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IL CASO

Avvenire e aborto, il silenzio della CEI è un tradimento

La clamorosa difesa della legge 194 da parte del quotidiano dei vescovi italiani è stata seguita dall'incomprensibile silenzio della presidenza CEI, come se nulla fosse accaduto. E pensare che appena due giorni prima il vescovo di Reggio Emilia, proprio dalle colonne di Avvenire, invitava i vescovi a parlare di più e più chiaro sui temi etici.

Editoriali 29_08_2020 Español

A volte la vita è davvero curiosa. Il 25 agosto il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), Avvenire, pubblica una lettera del vescovo di Reggio Emilia, monsignor Massimo Camisasca, che cerca di rispondere ai tanti fedeli che rimproverano ai vescovi di parlare poco «sulle questioni che turbano la nostra coscienza», tipo aborto, eutanasia, identità sessuale. Monsignor Camisasca dice essenzialmente due cose: i vescovi parlano, ma siccome ragionano invece di urlare la loro voce non arriva sui grandi giornali; però potrebbero, anzi dovrebbero, parlare di più e più chiaramente sia usando i giornali diocesani e locali, sia usando Avvenire.

Diverse sono state le interpretazioni sul motivo di questa lettera, ma non è questo che qui ci interessa. Rileviamo invece che appena due giorni dopo, il 27 agosto, Avvenire pubblica un’altra lettera autorevole che inneggia alla legge italiana sull’aborto: «La legge 194 non è una legge contro la vita e può essere accettata dai cattolici», si legge nello scritto di Angelo Moretti che abbiamo già commentato ieri e sul cui contenuto quindi non torniamo. Ma la lettera, pubblicata senza commento alcuno, significa che ha avuto l’avallo della direzione del giornale.

Ribadiamo perciò l’estrema gravità del passaggio, che ha scandalizzato molti che ancora credono che Avvenire sia un giornale cattolico, ma che in qualche modo ha sorpreso anche noi che pure da molto tempo andiamo registrando la continua e inarrestabile deriva etica di questo giornale che è diventato ormai soltanto clericale.

Il quotidiano della CEI dunque sostiene la legittimità e la piena accettabilità di una legge che permette l’aborto, quella stessa legge per riparare alla quale i vescovi italiani istituirono la Giornata della Vita la prima domenica di febbraio a partire dal 1979.

Sarà una coincidenza che l’intervento di Moretti sia stato pubblicato subito dopo l’esortazione di monsignor Camisasca a parlare chiaro a difesa della vita, ma certo l’effetto è notevole. Suona come una replica diretta della direzione del giornale alla lettera di un vescovo che non poteva non essere pubblicata.

E si rivela come la smentita più clamorosa alle parole del vescovo di Reggio Emilia. Perché non si è sentito alcun altro vescovo dire una sola parola su quanto pubblicato da Avvenire. Vogliamo essere ottimisti: forse qualcuno avrà chiesto spiegazioni al direttore di Avvenire, forse qualcuno avrà fatto una telefonata al presidente della CEI, cardinale Gualtiero Bassetti. Ma non è certo quanto auspicato da monsignor Camisasca, che nella lettera diceva ai confratelli vescovi: «Dobbiamo rinnovare la vicinanza al nostro popolo attraverso un giudizio equilibrato e misericordioso sui fatti di ogni giorno che non taccia di fronte alla mentalità del mondo».

Invece nessun giudizio si è levato; e si conferma la lontananza dei pastori, ormai totalmente rassegnati alla mentalità del mondo e anche all’aria che tira nella Chiesa.

In ogni caso la gravità di quanto pubblicato da Avvenire è superata soltanto dalla gravità del silenzio complice dell’episcopato, e soprattutto della presidenza CEI che di Avvenire è la diretta responsabile. Non è pensabile che una vicenda così enorme passi tranquillamente sotto silenzio, come se nulla fosse.
Non sta a noi decidere cosa la presidenza CEI dovrebbe fare, ma se nulla accadesse o ce se la cavasse semplicemente con qualche acrobazia giornalistica per salvare capra e cavoli, il popolo cristiano – quello citato da monsignor Camisasca – non potrebbe che trarne le logiche conclusioni: i nostri pastori hanno definitivamente tradito Cristo e la Chiesa. E il rumore del tintinnare dei trenta denari si è fatto assordante.

P.S.: Nell'edizione odierna Avvenire continua nel giochino mascherandolo da dibattito aperto sulle «tante implicazioni dell'aborto, una tragedia antica come l'umanità», come lo spiega il direttore Marco Tarquinio. Così si pubblica l'intervento pro-vita del dottor Angelo Francesco Filardo e quello di un medico «credente, non obiettore», Giovanni Fattorini. Quest'ultimo ci spiega come la pillola abortiva RU486 sia un'ottima alternativa all'aborto chirurgico, non presenti rischi significativi rispetto all'intervento in ospedale, non violi la legge 194, presenti anzi degli aspetti positivi: infatti, abortendo in casa si evitano le infezioni che si possono prendere in ospedale, vedi Covid-19. Tesi allucinanti per chi ha ascoltato le testimonianze di donne che hanno abortito con la RU486, ma per stare al motivo di questo articolo è importante notare come il direttore di Avvenire consideri i due interventi alla stessa stregua, nulla da eccepire: «sono due ginecologi, sono due persone oneste, due credenti che hanno due visioni per molti versi opposte». Ma vanno bene tutte e due, entrambe servono per «ascoltare la realtà». Nulla da eccepire neanche al fatto che ci si possa definire credenti e non obiettori, cioè abortisti. Questo è il messaggio che si passa ai cattolici: essere abortisti non contrasta con la fede cattolica. Bene, anzi male, malissimo. Attendiamo ancora che il presidente della CEI ci spieghi come sia possibile questo scempio della verità sul giornale di cui è editore; e attendiamo che altri vescovi si sveglino perché le posizioni di Avvenire, lo vogliano o no, coinvolgono tutti loro.