Biden si ritira dalle elezioni, i Democratici orfani del loro candidato
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Con una mossa senza precedenti, il presidente Usa Joe Biden decide di ritirare la sua candidatura alla rielezione pur avendo vinto le primarie. Sceglie Kamala Harris per correre al suo posto. Non è detto che il Partito Democratico segua il suo consiglio.
- Fari puntati sull'«azzardo» Harris, di Vincenzina Santoro
Secondo grande colpo di scena della campagna elettorale americana, in una settimana, dopo il fallito attentato a Donald Trump: domenica 21 luglio Joe Biden ha annunciato il suo ritiro dalla corsa per la Casa Bianca. Rinuncia a competere per la rielezione, «per il bene del partito e del paese», come scrive nella sua lettera in cui annuncia la decisione.
Una lettera che suona come un ritiro dalle scene definitivo, quasi come se avesse voluto dimettersi dalla carica di presidente. Infatti inizia con un elenco delle sue politiche e dei suoi successi, con un ringraziamento al popolo americano che lo ha sostenuto, con l’affermazione “è stato un onore essere il vostro presidente” (come a dire che d’ora in avanti non lo sarà più) per poi concludere con la sua decisione a rinunciare alla nomination per la rielezione.
Questa scelta era nell’aria almeno dalla fine di giugno, da quando, al primo dibattito televisivo, Biden era stato stracciato da Trump e aveva dimostrato di non essere affatto apparso in buona salute. Il ritiro dalle elezioni era una mossa attesa da un giorno all’altro, tanto che, venerdì già i quotidiani statunitensi ed europei titolavano di un possibile annuncio entro le successive 72 ore. Il Commander in chief è malato di Covid da giovedì e però è in fase di guarigione. Fino alla fine della settimana scorsa dichiarava di “non vedere l’ora” di riprendere la campagna elettorale. Ma puntualmente, ieri, si è verificato quel che era ampiamente previsto e prevedibile.
Come c’era da attendersi, Biden sta incassando le lodi per la responsabilità dimostrata, da tutti coloro che fino a ieri avevano fatto pressioni perché si ritirasse. Prima di tutto dal leader della maggioranza democratica in Senato, Chuck Schumer che lo definisce “un vero patriota” visto che fino al giorno prima aveva insistito perché facesse un passo indietro. Al coro dei plaudenti si unisce l’ex presidente Barack Obama che non si era esposto personalmente nella gara a chiedere il ritiro di Biden, ma lo aveva fatto scrivere dal suo “ambasciatore” informale George Clooney sul New York Times, con un editoriale concordato. Ora che ha ottenuto quel che voleva, dichiara: «Joe Biden è stato uno dei presidenti più importanti d’America, oltre che un mio caro amico e partner. Oggi ci ha anche ricordato - ancora una volta - che è un patriota di prim’ordine».
La pressione era diventata evidentemente insostenibile per il presidente. Non solo Chuck Schumer, in Senato, ma anche trenta deputati alla Camera gli chiedevano di farsi da parte. Nancy Pelosi, ex speaker della Camera, è stata una delle più attive in questa campagna di demolizione, iniziata subito dopo il disastroso dibattito televisivo di fine giugno con Donald Trump. I finanziatori, uno ad uno, stavano ritirando il loro sostegno. Al fianco del commander in chief erano rimasti i sindacati, il Black Caucus (che rappresenta gli afro-americani) e i Clinton. Troppo poco per controbilanciare il volume di fuoco degli avversari. E proprio domenica, di fronte alla Casa Bianca, attivisti democratici avevano organizzato la prima manifestazione pubblica per chiedere a Biden di “passare la torcia” a un altro candidato, per “il bene della democrazia”.
E adesso chi si candiderà? La scelta parrebbe scontata: la vicepresidente Kamala Harris. Joe Biden, subito dopo aver dichiarato la sua intenzione di ritirarsi dalle elezioni, ha anche annunciato il suo sostegno alla candidatura della vicepresidente: « La mia prima decisione come candidato del partito nel 2020 è stata quella di scegliere Kamala Harris come vicepresidente. Ed è stata la decisione migliore che abbia mai preso. Oggi voglio offrire il mio pieno appoggio e sostegno a Kamala come candidata del nostro partito quest’anno. Democratici - è ora di unirsi e battere Trump. Facciamolo». Si tratta della scelta più logica. Le elezioni primarie democratiche sono state vinte da Biden, ma in coppia con la sua vicepresidente. I finanziamenti raccolti sinora erano per Biden, ma nel ticket Biden/Harris e la vice può accedere direttamente a quelle risorse. Che non verrebbero trasferite automaticamente, invece, a un altro candidato eventuale.
Il partito però si sta dividendo. Ad esprimere subito il proprio appoggio alla candidata indicata da Biden sono i Clinton, l’ex candidata presidente Elizabeth Warren, la deputata di estrema sinistra Ilhan Omar e alcuni fra i maggiori finanziatori democratici, fra cui George Soros. Ma è eloquente il silenzio (finora) di Obama, della Pelosi, di Schumer, di tutti coloro, insomma, che avevano chiesto con più insistenza a Biden di fare un passo indietro. Non c’è alcun automatismo nella successione della candidatura. I delegati di Biden, eletti nelle elezioni primarie democratiche, ora sono liberi di votare chi preferiscono.
Nella Convention Nazionale Democratica che si terrà il mese prossimo a Chicago, dunque, potrebbe essere nominato un altro candidato alla presidenza. I nomi sono solo frutto di speculazioni giornalistiche. Sinora i candidati più papabili, citati dalla stampa americana, sarebbero i più celebri governatori democratici: Gavin Newsom (California), Gretchen Whitmer (Michigan), Josh Shapiro (Pennsylvania) o anche il segretario ai Trasporti Pete Buttigieg. Ciascuno di loro può essere “neutralizzato” tramite cooptazione, perché la Harris dovrà ora indicare chi sarà il suo candidato vicepresidente.
I Democratici, però, dovranno spiegare al pubblico perché hanno lasciato che Biden si candidasse e vincesse le primarie (quasi senza rivali) prima di convincerlo al ritiro. Non ci sono precedenti nella storia del Novecento. Anche Lyndon Johnson, nel 1968, aveva rinunciato alla nomination durante le primarie democratiche, non dopo averle vinte e aver raccolto i fondi. Occorre un motivo serio di salute per prendere una decisione così drastica, dopo aver incassato voti e finanziamenti in tutti e 50 gli Stati. Ma allora, in tal caso: Biden è ancora in grado di ricoprire la carica di presidente? Su queste contraddizioni sta già lavorando il Partito Repubblicano.
Con la sua consueta delicatezza, Donald Trump ha scritto su Truth (il suo social network): «Il disonesto Joe Biden non era adatto a candidarsi alla presidenza, e di certo non è adatto a governare - e non lo è mai stato! Ha raggiunto la posizione di Presidente solo grazie alle bugie, alle fake news e al fatto che non ha lasciato il suo seminterrato». Ma è lo speaker della Camera, Mike Johnson, che lascia intuire la possibilità di un impeachment: «Se Joe Biden non è idoneo a candidarsi alla presidenza, non è idoneo a ricoprire la carica di presidente. Deve dimettersi immediatamente dall’incarico. Il 5 novembre non arriverà mai abbastanza presto».