Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Bologna Sette

Che pena l’inserto di Avvenire a difesa della 194

Nell’ultimo numero del settimanale dell’Arcidiocesi di Bologna, spunta un articolo che alimenta la contrapposizione uomo-donna e difende la legge sull’aborto. Uno scandalo, che dimentica il diritto dei nascituri e il magistero costante della Chiesa.

Vita e bioetica 25_06_2024

“Aborto, sostantivo maschile?”. Leggendo un titolo così, senza altri indizi, uno potrebbe pensare di trovarsi di fronte all’ennesima intemerata contro il patriarcato di un giornale tipo il manifesto o la Repubblica. Ma si sbaglierebbe. Il titolo in questione riguarda un articolo pubblicato nientemeno che sull’ultimo numero di Bologna Sette (23 giugno 2024), inserto di Avvenire e settimanale dell’Arcidiocesi di Bologna, retta dal cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei).

L’articolo reca la firma di Francesca Accorsi. E il contenuto va ben al di là di quel che il titolo, in questi tempi di femminismo diffuso, lascia immaginare. Non ci si limita infatti a dire che le donne sono indotte ad abortire, in molte circostanze, per decisione dell’uomo. Questo è pacifico, com’è pacifico che altre volte la decisione è consensuale e altre volte ancora – in quali esatte percentuali lo sa solo il Creatore – capita anche che sia la donna a volere l’aborto, mentre l’uomo è contrario.

Il punto è che l’articolo trasuda di femminismo fin dall’inizio e non se la prende solo con gli uomini che in qualche modo si rendono responsabili dell’aborto, ma in generale con «i maschi» che si dichiarano contrari all’aborto stesso, politici e preti (esplicitamente) compresi. Troppo «comodo» per loro, dice l’autrice. Detto in altri termini: se sei maschio, sull’aborto devi solo tacere, anche se hai la talare. E meno male che si tratta di un settimanale diocesano…

L’articolo sostiene la ben nota posizione, oggi forse maggioritaria tra gli stessi cattolici, del “no all’aborto, ma sì alla legge che lo permette per scelta”. Peccato che si tratti di un’idea insostenibile sul piano della legge morale naturale, come già chiariva san Giovanni Paolo II, nel solco dell’insegnamento bimillenario della Chiesa: «La tolleranza legale dell’aborto o dell’eutanasia non può in alcun modo richiamarsi al rispetto della coscienza degli altri, proprio perché la società ha il diritto e il dovere di tutelarsi contro gli abusi che si possono verificare in nome della coscienza e sotto il pretesto della libertà» (Evangelium Vitae, 71).

Ma questa verità è dimenticata dall’articolo di Bologna Sette, che appunto elogia la legge 194: «Nella storia l’aborto è sempre esistito: la differenza rispetto al passato – scrive Francesca Accorsi – è che tante donne sono morte mentre cercavano di abortire, mentre oggi, grazie alla legge 194, una donna in Italia se abortisce non muore».

Rispondiamo. Premessa: il fronte abortista è arrivato a ottenere la legge 194/1978 anche grazie a una martellante propaganda che ha diffuso numeri gonfiati sulle donne morte a seguito di aborto clandestino. Numeri falsi, smentiti dalle statistiche ufficiali (se si prende ad esempio il 1972, si scopre che 409 donne morirono per complicanze legate alla gravidanza: anche ipotizzando che fossero morte tutte per aborto clandestino, si tratterebbe pur sempre di un numero di molto inferiore alle diverse decine di migliaia di decessi annui di cui gli abortisti parlavano negli anni Settanta).

Secondo, in realtà anche l’aborto legale reca con sé delle vittime tra le madri, specialmente se si parla di aborto farmacologico: questo avviene sia in Italia (vedi ad esempio qui) sia altrove, come nei civilissimi Stati Uniti (al 31 dicembre 2022, 32 decessi ufficiali da quando, nel 2000, è stato liberalizzato il mifepristone, anche noto sotto il nome di Ru486). E anche se i decessi materni sono relativamente rari, moltissime donne che hanno abortito sperimentano quella che è chiamata sindrome post-abortiva. E devono lottare innanzitutto per perdonare sé stesse, come mostra l’esperienza di gruppi di aiuto come la Vigna di Rachele.

Terzo: se compi un male, come l’aborto procurato, non puoi pretendere di compierlo in sicurezza, per ovvie ragioni già spiegate su questo quotidiano da Tommaso Scandroglio (vedi qui).

Quarto e ancora più importante aspetto: la prima vittima dell’aborto volontario è il bambino nel grembo materno. E non ci sono ragioni che ne giustifichino l’uccisione. Da quando è entrata in vigore la legge 194, circa sei milioni di bambini, stando solo ai dati ufficiali, sono stati uccisi con il permesso dello Stato italiano.

Eppure, oggi non pochi sostengono l’inverosimile affermazione secondo cui la 194 avrebbe ridotto gli aborti: inverosimile perché oggi non c’è più l’effetto-deterrenza della sanzione penale che c’era prima che l’aborto venisse legalizzato e, poi, perché l’aborto è sempre più banalizzato a livello di mentalità generale. Il fatto che gli aborti siano in costante calo dal 2004 in poi non è certo per “merito” di una legge, come la 194, che consente di abortire... ma si spiega con ben altri fattori, tra i quali c’è il peso delle cosiddette “pillole del giorno dopo”, il cui uso è cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni, arrivando ad oltre 600.000 confezioni vendute (Norlevo ed EllaOne insieme) nel 2021. Queste pillole possono avere non solo un effetto antiovulatorio ma pure abortivo.

L’articolo di Bologna Sette contiene anche una legittimazione implicita della contraccezione, sorvolando su un altro fondamento del magistero della Chiesa. Non si fa nessun accenno alla castità e agli splendidi insegnamenti sulla Teologia del corpo, che sono la vera risposta alle storture nel rapporto tra uomo e donna. Invece, come visto sopra, l’autrice si lascia andare a considerazioni che vanno nel senso di alimentare la conflittualità tra i due sessi. Ma sulla legge 194, purtroppo, le sue non sono idee isolate, dal momento che si inseriscono nel solco relativista di certa gerarchia odierna: vedi le affermazioni del cardinale Zuppi e di monsignor Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, entrambi concordi che la 194 non vada toccata.

A loro risponde ancora san Giovanni Paolo II: «La legge civile deve assicurare per tutti i membri della società il rispetto di alcuni diritti fondamentali, che appartengono nativamente alla persona e che qualsiasi legge positiva deve riconoscere e garantire. Primo e fondamentale tra tutti è l’inviolabile diritto alla vita di ogni essere umano innocente. Se la pubblica autorità può talvolta rinunciare a reprimere quanto provocherebbe, se proibito, un danno più grave, essa non può mai accettare però di legittimare, come diritto dei singoli — anche se questi fossero la maggioranza dei componenti la società —, l’offesa inferta ad altre persone attraverso il misconoscimento di un loro diritto così fondamentale come quello alla vita» (ibidem).

Ma se vogliamo stare al “gioco” che solo le donne debbano avere voce sull’aborto, di esempi luminosi ne abbiamo a volontà: basti leggere la vita di santa Gianna Beretta Molla o quanto diceva santa Teresa di Calcutta.



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Aborto, Paglia tocca il fondo tifando per la 194: «Un pilastro»

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Come rinascere dopo l'aborto, il "lutto proibito"

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"Ci siamo trovati con persone che dopo aver vissuto un aborto hanno tentato di chiudere questa vicenda, di risanarla, senza però trovare il tempo e lo spazio necessari. Non si tratta solo di una ferita psicologica, è una profonda ferita spirituale che va guarita, con l'aiuto di Gesù". Intervista a Monika Rodman, responsabile in Italia della Vigna di Rachele, un apostolato che organizza periodicamente ritiri di tre giorni per favorire la guarigione interiore di uomini e donne che portano dentro di sé il dolore di un aborto, aiutandoli a riconciliarsi con il figlio perduto.