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LA MORTE DELLA SOUBRETTE

Carrà, addio al modello del secolo edonistico

Una vita piena, quella della Carrà, scomparsa ieri a 78 anni. Soldi, successo e soddisfazioni. Modello per i giovani del secolo edonistico. Ne è valsa la pena? Non c’è tempo per chiederselo: show must go on. Avanti un altro.
- FUORI SCHEMA: HO SPARATO ALLA CARRÀ di Andrea Zambrano

Cinema e tv 06_07_2021

Si chiamava Raffaella Pelloni, ma la prima volta che la vidi aveva già assunto il nome d’arte di Carrà. Visto che si chiamava Raffaella, prenome che rimandava a un pittore, tanto valeva – le fu suggerito - associarsene un altro, Carlo Carrà. Dicevo che la vidi, unica attrice italiana, ne Il colonnello von Ryan del 1965, in mezzo a calibri internazionali come Frank Sinatra e Trevor Howard. La parte che faceva, certo, era quanto mai improbabile: per salvare degli ufficiali angloamericani fuggiti da un lager tedesco ne infila uno nella toilette del treno, poi si spoglia per depistare la ronda nazista che cerca i fuggiaschi.

Io ero un ragazzino, ma mi sembrò strano che nel 1943 o giù di lì una ragazza italiana si spogliasse in un cesso con uno mai visto prima. Ma il copione è il copione, e il «nazi» un genere letterario talmente affollato che un soggettista non sa più che cos’altro inventare (anche perché i ruoli sono praticamente fissi: i buoni sono sempre gli stessi e i cattivi pure).

Un’altra volta in cui la soubrette incrociò la mia vita fu in discoteca. La mia partner mi costrinse a esibirmi con lei nel tuca-tuca, il ballo che la Carrà aveva lanciato in televisione quando ne era diventata una presenza praticamente fissa. L’epoca dei balli-uno-al-giorno (shake, hully gully, letkiss, triangolo, surf, eccetera) era tramontata insieme a Rita Pavone e al suo geghegé, ma lei riuscì a imporre il suo anche se fuori tempo massimo.

Terzo e ultimo incontro (si fa per dire) fu quando, non sapendo più che cosa farle fare, le fu affidato uno dei primi talk-show, una cosa all’ora di pranzo in cui lei intervistava Vip dello spettacolo. Quel giorno guardai perché c’era Gilbert Bécaud, grandissimo cantautore internazionale e uno dei (pochissimi) miei graditi. A un certo punto lei gli chiese qual fosse il suo colore preferito. Lui si voltò verso l’interprete, che tradusse. A Bécaud scappò una smorfia eloquentissima che voleva dire: ma che razza di domande fa questa qui?

Spensi e da allora non me ne occupai più. Certo, quel suo sbatacchiare le testa mentre ballava rimase impresso pure a me, con quel caschetto di capelli che tornavano magicamente a posto grazie a una messa in piega fatta a regola d’arte. Dalla sua biografia risulta che, come Carla Fracci, entrò nel mondo dello spettacolo da bambina e non ne uscì più.

Ultimamente era diventata, e se ne vantava, un’«icona» del Gay Pride. Ma non c’è da farci troppo caso. L’ambiente dei creativi – e quello dello spettacolo lo è - ne è pieno ed è noto che chi va con lo zoppo impara a zoppicare, o almeno a trovarlo normale. Lei, per sua stessa ammissione, un padre non lo aveva mai avuto, visto che i suoi si erano separati in un tempo in cui i coniugi separati si contavano in Italia su una mano sola e il pensiero politicamente corretto di allora li costringeva quasi a vergognarsene.

Cresciuta da mamma e nonna, è chiaro che non trovasse affatto anormale per un bambino venir su da una coppia same-sex. Poi, svanita la fresca bellezza dei tempi in bianco e nero dell’ombelico al vento, ecco le canzoni mambo-rumba-chachachà dal ritmo scatenato e adattissime alle adunate da villaggio turistico estivo, da Com’è bello fa l’amore da Trieste in giù all’improbabile A far l’amore comincia tu, i cui versi mi hanno sempre lasciato perplesso: perché devo cominciare myself? tu sei andata un attimo in bagno? non sarebbe meglio aspettarti? Boh.

Luigi Piras Su «Il Timone» accennò anche ad altre canzoni ballabili, come Pedro e Maracaibo, con testi piuttosto equivoci; ma a chi si scatena in pista il testo non interessa. Neanche a chi li canta. Una vita piena, quella della Carrà. Soldi, successo e soddisfazioni. Modello per i giovani del secolo edonistico. Ne è valsa la pena? Non c’è tempo per chiederselo: show must go on. Avanti un altro/a.