Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
la narrazione

Benedetto "papa di transizione"? Seewald smentisce Francesco

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Ratzinger lodato e sminuito dal successore, dice il biografo del pontefice tedesco. Che contesta la tesi dell'armonica continuità tra i due pontificati, contraddetta dai fatti.

Ecclesia 13_04_2024

Benedetto XVI, «papa di transizione»: definizione che ha fatto sobbalzare il suo biografo Peter Seewald leggendo la ricostruzione del conclave del 2005 fatta da Francesco nel recente (ed ennnesimo) libro El sucesor. Mis recuerdos de Benedicto XVI, in cui il Pontefice – intervistato da Javier Martinez Brocal – offre la sua “versione dei fatti” circa i rapporti con il predecessore. Addirittura proprio lui avrebbe contribuito all’elezione di Ratzinger, quando l’allora cardinal Bergoglio avrebbe dirottato il suo pacchetto di voti verso il confratello tedesco, rifiutando di venire strumentalizzato per bloccarne l’elezione. Dopo Giovanni Paolo II «c’era bisogno di un Papa che mantenesse un sano equilibrio, un Papa di transizione», mentre «se avessero eletto uno come me [cioè Bergoglio], che fa molto casino, non avrebbe potuto fare nulla. In quel momento, non sarebbe stato possibile. Io sono uscito contento».

Il racconto presenta peraltro qualche incongruenza, come la frase che avrebbe rivolto al cardinale Castrillón Hoyos: «Non scherzare con la mia candidatura, perché adesso dico che non accetterò, eh?». È un po’ difficile pensare che tra i sostenitori della candidatura di Bergoglio, per di più in funzione anti-Ratzinger, ci fosse proprio il porporato colombiano dalla sensibilità alquanto diversa dall’argentino (tanto che due anni prima aveva celebrato una “storica” Messa in rito antico in Santa Maria Maggiore, per la prima volta in una basilica romana dopo la riforma liturgica). Ma né Ratzinger né Castrillón Hoyos possono dire la loro: sia perché defunti, sia perché solo il Papa ha facoltà di rompere il segreto del conclave (facoltà che in ogni caso il Papa emerito non avrebbe più avuto dopo il 2013).

La narrazione su "Benedetto secondo Francesco" viene smentita da Seewald, il quale inoltre ha colto la palla al balzo per rimarcare la grandezza di Ratzinger: altro che papa di transizione! Intervistato da Katholische SonntagsZeitung für das Bistum Regensburg, settimanale della diocesi di Ratisbona, Seewald afferma che «Ratzinger ha fatto la storia» e lo descrive «innanzitutto come un pastore che non si è risparmiato nella preoccupazione per l’umanità, per i credenti, per la fedele trasmissione del messaggio di Cristo», rivelandosi l’autentico riformatore, poiché «la riforma dovrebbe riportare al nucleo della fede, non al suo sventramento». Ineguagliabile «nell’acume intellettuale e nella chiarezza dell’espressione» era al contempo dotato di «grandezza umana e sincerità di cuore». Un fine intellettuale – da annoverare «tra i geni tedeschi» al pari di Beethoven, Bach e Hölderlin – per il quale al contempo «era importante difendere la fede della gente comune».

Tutto questo, nel conclave del 2005, faceva di Joseph Ratzinger «l’unico ad avere l’esperienza, la testa, il cuore, la nobiltà e, non ultima, l’umiltà per portare avanti l’eredità del grande Giovanni Paolo II in una nuova epoca. Senza rotture, cosa che nessuno riteneva possibile». Se transizione c’era, era puramente cronologica: eletto a 78 anni, Ratzinger «si aspettava un pontificato breve», durante il quale tuttavia «stabilì la rotta». Insomma, più che una scelta “obbligata” nell’arduo compito di trovare un successore a Wojtyla era la scelta migliore, «il più grande teologo mai seduto sulla cattedra di Pietro e un dottore della Chiesa contemporaneo». «Soprattutto», sottolinea Seewald, «ha parlato senza ambiguità».

Se da un lato Francesco definisce il predecessore «un grande papa», dall’altro «lo sminuisce definendolo nonno, amico paterno o “papa di transizione”». Un «duplice approccio» che Seewald spiega con la volontà di Francesco di «rompere la continuità dei papi, sfidare la tradizione, o semplicemente fare “casino”, come dice nel libro di Javier Martinez-Brocal». Del resto «ha dimostrato in modo eloquente chi fosse il padrone di casa, sbarrando l’accesso alla Messa tradizionale che invece Benedetto aveva liberalizzato».

Più volte nel corso degli anni Francesco si è riferito a Benedetto XVI come il «nonno saggio» (definizione che, come ha rivelato mons. Georg Gänswein, il diretto interessato commentò: «Mah, in fondo abbiamo soltanto nove anni di differenza. Forse era più corretto definirmi “fratello maggiore”...»). Con il predecessore Francesco avrebbe coltivato rapporti di reciproca stima, mentre ad alimentare la contrapposizione semmai sarebbero stati i soliti critici, rei di aver tirato per la talare il Papa emerito per strumentalizzarne la figura. Tra i quali si dovrebbe annoverare anche l’arcivescovo Gänswein (El sucesor per certi versi è anche una risposta a Nient’altro che la verità, in cui il segretario di Benedetto XVI smentisce proprio la tesi dell’armonica coesistenza). Il cardinal Sarah si salva per un soffio: probabilmente fu «un errore» nominarlo al Culto Divino, dice Francesco, poiché «da quel momento in poi è stato manipolato da gruppi separatisti, ma è un uomo buono». Insomma, distinguere Ratzinger dai ratzingeriani (e forse pure Sarah dai sarahiani), per ribadire la piena armonia tra i due pontefici e la continuità tra i due pontificati – con buona pace di Traditionis Custodes e di tanti altri gesti che sembrano piuttosto indicare il contrario.



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