Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Francesca Saverio Cabrini a cura di Ermes Dovico
L'ABORTO COME MANSIONE

Cedu contro la libertà di espressione e religiosa

Lo scorso 12 marzo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata su due casi che interessano l’obiezione di coscienza in relazione alle pratiche abortive, negando alle ricorrenti tale diritto. Le sentenze dimostrano che si vuole far passare l’aborto come un’operazione chirurgica al pari di un’altra: è quindi necessario silenziare chi ricorda che l’aborto è un assassinio. 

Attualità 04_04_2020

Lo scorso 12 marzo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) si è pronunciata su due casi molti simili che interessano l’obiezione di coscienza in relazione alle pratiche abortive, negando alle ricorrenti, in entrambi i casi, tale diritto. Una decisione presa poi non avvalendosi della formula della sentenza bensì con “decisione di irricevibilità”  – in tal modo non è possibile far ricorso – e assunta da una Commissione composta solo da tre membri: si adotta un organico così ridotto quando le questioni non sono molto complesse.

Partiamo dal primo ricorso: Steen versus Svezia. L’infermiera Linda Steen ha tutte le carte in regola per fare l’ostetrica presso la clinica femminile di Nyköping. Ma, prendendo impiego presso tale struttura, informa la direzione che non avrebbe collaborato a nessuna pratica abortiva. Sottolineiamo il fatto che in Svezia non è prevista l’obiezione di coscienza in materia di aborto. La direzione le risponde che per lei in quella clinica non ci sarebbe stato posto e che poteva tornare a fare l’infermiera presso un altro ospedale dove aveva già lavorato. Ne nasce una vertenza giudiziaria che si articola prima sul suolo svedese per poi giungere fin alla Corte europea. Come ricostruisce la CEDU «secondo la legislazione svedese, i datori di lavoro hanno il diritto di chiedere ad un dipendente di svolgere tutti i compiti che per loro natura rientrano nell'ambito del lavoro in questione. L'obbligo di prendere parte agli aborti è stato quindi "prescritto dalla legge" e persegue l'obiettivo legittimo di proteggere la salute in quanto garantisce un accesso effettivo all'aborto in Svezia». Quindi, appunta la Corte, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione tutelata dall’art. 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo deve fare un passo indietro laddove interferisca con la tutela della salute della donna. L’ampiezza di tali restrizioni, valevoli sia per l’art. 9 che per gli altri articoli della Convenzione, non viene decisa dalla Corte, ma spetta ai singoli Stati membri.

La Steen lamenta altresì la violazione dell’art. 10 della Cedu che riguarda la libertà di espressione. Risposta dei giudici europei: «Non erano le sue opinioni in quanto tali che avevano portato al rifiuto dell’incarico [da parte della clinica], ma solo il suo rifiuto di compiere aborti». Nostra replica: se io perdo il lavoro o non posso essere assunto perché esprimo alcune idee, pare ovvio che la mia libertà di espressione non è tutelata. Altrimenti si dovrebbe dire: o taci e ti assumiamo oppure se vuoi dire la tua non ti assumiamo. Infine le Corte ha respinto il ricorso perché la Steen, al momento della sottoscrizione del contratto, sapeva che non poteva esimersi dalla collaborazione alle pratiche abortive.

Passiamo al secondo caso, che pare la fotocopia del primo, tanto che la CEDU in più punti fa il copia incolla della decisione presa sulla vertenza Steen (o viceversa, non sappiamo dirlo): Grimmark versus Svezia. L’infermiera Ellinor Grimmark si fa assumere da una clinica e, contemporaneamente, rende noto che non collaborerà a nessuno aborto. Risultato: la mettono alla porta immediatamente. Stesso copione in altre due cliniche. Nell’ultima si rivolge al Mediatore contro le discriminazioni, figura che dovrebbe tutelare i lavoratori contro le discriminazioni. Come riporta la CEDU: «Il Mediatore delle discriminazioni non ha riscontrato alcuna discriminazione nel caso specifico e lo ha archiviato. [Il Mediatore] ha fatto notare che è parte del ruolo professionale di un'ostetrica partecipare agli aborti». Anche in questo caso si va per avvocati, ma i giudici nazionali ripetono quanto indicato dallo stesso Mediatore: «I datori di lavoro hanno il diritto di chiedere ad un dipendente di svolgere tutti i compiti che per sua natura rientrano nell'ambito del lavoro in questione». La CEDU formula a tal proposito l’identico giudizio espresso nel caso precedente: «L'obbligo di prendere parte agli aborti è stato quindi "prescritto dalla legge" e persegue l'obiettivo legittimo di proteggere la salute poiché garantisce un accesso effettivo agli aborti in Svezia». Anche in questo caso la presunta tutela della salute della donna, avvalorata altresì dall’art. 8 della Convenzione che riguarda la tutela della vita privata delle persone, viene prima delle convinzioni religiose o delle libere determinazioni della propria coscienza.

In merito poi alla lesione della libertà di espressione ex art 10 della Convenzione, la CEDU ha spiegato che l’ostetrica non ha potuto ottenere l’impiego non a motivo delle idee espresse, bensì perché non era disposta a svolgere tutte le mansioni che la legislazione svedese prevede per il ruolo di ostetrica. Si ripresentano intatte le riserve già prima articolate su questo specifico punto.

Inoltre, come nel caso Steen, la Cedu fa notare che l’ostetrica all’atto della sottoscrizione del contratto aveva implicitamente accettato di svolgere tutti i servizi che tale lavoro comporta. Infine, a differenza del primo caso, la Grimmark riesce a far esaminare la presunta violazione del divieto di discriminazione ex art 14 della Convenzione: lei sarebbe stata tratta in modo diverso rispetto alle altre sue colleghe. Risposta della CEDU: «La Corte considera che la situazione della richiedente e la situazione di altre ostetriche che avevano accettato di procurare aborti non sono sufficientemente simili per essere confrontate l'una con l'altra. Pertanto, la ricorrente non può pretendere di trovarsi nella stessa situazione di tali ostetriche». Nostra replica: vero è che la situazione della ricorrente è diversa da quelle delle sue colleghe, perché la prima non vuole aiutare nelle pratiche abortive e le seconde sì, ma è proprio questa differenza, colta anche dalla CEDU, il motivo della discriminazione. È un po’ come se la CEDU dicesse: per capire se Tizio è discriminato nei confronti di Caio occorre che le situazioni siano analoghe. Dunque per capire se la ricorrente è discriminata dovrebbe anche lei aiutare a compiere aborti al pari delle sue colleghe. La contraddizione è evidente.

Si potrebbero articolare molte considerazioni in merito a queste due decisioni giudiziarie, ma forse la più saliente ci pare la seguente. Il rifiuto dell’obiezione di coscienza dimostrato dalla CEDU nasce dalla considerazione che l’aborto non è l’uccisione di un essere umano innocente, bensì è un’operazione chirurgica al pari di un’altra, come se fosse l’asportazione di un tumore dall’utero. Né più né meno. Allora, dato che l’aborto è semplicemente un intervento medico terapeutico come tanti altri, non è predicabile nessun tipo di obiezione di coscienza. Potrebbe mai un medico o un infermiere astenersi da un intervento al cuore? Dalla asportazione di un tumore? Certo che no.

Questo è il nuovo orientamento del movimento pro-choice: l’aborto, da intervento clinico connotato da alcune peculiarità giuridiche, deve diventare operazione di routine senza una normativa pensata ad hoc, da dramma psicologico deve mutarsi in pratica aproblematica, da problema sociale da portare alla luce del sole deve scolorire in una scelta meramente individuale da sbrigare con una pillola nel chiuso della propria casa, da questione massmediatica deve essere ridotto a fatto privo di interesse pubblico.

In questa prospettiva l’obiezione di coscienza è il vero nemico, non perché possa fermare la macchina abortiva – gli aborti vengono praticati ugualmente in tutto il mondo – ma perché è un costante richiamo per le coscienze sul fatto che l’aborto è un assassinio e non un atto terapeutico, è un dramma per la donna e non una passeggiata, è un atto lesivo di tutta la comunità e non una scelta puramente privata, è la pratica morale più aberrante che si possa registrare sulla faccia della Terra.