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LA RISOLUZIONE

Certificato di filiazione, così l’UE vuole imporre l’utero in affitto

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Il Parlamento europeo approva una Risoluzione secondo cui la genitorialità stabilita in un Paese UE dovrebbe essere riconosciuta in tutta l’UE. Si prevede un certificato europeo di filiazione. Il testo, ora al vaglio del Consiglio europeo, è il cavallo di Troia per imporre utero in affitto e omogenitorialità.

Vita e bioetica 16_12_2023

Giovedì scorso il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione dal titolo Competenza, legge applicabile, riconoscimento delle decisioni e accettazione degli atti pubblici in materia di filiazione e creazione di un certificato europeo di filiazione. La Risoluzione è passata con 366 voti a favore, 145 contrari e 23 astensioni.

Cosa accadrà se questa Risoluzione dovesse essere approvata anche dal Consiglio europeo? Come sintetizza efficacemente un comunicato stampa del Parlamento europeo, «la genitorialità stabilita da un Paese UE dovrebbe essere riconosciuta automaticamente in tutta l'UE», questo al di là di come è stato concepito il figlio e al di là dell’orientamento sessuale dei genitori legali. Esemplifichiamo: una coppia eterosessuale italiana ha un bambino tramite la pratica dell’utero in affitto avvenuta in Grecia, Stato che legittima tale pratica e che quindi riconosce quel bambino come figlio della coppia italiana. Con la Risoluzione del Parlamento europeo quel bambino dovrà essere riconosciuto come figlio della coppia anche da noi. Secondo caso: una coppia omosessuale olandese ha un bambino tramite la fecondazione eterologa. Il bambino in Olanda viene registrato come figlio della coppia e così dovrà avvenire, ad esempio, anche in Italia qualora la coppia venisse a vivere da noi.

Il comunicato così prosegue: «Secondo quanto previsto nel testo approvato dai deputati, quando si tratta di stabilire una genitorialità a livello nazionale, i Paesi UE potranno continuare a decidere se accettare situazioni specifiche, come ad esempio la maternità surrogata, ma saranno tenuti comunque a riconoscere la genitorialità così come stabilita da un altro Paese dell'UE». Traduciamo con un esempio: l’Italia potrà anche dichiarare fuori legge la maternità surrogata e la filiazione che da essa deriva se avvenuta sul suolo patrio, ma se una coppia di italiani o anche una coppia straniera valica i nostri confini con in mano un certificato europeo di filiazione che attesta che quel bambino è figlio loro secondo la legislazione di un Paese dell’Unione europea, allora l’Italia dovrà anch’essa riconoscere quel bambino come figlio di quella coppia.

Va da sé che questa situazione in cui si deve riconoscere il figlio dell’utero in affitto porterà prima o poi a dover riconoscere la stessa maternità surrogata. Come si potrebbe giustificare, infatti, un riconoscimento della filiazione derivata dall’utero in affitto e non riconoscere l’utero in affitto? Si giudica buono il frutto e non l’albero che ha generato quel frutto?

In merito poi all’omogenitorialità, il nostro ordinamento giuridico non la legittima. In altri termini, un bambino può essere figlio solo di un uomo e di una donna, non di due uomini o di due donne. Dunque, secondo il diritto vigente nessuna coppia omosessuale potrebbe figurare come una coppia di genitori di un minore, perché prevedere il contrario sarebbe contrario all’ordine pubblico, ossia contrasterebbe con i principi primi del nostro ordinamento. Nonostante questo, negli anni molte amministrazioni comunali e non pochi giudici hanno invece riconosciuto l’omogenitorialità grazie a molti stratagemmi giuridici, tra cui in primis la stepchild adoption.

La Risoluzione vorrebbe scavalcare questo ostacolo che fa riferimento all’ordine pubblico, imponendo quindi il riconoscimento dell’omogenitorialità. E il principio dell’ordine pubblico che fine farebbe? Il comunicato così risponde: «Gli Stati membri avrebbero la possibilità di non riconoscere la genitorialità se manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico e solo in casi ben definiti. Ogni situazione dovrà essere considerata individualmente per garantire che non vi siano discriminazioni, ad esempio nei confronti dei figli di genitori dello stesso sesso». Più in particolare la Risoluzione prevede che il certificato europeo di filiazione deve essere in prima battuta sempre riconosciuto. Poi, semmai, lo Stato potrà aprire una vertenza giudiziaria appellandosi all’ordine pubblico, ma intanto il certificato rimarrebbe valido fintantoché non si siano esauriti tutti i gradi di giudizio interni allo Stato e quelli sovranazionali propri dell’Unione europea. Dunque, passerebbero anni prima di concludere tutto questo iter, posto che si concluda, e nel frattempo il certificato sarebbe valido.

Al di là dei risvolti morali evidenti – non è lecito riconoscere giuridicamente l’omogenitorialità né la filiazione derivante da una pratica illecita come la maternità surrogata – ciò che risalta è la volontà del Parlamento europeo di non rispettare la sovranità nazionale su materie costitutive l’assetto di un popolo come la famiglia e la filiazione. Non stiamo infatti qui parlando di quanto fini debbano essere le trame delle reti da pesca che potrebbero anche, in linea di principio, trovare una omologazione a livello europeo, bensì della famiglia, cellula fondamentale di ogni società che l’UE vuole stravolgere nel suo significato naturale e omologarla secondo l’agenda Lgbt. Lo ha spiegato bene Adriano Bordignon, presidente del Forum delle Associazioni Familiari: «Il voto del Parlamento Europeo mira a modificare il diritto di famiglia, di competenza esclusiva degli Stati membri […]. Il riconoscimento automatico del vincolo di filiazione spetta agli Stati membri e non deve interessare l'UE; questo tentativo di esautorare le competenze nazionali è grave e va contro il principio di sussidiarietà».

Ora la palla passa al Consiglio europeo: la Risoluzione per diventare vigente dovrà ricevere il suo voto all’unanimità.