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LO STOP A GOMEZ

C’è una Chiesa che non vuole vescovi, ma funzionari

La vicenda riguardante la lettera del presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, contro l’agenda abortista di Biden, pone il rilevante problema della libertà dei vescovi di insegnare la verità. Sconforta il fatto che gli impedimenti alla lettera siano giunti dai vertici stessi della Chiesa. La cui debolezza, oggi, si riflette nella debolezza dei suoi vescovi, che non parlano più di molti argomenti retti perché intimoriti e controllati.

Ecclesia 22_01_2021

Sul sito della Conferenza episcopale degli Stati Uniti il testo della Lettera dell’arcivescovo José Gomez, presidente della stessa, a Joe Biden c’è e lo si può leggere. Nei due giorni scorsi era invece girata la notizia, di cui la Nuova Bussola riferisce a parte, di una censura vaticana alla Lettera stessa che era stata fatta togliere da Internet anche se ormai aveva fatto mostra di sé anche in siti di alcune diocesi. Pericolo superato, quindi? Sì, ma il fatto senza precedenti lascia molto amaro in bocca ed è a suo modo segno della lenta disgregazione in atto nella Chiesa cattolica visibile. La vicenda pone il rilevante problema della libertà dei vescovi cattolici nell’insegnare la verità. Solo il fatto che ci si debba porre questo problema la dice lunga sulla pesantezza della situazione ecclesiale.

Con l’espressione libertà dei vescovi non si intende – si badi bene – la libertà dei vescovi come individui e cittadini di esprimere liberamente le proprie opinioni in pubblico; si vuol significare piuttosto la libertà dei vescovi di poter fare i vescovi dopo essere stati fatti vescovi con l’ordinazione, ossia esercitare i loro tre compiti: insegnare, santificare e governare. Al capo dei vescovi americani si è tentato di impedire di essere “maestro della fede”, come si esprime il decreto sui vescovi del Vaticano II.

A sconfortare in modo particolare è prima di tutto che l’impedimento a dire la verità sia avvenuto non da parte di chi osteggia la Chiesa, ma dalla Chiesa, anzi dal vertice della Chiesa stessa. Secondariamente è l’oggetto della Lettera censurata, vale a dire la vita, il matrimonio, la famiglia, l’ordine naturale delle primarie relazioni umane, l’abc della morale e della vita umana e cristiana. Vescovi che affermano le più grandi stramberie su questi argomenti non vengono tacitati, mentre vengono contestati dall’alto i vescovi che ribadiscono le verità cristiane sull’uomo. I vescovi che, dalla Germania, intendono benedire le coppie omosessuali o che chiedono il sacerdozio delle donne vengono lasciati parlare liberamente. La comunicazione vaticana nemmeno precisa più. A dire il vero essa non precisa più nemmeno quando vengono attribuite al papa espressioni strampalate. I vescovi sono liberi solo quando dicono stranezze? La parresia, vale a dire la libertà di parlare senza ostacoli o remore in ossequio allo Spirito, vale solo in un senso? E la sinodalità dove va a finire se ai vescovi viene impedito di esprimere l’insegnamento di tutta la Chiesa?

A leggere la Lettera si ricava l’espressione di una posizione equilibrata: vengono messi in evidenza alcuni aspetti del programma Biden che i vescovi ritengono opportuni, ma nello stesso tempo si mette fortemente in guardia dai programmi riguardanti vita e famiglia, invitando la nuova amministrazione a cambiare radicalmente rotta. Non c’è niente di stonato, niente di eccessivo. La colpa, allora, poteva essere solo di averlo detto. Da questo punto di vista è molto evidente il contrasto tra questa Lettera e le posizioni espresse da papa Francesco sulle elezioni americane. Quando Biden non aveva ancora ricevuto la designazione, il papa si era subito congratulato con lui, auspicando di collaborare in alcuni campi come l’ambiente e l’immigrazione. Nessun cenno alle tematiche dolorose di aborto e gender. In occasione poi della cerimonia di investitura del 20 gennaio, il papa si è pronunciato nuovamente dicendo di pregare perché il nuovo presidente costruisca una società dove si rispetti chi non ha voce. I primi a non avere voce sono i bimbi a cui è impedito di nascere, violentati nel seno materno e rivenduti a pezzi con i finanziamenti governativi. Ma nemmeno in queste parole del papa c’era un accenno esplicito al problema aborto, nonostante il programma Biden fosse invece molto esplicito in materia. Ora, la Lettera di Gomez, che invece parlava chiaramente su questo fronte, metteva a nudo le afasie del pontefice.

Ci sono molti motivi politici per questa censura: i vescovi americani dicevano (e dicono, dato che la Lettera rimane) quello che il papa non aveva voluto dire, mettendone in evidenza le afasie, quelli progressisti avranno chiamato Roma, minacciando e sostenendo l’inopportunità della Lettera che, secondo loro, avrebbe diviso l’episcopato americano; dal Vaticano non si voleva che la rottura con Biden su questo punto compromettesse la collaborazione sugli altri, ritenuti principali anche se non lo sono. Ma quelle politiche sono le cause care al mondo, per noi il vero problema deve essere invece cosa ne sia della libertà dell’episcopato.

In più occasioni questo quotidiano ha segnalato che oggi la debolezza della Chiesa è soprattutto la debolezza del suo episcopato. I vescovi oggi sono controllati, intimoriti, paurosi, di molti argomenti non parlano più, le conferenze regionali e nazionali li condizionano e dettano loro le regole, si intendono come dei funzionari, c’è un clima di proscrizione, di censura preventiva affinché non agiscano in un certo modo… molti fanno veramente fatica. Essi però “succedono agli Apostoli”, sono “Maestri della fede, pontefici e pastori”, devono essere “testimoni di Cristo davanti a tutti gli uomini” [È sempre il decreto Christus Dominus a dirlo]. La Chiesa ha bisogno di vescovi vescovi, non inibiti, pilotati o censurati quando dicono il vero.