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Brasile

Bolsonaro accusato di tentato golpe. Si mira a eliminarlo politicamente

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La Procura generale accusa l’ex presidente brasiliano e altre 33 persone di aver ordito un complotto contro l’ordine democratico. La Corte Suprema dà il via libera all’imputazione. E Lula gongola. Ma c’è il serio sospetto di una manipolazione della giustizia a fini politici.

Esteri 22_02_2025
Jair Bolsonaro nel 2024 (Ap via LaPresse)

Il caso dell’imputazione di Jair Bolsonaro per il supposto tentativo di “colpo di Stato” lascia il Brasile diviso, mentre crescono i sospetti sulla manipolazione della giustizia a fini politici e si registra una censura unilaterale verso i conservatori. Il vizio di eliminare giudiziariamente o attraverso campagna di dileggio massmediatico gli avversari politici lo conosciamo bene anche in Italia.

Ciò accade da quando Lula da Silva è tornato alla presidenza del Paese l’1 gennaio 2023 e ha consolidato la sua strettissima collaborazione con tutta la magistratura di sinistra e l’ex presidente del Tribunale elettorale superiore e ora giudice della Corte Suprema, Alexandre de Moraes, il Saint-Just della situazione.

Il 19 febbraio il procuratore generale Paulo Gonet ha accusato Bolsonaro e il generale Walter Braga Netto di essere alla guida di una «organizzazione criminale» mirante a creare un nuovo ordine nel Paese. L’indagine era stata promossa dall’allora presidente del Tribunale elettorale superiore, Alexandre de Moraes, e vede in totale 34 persone accusate di complotto. Secondo il capo di imputazione, «la responsabilità di atti dannosi per l'ordine democratico ricade su un'organizzazione criminale guidata da Jair Messias Bolsonaro, basata su un progetto autoritario di potere».

La Corte Suprema Federale del Brasile ha accettato l'imputazione e rimosso il segreto sulla testimonianza di un suo ex collaboratore, Mauro Cid, che aveva in precedenza patteggiato con la Procura generale il discarico di ogni accusa mossagli. È evidente che si voglia far fuori politicamente, dopo aver attentato alla sua vita fisica, Bolsonaro. Infatti, se fosse dichiarato colpevole, potrebbe subire una condanna sino a 43 anni di carcere, mentre già nel luglio 2023 aveva dovuto subire la decisione della Corte elettorale brasiliana che aveva vietato ogni sua candidatura sino al 2030, aprendo la possibilità di una ennesima vittoria di Lula da Silva nel 2026.

La difesa di Bolsonaro, tuttavia, ha liquidato l’ultima grave imputazione come «fantasiosa», esprimendo fiducia che la magistratura respingerà le accuse, anche perché sono emerse registrazioni audio in cui lo stesso Cid accusa la Polizia federale brasiliana di avergli fatto pressioni per fabbricare prove contro Bolsonaro, suggerendogli di confermare le accuse che erano già state preparate. Da parte sua, martedì, l'ex presidente Bolsonaro ha espresso la sua «indignazione» per essere stato denunciato dalla Procura generale e ha paragonato il Brasile al Venezuela, a Cuba e al Nicaragua.

A livello nazionale, la posta in gioco non potrebbe essere più alta. Un sondaggio di Ranking dos Políticos mostra un Congresso profondamente diviso sulla questione dell'amnistia per i rivoltosi dell'8 gennaio 2023, partecipanti ai disordini seguiti alla sconfitta elettorale di Bolsonaro. La metà dei deputati brasiliani (50%) e il 46,2% dei senatori sono favorevoli all'amnistia, una causa sostenuta dallo stesso Bolsonaro che nel frattempo cerca di riottenere l'eleggibilità per le elezioni del 2026 nonostante l'attuale divieto politico.

In questi stessi giorni è stata pubblicata anche un’altra indagine demoscopica, stavolta dell'Istituto Paraná, che vede Bolsonaro in vantaggio su Lula al primo turno delle elezioni presidenziali brasiliane, previste per il prossimo anno. In particolare, il sondaggio, condotto tra il 13 e il 16 febbraio, indica che si registra per il leader conservatore un'intenzione di voto del 36%, rispetto al 33,8% ottenuto dall'attuale presidente brasiliano. Non a caso, proprio il 20 febbraio, un giorno dopo la richiesta di imputazione di Bolsonaro e a poche ore dalla pubblicazione dei sondaggi, il presidente Lula faticava a trattenere la felicità e mostrava di non avere dubbi sulle testimonianze che accusano Bolsonaro, né sull’esito del processo (nemmeno iniziato), dichiarando che, se le accuse contro il suo predecessore e gli altri imputati del complotto si dimostreranno vere, «non c'è altra soluzione che condannarli».

Il silenzio accondiscendente della sinistra politica internazionale è stato rotto il 17 febbraio, quando Pedro Vaca, relatore speciale per la libertà di espressione della Commissione interamericana per i diritti umani, ha incontrato cinque legislatori brasiliani che hanno intentato una causa per violazioni del loro diritto alla libertà di parola contro l’esecutivo di Brasilia e i Tribunali federali del Paese. Ciò anche a seguito delle denunce delle organizzazioni americane Alliance Defending Freedom (ADF) International e Catholic Vote che hanno più volte segnalato che una delle forme più drastiche di censura si è verificata nel settembre 2024, quando in Brasile è stata vietata la piattaforma X, poi ripristinata. Tuttavia, la società Trump Media & Technology Group (proprietaria del social network Truth), fondata nel 2021 dall'attuale presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha dovuto citare in giudizio anche in questi giorni il giudice brasiliano Alexandre de Moraes, accusandolo di violazione della libertà di espressione, per aver ordinato la chiusura degli account di un commentatore brasiliano che vive negli Stati Uniti e che è un sostenitore dell'ex presidente Bolsonaro.

Lo stesso Alexandre de Moraes, nel 2024, si era reso protagonista della censura e dello spegnimento, su tutto il territorio brasiliano, del social network X, di proprietà di Elon Musk, con il fine non dichiarato di imbavagliare le voci dei cristiani e dei conservatori critici di Lula e degli abusi dei suoi magistrati politicizzati. Un fatto di cui abbiamo già parlato sulla Bussola. Ancora una volta e anche in Brasile, la sinistra teme la libertà dei propri cittadini.



LULA

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