Benedetto XVI, padre e maestro in tempi di crisi
Pur avendo lasciato il pontificato da 10 anni, Joseph Ratzinger ci manca. E non solo come illustre teologo, vescovo, cardinale e pontefice, ma prima ancora come un riferimento certo, che ci invita a essere saldi nella fede e radicati nella preghiera per far fronte alla dittatura del relativismo.
Joseph Ratzinger/Benedetto XVI ci manca. Non ci manca solo come autorevole professore o affermato teologo, ben potendo leggere, rileggere o riascoltare il suo pensiero, i suoi scritti, le lezioni universitarie, le catechesi del suo pontificato.
Non ci manca solo come uomo di Chiesa e delle istituzioni ecclesiastiche, dapprima come vescovo e cardinale, e poi come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e fra i più stretti collaboratori di Giovanni Paolo II, non potendo pretendere di più di quanto ha fatto e dato per la Sposa di Cristo.
Non ci manca solo come papa, avendo da quasi 10 anni (era l’11 febbraio 2013) rinunciato al ministero di Vescovo di Roma e successore di Pietro, ed essendosi ritirato in silenziosa preghiera presso il Monastero Mater Ecclesiae.
Ciò che ci manca di più di Benedetto XVI è un riferimento sicuro nella Chiesa cattolica in un periodo storico in cui l’umanità sta attraversando profondi cambiamenti culturali, etici e sociali; di un “pastore” che interpreti saggiamente il ministero della Chiesa tra fedeltà alla tradizione e adattamento ai mutamenti in atto; di un “padre” che, con atteggiamento amorevole, riaffermi – e ripeta se necessario – al proprio “figlio” gli eterni concetti di giusto e sbagliato, bene e male secondo i dogmi della Chiesa e dell’insegnamento cattolico consolidatosi nei secoli, senza aver paura di andare controcorrente rispetto al mutato sentire politico, ideologico, etico, sociale e culturale; senza aver paura di frenare spinte riformatrici, ove contrarie alla dottrina della Chiesa; senza aver paura di contraddire teorie fuorvianti, di condannare ingerenze e condizionamenti contrari al bene della Chiesa e dei fedeli. Il testamento spirituale, che Benedetto XVI ci hai lasciato, ripercorre momenti salienti della sua opera pastorale e del suo pensiero, ed è ancora una volta occasione di riflessione teologica e di meditazione spirituale.
L’importanza della preghiera e in particolare della preghiera di lode a Dio. Quasi tutto il testamento spirituale è un inno di lode, di ringraziamento a Dio: per il dono della vita, per avergli fatto da Guida nei «momenti di confusione» e Luce lungo i «tratti bui e faticosi»; e ancora lode a Dio per «i tanti amici, uomini e donne» che gli ha posto a fianco, per i maestri e gli allievi, per la patria bavarese, per Roma e l’Italia (sua seconda patria), per la «bellezza della fede…»; e non si può fare a meno di notare la strana coincidenza tra questa preghiera di lode e il giorno della morte (31 dicembre), quasi che Dio gli abbia concesso di “cantare” il suo ultimo Te Deum. Sull’importanza della preghiera Benedetto XVI si è soffermato molto nel corso del suo pontificato. All’Udienza Generale dell’8 agosto 2012, dedicata alla catechesi su san Domenico di Guzman (fondatore dei domenicani), affermò che «all'origine della testimonianza della fede, che ogni cristiano deve osare in famiglia, nel lavoro, nell'impegno sociale, e anche nei momenti di distensione, sta la preghiera, il contatto personale con Dio; solo questo rapporto reale con Dio ci da la forza per vivere intenso ogni avvenimento, specie i momenti più sofferti».
L’esortazione a rimanere saldi nella fede, a non lasciarsi confondere! Il richiamo a preservare la propria fede si ricollega agli studi teologici e agli approfondimenti accademici onde mettere in guardia il fedele da tesi filosofiche che – partendo dai risultati raggiunti dalle scienze naturali e dalla ricerca storica (ed in particolare dalla esegesi della Sacra Scrittura) – conducano a negare la ragionevolezza della fede cattolica. Sul rapporto tra fede e ragione Benedetto XVI tenne il 12 settembre 2006 una lectio magistralis presso l'università di Ratisbona, in cui rilevò la necessità di superare le teorie riduzionistiche, proprie delle scienze naturali e dell’età moderna, tese a limitare il concetto di ragione «a ciò che è verificabile nell'esperimento». Ammettendo la possibilità di un concetto di ragione allargata fino ad includervi la religione ed il divino, individuò nell'elemento del Logos (nel suo significato di “ragione” e “parola”) «la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia», evidenziando come la fede della Chiesa si sia sempre attenuta «alla convinzione che tra Dio e noi, tra il suo eterno Spirito creatore e la nostra ragione creata esista una vera analogia», per cui il culto cristiano è un culto verso l’amore del Dio-Logos.
Il pericolo della dittatura del relativismo. L’esortazione a rimanere saldi nella fede richiama altresì i fedeli al pericolo del relativismo, che contraddistingue i tempi moderni. Nell’omelia della Missa pro eligendo Romano Pontifice del 18 aprile 2005 rilevò quante correnti ideologiche, quante dottrine del pensiero (dal marxismo al liberalismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo) agitano il pensiero di molti cristiani: «il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie». Indicò la strada per uscire da codesta dittatura: «avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa», riconoscendo che «Gesù Cristo è veramente la via, la verità e la vita».
L’umiltà. Infine i passaggi del testamento che richiamano all’umiltà: «A tutti quelli a cui abbia in qualche modo fatto torto, chiedo di cuore perdono»; «chiedo umilmente: pregate per me, così che il Signore, nonostante tutti i miei peccati e insufficienze, mi accolga nelle dimore eterne». L’umiltà è l’altro tratto distintivo che ha caratterizzato il suo pontificato sin dal suo primo discorso subito dopo l'elezione: «Cari fratelli e sorelle, dopo il grande papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice ed umile lavoratore nella vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare ed agire anche con strumenti insufficienti…». E poi ancora l’atteggiamento di umiltà ricorre nell’omelia della Santa Messa d’inizio del Pontificato (24 aprile 2005): «io debole servitore di Dio devo assumere questo compito inaudito, che realmente supera ogni capacità umana. Come posso fare questo? Come sarò in grado di farlo?».
Al termine della sua vita terrena, nonostante il percorso di affermato teologo, insigne professore, ai massimi vertici delle gerarchie ecclesiastiche fino al soglio di Pietro, si può riconoscere che Benedetto XVI sia stato veramente Servus servorum Dei, in perfetta sintonia con quella misura di umiltà che Gesù chiede ai suoi Apostoli: «Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti» (Mc 9,35).