Mattarella non ha consentito a Berlusconi di cercare voti in altre formazioni esterne. Lo stesso gioco che è stato consentito, nelle ultime settimane, a Giuseppe Conte, è stato negato a Berlusconi appena due anni fa. E dopo un anno di governo formato dall’alleanza imprevedibile fra Movimento 5 Stelle e Lega, il Pd, il grande perdente delle elezioni, è tornato al governo.

Nessun complotto, sono le regole della nostra democrazia parlamentare. Certo. Però… forse è un caso che i brevi periodi in cui il Pd è stato all’opposizione (2008-2011 ai tempi dell’ultimo governo Berlusconi e 2018-2019 con il primo esecutivo Conte) sono stati caratterizzati da fortissime campagne stampa contro le forze di governo. Forse è solo un caso che siano anni segnati da indagini della magistratura e processi che a loro volta hanno montato altri casi mediatici ai danni di Berlusconi e di Salvini. Forse è un altro caso che i presidenti della Repubblica, dal 2006 ad oggi, siano i candidati scelti dal Pd, Napolitano allora, Mattarella adesso. Ed è quantomeno singolare che, in mancanza di maggioranze chiare, non si sia mai andati ad elezioni anticipate, come sempre accade anche in democrazie avanzate (Spagna, Israele …) quando il parlamento non può esprimere un esecutivo. Qui si preferisce il principio di “responsabilità”: il Pd è il partito (unico) dei responsabili.