Caso Stepinac, Chiesa croata e Vaticano ai ferri corti
Le parole del Papa sull'aereo di ritorno dalla Macedonia del Nord, che lasciano intendere l'accettazione del veto sulla canonizzazione del beato cardinale Stepinac da parte della Chiesa serbo-ortodossa, hanno provocato molte dure reazioni in Croazia. Peggio ancora, ha avuto parole di grande ammirazione per il patriarca Irinej, che invece è noto per il suo incitamento all'odio: contro croati e bosgnacchi.
«E basta con questo Stepinac!» Così monsignor Alessandro D'Errico, nunzio apostolico in Croazia dal 2012 al 2017, il 15 agosto 2013 rispondeva all'ennesima domanda sulla canonizzazione del beato Alojzije Stepinac durante un incontro presso il convento francescano di Maria Assunta di Samobor, nei pressi di Zagabria, alla presenza dei frati del convento e dei sacerdoti del locale Decanato, per una volta non ricorrendo alle consuete frasi fatte e dichiarazioni falsamente tranquillizzanti.
La reazione del nunzio D'Errico è un chiaro segno che per la "Chiesa in uscita" il beato Stepinac – che fu arcivescovo di Zagabria dal 1937 al 1960, e beatificato da san Giovanni Paolo II nel 1998 - rappresenta un serio problema, poiché egli non rientra nei parametri che essa ha codificato del pastore che "costruisce ponti e abbatte i muri", in questo caso verso la Chiesa serbo-ortodossa e l'universo politico erede del comunismo.
Così dopo avere cercato di guadagnare tempo creando una commissione mista cattolico-ortodossa sulla figura del cardinale Stepinac che, come previsto, ha lasciato immutate le posizioni delle parti (vedi qui), papa Francesco ha deciso di bloccare sine die l'ormai prossima canonizzazione (manca solo la firma del Papa al miracolo già approvato dalla commissione medica). Una soluzione per cui si sente umiliato il popolo cattolico croato, che non solo non vede riconosciuta la santità di questo suo martire, simbolo del calvario che esso ha sofferto negli ultimi cento anni, ma vede anche gli eredi spirituali dei carnefici e dei diffamatori di questo pastore elevati al ruolo di arbitri della sua canonizzazione. Non per niente diversi commentatori croati non hanno esitato a bollare questo come un "nuovo processo" cui viene sottoposto il beato da parte di papa Francesco (ad esempio qui).
Le dichiarazioni del Papa durante il volo che lo riportava in Italia dalla Macedonia del Nord lo scorso 7 maggio hanno avuto tra i cattolici croati l'effetto di una bomba, e in un instante sono stati spazzati via anni di tentativi di negare ciò che era già evidente, e cioè che alla Chiesa ortodossa serba è stato concesso il diritto di veto sulla canonizzazione del cardinale Stepinac (vedi qui), circostanza che il Presidente della Conferenza Episcopale croata e arcivescovo di Zara, mons. Želimir Puljić, considera «un atto politico» e un preoccupante precedente (vedi qui).
In Croazia in questi giorni non si parla d'altro: giornali, radio e televisioni ospitano quotidianamente articoli, dichiarazioni e dibattiti sull'argomento, i centralini delle Curie sono bombardati di telefonate di fedeli sconvolti.
E' stato a dir poco scioccante per i cattolici e l'intero episcopato croato apprendere che per avere chiarezza sul cardinale Stepinac il Papa chieda aiuto nientemeno che al serbo Irinej, chiamato da Francesco «grande patriarca». Questo elogio, tra l'altro espresso alla vigilia del compleanno del beato Stepinac che cade l'8 maggio, fa a pugni con la realtà dei fatti, giacché Irinej è un noto attizzatore di odio e di divisione nell'intera regione balcanica. Anche chi, come ad esempio la sinistra croata, non è certo ben disposto verso il cardinale Stepinac, afferma che è fuori luogo additare il patriarca Irinej come esempio di leader religioso di elevata dirittura morale (vedi qui).
Tanto per limitarci ad alcuni esempi, Irinej considera Stepinac «vicario ustascia» e «collaboratore dei nazisti». Nel 2018, insieme al Sinodo dei vescovi della Chiesa ortodossa serba, ha affermato che un buon numero di vescovi croati sarebbe di «non nascosto orientamento ustascia» e utilizzerebbe «una retorica ustascioide». Nella loro durissima risposta i vescovi croati hanno affermato che «le uscite di Irinej … non mostrano alcuna compassione verso le vittime provocate dai serbi… e rendono più profonde le ferite, non ancora guarite, causate ai tempi della guerra e favoriscono l'odio» (vedi qui). All'inizio del 2016 il patriarca ortodosso ha augurato il Buon Natale ai fedeli ortodossi residenti in «Dalmazia, Croazia, Slavonia, Lika, Kordun e Banija» (vedi qui), come se la Repubblica di Croazia quale Stato sovrano non esistesse, e menzionando non casualmente regioni che sono rivendicate dai serbi quali parti della "Grande Serbia".
Il patriarca Irinej non provoca solamente i croati, bensì anche i bosgnacchi e i montenegrini. Egli appoggia apertamente i criminali di guerra serbo-bosniaci Radovan Karadžić e Ratko Mladić, e ha definito «opera del diavolo» (vedi qui) la sentenza di condanna all'ergastolo di quest'ultimo da parte del Tribunale Internazionale per i crimini di guerra nell'ex Jugoslavia. Utilizzando un antico slogan serbo-cetniko, fondamento ideologico di tutte le guerre provocate dai serbi negli ultimi decenni, nel 2017 egli ha affermato che «è Serbia ovunque viva un serbo» (vedi qui); nel 2018 Irinej ha detto che in Montenegro lo status dei serbi è peggiore che al tempo dell'NDH, lo Stato ustascia croato ai tempi della Seconda Guerra Mondiale (vedi qui), provocando la comprensibile indignazione dei vertici politici del Montenegro.
Grazie all'infaticabile lavoro del relatore della causa di beatificazione e canonizzazione, mons. Juraj Batelja, l'indagine storica sulla figura del cardinale Stepinac è stata molto dettagliata (sono state raccolte ben 49.000 pagine di documenti) e non solo dimostra chiaramente che il cardinale non ha aderito al regime ustascia, bensì che si è trovato spesso in conflitto con esso, e con parole e azioni ha difeso la vita umana indipendentemente dall'appartenenza nazionale, razziale o religiosa delle vittime (vedi le sue omelie del 1942 qui e del 1943 qui).
Le ricerche storiche proseguono e di recente hanno fatto emergere un fatto fino a oggi sconosciuto: l'ennesima testimonianza di aiuto fattivo del cardinale a perseguitati non cattolici, e cioè che una trentina di ebrei furono nascosti fino alla fine della guerra mondiale presso l'Ospedale delle Suore della carità di Zagabria dietro ordine diretto dell'Arcivescovo (nonostante i gravi rischi che ciò comportava); e dopo che la comunità ebraica della capitale croata cessò di esistere a causa delle deportazioni, i costi del loro mantenimento furono pagati direttamente dall'Arcidiocesi.
La retorica anticroata e anticattolica dei serbi a causa dell'NDH assume i contorni dell'assurdo se si considera che a Belgrado le potenze dell'Asse istituirono uno Stato fantoccio di tendenza serbo-cetnika guidato dal generale Milan Nedić perfettamente speculare a quello ustascia guidato a Zagabria da Ante Pavelić. In questo Stato fantoccio serbo, così come avveniva in Croazia, gli ebrei furono privati di tutti i diritti civili, perseguitati e mandati a morte. Con il pretesto di registrarli, nel dicembre del 1941 le autorità serbe ordinarono loro di radunarsi presso il Comando dei Vigili del Fuoco di Belgrado e da lì, in seguito, scortati dalla Polizia serba, gli ebrei furono trasferiti dalla città per poi essere reindirizzati ai campi di sterminio in Germania o nella stessa Serbia (ce n'era uno perfino a Belgrado). Dei circa 12.000 ebrei che vivevano nella capitale serba, sopravvissero alla guerra poco più di mille.
La Chiesa ortodossa serba appoggiò e benedisse il regime di Nedić e la sua collaborazione con l'occupante tedesco, poiché scopo finale del generale era la costituzione di una Grande Serbia sotto la protezione del Reich tedesco, e ciò ha rappresentato sempre la meta desiderata dalla Chiesa ortodossa serba.
Vi è un altro particolare poco noto che permetterebbe alla Santa Sede di fare tacere all'istante qualsiasi rimostranza serba per la canonizzazione del cardinal Stepinac, e cioè che nel 2003 la Chiesa ortodossa serba ha canonizzato il vladika Nikolaj Velimirović (1881-1956) apertamente ammiratore di Adolf Hitler, a proposito del quale ebbe a scrivere: «Egli è giunto alla stessa idea di san Sava [fondatore della Chiesa ortodossa serba nell'XI secolo, n.d.R.], e da laico ha compiuto presso il suo popolo quest'opera importantissima che si addice a una persona illuminata, a un genio e a un eroe». Degli ebrei, invece, Velimirović scrisse: «Tutti gli slogan europei odierni sono stati scritti da ebrei, che hanno crocifisso Cristo: la democrazia, gli scioperi, il socialismo, l'ateismo, la tolleranza di tutte le fedi, il pacifismo, la rivoluzione generale, il capitalismo e il comunismo. Sono tutte invenzioni degli ebrei, ovvero del loro padre, il diavolo».
Negli ultimi anni l'episcopato croato ha fatto notevoli sforzi per mantenere vivo, nonostante questa vicenda, l'amore del popolo cattolico per il Papa e la Santa Sede. Ora tutto è a rischio, ed è interessante notare quanto ha affermato in un'intervista il noto francescano croato fra Smiljan Kožul, esplicitando ciò che pensa in questo momento gran parte dei fedeli cattolici croati: «Dio non ha frettaۚ», ha detto, e dopo papa Francesco, «verrà un papa che proclamerà santo Alojzije Stepinac» (vedi qui).
Aggiornamento del 14 maggio: Il nunzio apostolico Alessandro D'Errico chiede una rettifica, Guido Villa risponde.
Caro direttore,
buoni amici mi hanno segnalato un vostro recente articolo sulla questione del Beato Stepinac, dove si fa menzione anche di qualcosa che avrei detto qualche anno fa a Samobor. Mi dispiace, ma ciò non risponde a verità .
Vi prego pertanto di eliminare tutta la parte che fa riferimento al sottoscritto. Vi chiederei pure di darmene cortese conferma.
Grazie.
+ Alessandro D'Errico
Nunzio Apostolico
Eccellenza reverendissima,
la frase da Lei pronunciata a Samobor mi fu riferita tre giorni dopo il fatto da un sacerdote croato presente a quell'incontro. Era molto triste, e mi chiese: «Cosa avrà voluto dire il Nunzio con quella frase?». Io gli risposi, già allora: «Significa che la canonizzazione del beato Stepinac non arriverà presto». Non c'era bisogno di doni mistici per capire quale sarebbe stato lo sviluppo della vicenda.
Tra l'altro, si tratta di un sacerdote molto umile e pio, devotissimo a papa Francesco, e non aveva nessun motivo per inventare qualcosa che non fosse stato detto.
Prendo quindi atto della Sua smentita, da parte mia confermo quanto ho scritto.
Cordiali saluti
Guido Villa