Ben Jelloun predica contro il jihad, lontano dal fronte
Tahar Ben Jelloun, dal pulpito de La Repubblica, predica contro le comunità islamiche che non lottano abbastanza contro l'estremismo. Ma dimentica i veri musulmani moderati, che lottano e muoiono contro i fanatici. Comodo predicare dal pacifico Marocco, quando le periferie italiane sono un romanzo criminale jihadista
L’ennesima lezioncina, nemmeno troppo accorata, contro le comunità islamiche che non farebbero abbastanza contro l’estremismo. L’autore è lo stesso di sempre, Tahar Ben Jelloun. Il pulpito è Repubblica, che fino a ieri mai si sarebbe sognata di ospitare un contributo qualsiasi (uno vero si intende) contro il radicalismo, alla quale più volte è stato fatto presente di ignorare ad esempio il passato del signor Tariq Ramadan, sedicente islamologo e in realtà icona di islamismo politico, nipote del fondatore dei Fratelli Musulmani e oggi accusato di violenza, falsi titoli e di aver comprato il silenzio di una donna.
La considerazione che la testata ha avuto fino a poco tempo fa del personaggio già dice molto su come intendesse la lotta al radicalismo. E dunque non stupisce lo spazio concesso a Jelloun, legittimo ma di certo simbolico di una lotta al jihadismo piuttosto tiepida. Se non di facciata. Leggere le parole di Jelloun, lascia la sensazione che non conosca per niente la realtà italiana, dove l’islamismo radicale è nel cuore della società, con moschee fai da te e imam che predicano il proselitismo terrorista. Ci dice che l'Italia dovrebbe fare quello che la Francia non ha saputo fare: eppure lasciò una Francia ritenuta troppo razzista quando non islamofoba. Troppo facile scrivere da Tangeri, da quel Marocco dove Jelloun si è ritirato senza lasciare praticamente nulla se non questi suoi sporadici interventi. Parlare di secolarizzazione dell’islam senza mai sporcarsi le mani, senza andare faccia a faccia con il jihadismo militante. Chiede ai musulmani di impegnarsi, di partecipare: i moderati partecipano, caro Tahar, peccato tu non lo sappia perché la tua corrente di pensiero, il buonismo, ne ha fatto da tempo bersagli predestinati di invettive. I premi per la cultura vinti da Belloun sono sicuramente un motivo di vanto ma non hanno mai fermato un proselitista o cambiato un orientamento ideologico, non hanno mai spostato equilibri interni a comunità o gruppi sociali. I moderati e i dissidenti, oltre a chi decide di cambiare idea, sono morti per farlo.
Quello che si vive in un Paese come l’Italia è un ‘romanzo criminale’ solo di stampo jihadista e proselitista, con il copione ‘gentilmente’ offerto dalla Fratellanza musulmana e la cui ‘produzione’ è finanziata dal Qatar. Jelloun parla di secolarizzazione: ma secolarizzare cosa? Con la melassa tentacolare del politicamente corretto, emanazione nauseabonda del pensiero unico che funge da collante socio-culturale, da humus all'estremismo proselitista. Evidentemente il signor Jelloun non è a conoscenza del fatto che il tasso di scolarità delle bambine di origine maghrebina è sotto la soglia della tolleranza, che si è dovuta approvare nel 2007 una legge contro l’infibulazione per fermare un fenomeno dilagante, che le spose bambine sono ancora vittime del politicamente corretto al motto di ‘’a casa loro è così’’, che molti sponsorizzano la poligamia. Ma capisco che davanti ad un buon the, sul mare a Tangeri tutto diventa più diluito, meno pungente, meno preoccupante. E dunque ci si può dedicare a concetti senza radice. Del resto la consapevolezza che ci sono altri a resistere sul campo al jihadismo è molto rassicurante per chi si diletta di filosofia contro un’ideologia di morte. Che c’è gente che non molla, pur avendo sempre più chiara la percezione del vento contro.