Biden scarica Israele. Netanyahu protesta, ostaggi Usa sacrificati
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Con l'astensione degli Usa è passata una risoluzione che chiede il cessate-il-fuoco a Gaza, ma non la liberazione degli ostaggi. E fra questi ci sono anche americani.
Un’astensione ha fatto più clamore di mille voti. E così, gli Stati Uniti, astenendosi mentre veniva votata una risoluzione (non vincolante) per chiedere un immediato cessate il fuoco a Gaza, hanno quasi rotto le relazioni con Israele, il loro alleato più duraturo e fedele nel Medio Oriente.
La scelta dell’amministrazione Biden ha colto un po’ tutti di sorpresa, anche se i sintomi erano ormai molti e ben visibili. Pochi giorni prima gli Usa avevano proposto una risoluzione in cui si chiedeva il cessate-il-fuoco, ma vincolandolo alla liberazione immediata degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas. Cina e Russia avevano esercitato il loro diritto di veto e Washington aveva protestato, definendo come “vergognoso” il loro atteggiamento. Nella risoluzione proposta il 25 marzo, il cessate-il-fuoco non era vincolato dalla liberazione degli ostaggi. Si chiedeva, infatti: “un cessate-il-fuoco immediato per il Ramadan rispettato da tutte le parti che conduca ad un cessate-il-fuoco durevole e sostenibile e al rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi, nonché la garanzia dell’accesso umanitario per far fronte alle loro esigenze mediche e umanitarie”. La liberazione degli ostaggi viene dunque lasciata in una seconda fase. Quel che si chiede nell’immediato è una cessazione delle ostilità in occasione della festività islamica del Ramadan. In teoria gli Usa avrebbero dovuto porre il veto. Invece si sono astenuti.
Gli effetti politici si sono visti immediatamente. Hamas ha accolto con favore la notizia dell’approvazione della risoluzione. Ismail Haniyeh ha dichiarato ieri, 26 marzo, in Iran: «Israele ha fallito e non ha più sostegno nel mondo». Russia, Cina e Algeria hanno votato a favore, mentre Israele l’ha definita «un chiaro allontanamento dalla posizione (finora, ndr) coerente degli Stati Uniti». Una delegazione di alto profilo, in partenza per gli Usa, è stata fermata. Parole di fuoco dall’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu: «La risoluzione odierna dà ad Hamas la speranza che la pressione internazionale costringa Israele ad accettare un cessate-il-fuoco senza il rilascio dei nostri ostaggi, danneggiando così sia lo sforzo bellico che il tentativo di liberare gli ostaggi». A parziale conferma di queste tesi è arrivata, poche ore dopo il voto all’Onu, la notizia del fallimento dei negoziati a Doha. Hamas ha respinto la bozza di accordo che avrebbe previsto lo scambio di 7-800 carcerati palestinesi contro 40 ostaggi israeliani. La risoluzione sul cessate-il-fuoco, dunque, ha sicuramente indebolito il potere negoziale di Israele.
Per Biden non si tratta solo di un problema internazionale, ma anche di una questione interna. Fra i 250 ostaggi catturati da Hamas il 7 ottobre scorso, infatti, c’erano anche 10 cittadini americani. Di questi due sono morti: Judy Weinstein e Gad Haggai. Altri due sono stati liberati: Liat Beinin Atzili e Avigail Idan. Ma sei sono ancora nelle mani di Hamas: Edan Alexander, Itai Chen, Sagui Dekel-Chen, Omer Neutra, Hersh Goldberg-Polin e Keith Siegel. Nel suo discorso dello Stato dell’Unione, al Congresso erano stati ospitati i famigliari delle vittime, sia degli ostaggi uccisi, sia di quelli ancora in cattività e probabilmente ancora in vita. Biden aveva promesso loro e alla nazione: «Non ci fermeremo finché non riporteremo a casa i loro cari». Lasciando che venisse approvata una risoluzione in cui una richiesta di cessate-il-fuoco non viene vincolata alla liberazione degli ostaggi, Biden può essere accusato di aver violato la sua promessa. In campagna elettorale, ne pagherà le conseguenze.
Ma il presidente guarda ad altri numeri, ad altri americani. Innanzitutto alla sua stessa amministrazione, dove, man mano che la guerra a Gaza si prolunga e cresce il numero delle vittime, è sempre più difficile mantenere i ranghi. Prima la lettera di 67 ex funzionari della sicurezza nazionale al presidente americano e ai segretari di Stato e della Difesa, in cui si chiede uno stop immediato a Israele. Poi la stessa vicepresidente Kamala Harris ha ventilato “conseguenze” nel caso l’esercito israeliano dovesse attaccare Rafah, ultima roccaforte di Hamas e anche ultimo rifugio dei profughi palestinesi. Fra queste conseguenze, stando a informazioni trapelate alla stampa, vi potrebbe essere anche un embargo sulle armi. Biden, dunque, deve iniziare a pensare come tenere assieme il suo partito e la sua stessa amministrazione. Però la sua strategia paga nell’opinione pubblica americana?
Lo scenario è abbastanza frastagliato, a domande differenti gli americani rispondono in modo molto diverso. Comunque, per quanto riguarda la questione ostaggi, secondo un sondaggio Harvard Caps/Harris il 63% degli americani sostiene un cessate-il-fuoco, ma solo dopo la liberazione degli ostaggi e la rimozione di Hamas dal potere. Secondo quanto rilevato dal Pew Research Center, il 58% degli americani ritiene che Israele abbia validi motivi per combattere contro Hamas. Mentre solo il 22% ritiene che Hamas abbia validi motivi per combattere Israele. Però queste percentuali quasi si invertono, se si guarda ai dati dei musulmani americani. E Biden, appena reduce della scottatura subita dal loro voto contrario nelle primarie del Michigan, ne deve tenere conto. Anche fra gli elettori democratici e fra i giovani in età universitaria, si incontra molta meno simpatia per Israele e molta più comprensione per Hamas.