Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giovanni da Kety a cura di Ermes Dovico
RU 486/L'INTERVISTA

“Ministro, ma quale civiltà? La pillola killer mi ha cacciato in un atroce inganno”

«Mi avevano detto: “Sarà come una mestruazione, ma più abbondante”. Invece mi sono trovata a contorcermi dal dolore per i crampi e gli svenimenti. I denti battevano e dopo aver vomitato tutto ero disidrata. E quando ho espulso il mio bambino ero sul bidet e l'ho gettato nel water mentre le infermiere mi chiedevano se avevo finito. È stato atroce, ho avuto incubi per un anno e ora mi hanno trovato un fibroma». Il drammatico racconto alla Bussola di Natascia, modella vittima della pillola ammazza-bambini che avverte il ministro Speranza: «Farete abortire da casa perché è più comodo. Una dottoressa mi ha ingannata, con la RU 486 non c'è niente di sicuro, civile e indolore, se lei lo dice è perché non ha mai abortito». 
- CERCO IL VESCOVO 

Vita e bioetica 12_08_2020 English Español

«Ministro Speranza, lei non ha mai abortito con quella pillola. Io invece non riesco a perdonarmi per aver ucciso mio figlio, non è vero che la RU è indolore, che è solo una passeggiata. Invece è terribile, ho sofferto tantissimo e bisogna saperlo».

Di quel terribile periodo del luglio scorso, Natascia B. ha un solo ricordo dolce che ogni tanto riguarda: «È una foto che ho scattato poco prima di andare in ospedale a prendere la pillola che ha ammazzato mio figlio. Ci sono io e sopra alla pancia c’è il mio gatto che in quei giorni era l’unico che aveva voglia di accoccolarsi su di me. La guardo tutti i giorni perché è l’unico ricordo che ho del mio bambino. Vorrei che la pubblicaste».

38 anni, torinese, modella e personal trainer, una bellezza di occhi corvini e capelli lunghissimi che nascondono il grande dolore. Ma dal quale vuole risollevarsi perché «la mia storia deve aiutare a far aprire gli occhi alle ragazze». La Nuova BQ l’ha intervistata dopo averla vista raccontare la sua esperienza con la RU 486 all’Associazione Giovanni XXIII (qui, al minuto 48 e seguenti, nella foto è con Andrea Mazzi dell'associazione di don Benzi) che aiuta le donne nelle gravidanze difficili e nelle sindromi post aborto di cui le linee guida del Ministero della Salute che hanno sdoganato l’aborto fai da te non si curano. 

Natascia, si è sentita ingannata?
Sì, ma in quei giorni del luglio scorso subivo violenze psicologiche e fisiche da parte del mio compagno. In più la dottoressa che mi ha consigliato la pillola fu sgradevole.

Che cosa le diceva?
Cercava di minimizzare. Diceva: «Se fossi mia figlia, te lo consiglierei».

Lei non capiva che cosa stava accadendo?
Io pensavo che fosse tutt’altro, avevo paura, certo, avevo letto qualcosa su Google ma lei sembrava molto rassicurante e un po’ spazientita per i miei dubbi. Continuava a ripetermi: «Ma no, avrai solo qualche mal di pancia, sarà come una mestruazione, però più forte». Non sapevo a che cosa sarei andata incontro.

Che cosa?
Che avrei espulso il mio bambino nel bidet e che avrei dovuto gettarlo nel water… (silenzio)… questo lo sa chi parla di Ru come sicura e indolore tanto da poterla fare a casa?

Il ministro ha parlato di un “passo avanti per la costruzione della civiltà”…
Civiltà? Dopo l’aborto non sapevo che avrei avuto incubi di bambini buttati nella toilette per mesi: sognavo di aprire il frigo, di versare l'acqua e uscivano bambini. Non sapevo che avrei iniziato a soffrire di attacchi di panico. Non mi sembra una grande civiltà. E della sindrome post aborto non ne parlano. Ho visto con i miei occhi ragazze di 18 anni al terzo aborto con la RU, ormai ne parlano come andassero dal parrucchiere.

Lei era favorevole all’aborto?
Non mi ero mai posta il problema, ma dicevo: “Ognuno deve sentirsi libero”, quelle cose che si dicono quando non si è toccati. Poi io ero molto indipendente, vengo da una buona famiglia, ho studiato, sono una donna emancipata e dicevo che non bisogna arrivarci ad abortire. Basta prendere gli anticoncezionali. Poi però ho avuto un problema di salute e sono andata in amenorrea per sei mesi. Ma il vero problema era ritrovarsi incinta a 37 anni con un compagno sbagliato e una dottoressa che non ha fatto niente per dissuadermi.

Come ha fatto?
Sono sicura che, se avessi avuto i 7 giorni di tempo che si danno non lo avrei fatto, avere più tempo per riflettere mi avrebbe aiutato. Io non avrei mai abortito chirurgicamente, ma ormai ero all’VIII settimana (il limite prima delle nuove linee guida era sette settimane, ora nove, ndr) e lei mi diceva che dovevo fare presto. Ho passato tre giorni a piangere e tremare.

Dove è avvenuto?
Sono andata in Liguria, nella città di lui, la mia ginecologa è obiettore di coscienza, non mi avrebbe mai fatto abortire. Quando le ho raccontato tutto, ha pianto: «Nati, perché non sei venuta da me? Ti avrei aiutata».

Perché ha detto che le ha messo fretta?
Perché per forzare la legge per la quale non poteva somministrare la pillola all’VIII settimana ha scritto un referto in cui si diceva che avevo problemi psicologici.

Non le ha parlato dei rischi altissimi a cui si va incontro?
Rischi? Per lei era come prendere un’aspirina. Più le facevo domande più lei svicolava: «Quindi, che lavoro fa? Ah... la modella? Beh, chiaro, la capisco, allora bisogna risolvere velocemente. Posso vederla in qualche pubblicità? Ah, come è bella…». Insomma: tutto per non affrontare la cosa e farmi pensare ad altro, normalizzando la tragedia che stavo invece per vivere.

Si è sentita usata?
Sì. Come sono usate tutte le donne che si sentono dire che la RU non è nulla, è sicura, che non ci sono rischi. Io sono molto istruita, ma in quel frangente non ero affatto lucida, ero fragilissima e in quei momenti non capisci nulla. Devi avere qualcuno che si prenda cura di te. Ma questi non sono medici, evidentemente. È stato tutto così veloce che, nei sette giorni che avrei dovuto avere per riflettere, ho invece accelerato tutto.

Come?
Dopo la visita, era un sabato, sarebbero dovuti passare sette giorni per legge. Invece lei ha camuffato con un’urgenza e mi ha mandato in ospedale dopo due giorni. Il martedì ero già in reparto e ho preso la prima pastiglia (il mifepristone, che uccide il feto, ndr).

Problemi?
Nessuno, ma nel momento in cui ingoi la pastiglia hai perfettamente chiaro che stai ammazzando il tuo bambino.

La seconda pastiglia invece (il misoprostol, che espelle il feto provocando contrazioni ed emorragie, ndr)?
Il giovedì seguente. Sempre in reparto. Dopo 15 minuti, ho iniziato ad avvertire nausea e poi ho vomitato abbondantemente, tanto che mi sono disidratata completamente. I denti hanno iniziato a battere fortissimo come quando si gela dal freddo, ho chiamato la dottoressa.

E lei?
Mi guardava allargando le braccia come a dire: «Eh… è così, mi spiace…». È stato atroce.

Non le hanno dato nulla?
Solo del Brufen, ma l’ho vomitato subito. Avevo contrazioni terribili, mi sono ritrovata tutta rannicchiata di dolore nel letto e ogni volta che mi avvicinavo al bagno avevo svenimenti.

Intanto loro?
Ogni tanto si affacciavano e chiedevano: «Allora, è avvenuta l’espulsione?». E io continuavo a dire di no. «Allora, stasera andrai a casa». Mi hanno tenuto un’ora con dolori fortissimi al basso ventre e l’unica cosa che mi dava un po’ di sollievo era stare accovacciata sul bidet con l’acqua calda nelle parti intime. È stato in quel momento che… (silenzio).

…che?
Che ho espulso il sacco vitellino, credo che si chiami così. Ho visto come un piccolo organo di colore rosso dentro al quale in trasparenza ho visto un feto di colore beige. Era il mio bambino. L’ho dovuto prendere e gettare nel water.

…mi spiace, non so come proseguire.
Piangevo disperata, l’ho riconosciuto benissimo perché è un’immagine che si identifica subito. Era il mio bambino appena morto. Un’infermiera mi si è fatta vicina, mi ha asciugato le lacrime. Poi mi sono rivestita e mi sono portata a casa tutto il fardello.

Il senso di colpa e il dolore fisico…
Capite perché adesso permettono alle donne di andare a casa dopo aver preso la pastiglia? Perché anche i medici e gli infermieri in ospedale non ce la fanno più a vedere queste cose: è chiaro a tutti quello che accade. Eccola la “mestruazione più abbondante del solito” di cui parlava la dottoressa e di cui parlano i medici che la spacciano come una passeggiata.

Nei giorni seguenti?
Un calvario. Ho avuto crampi per settimane. Dopo 10 giorni, l’utero non si era pulito bene, sono andata dalla mia ginecologa a Torino, le ho raccontato tutto vincendo la vergogna. Mi ha accolto in lacrime. Poi mi ha diagnosticato un fibroma e i valori del sangue sono spesso sballati.

È una conseguenza della RU?
Lei si è insospettita molto, di sicuro prima non ce l’avevo.

Natascia, è una storia molto dura, ma che ha il merito di essere raccontata. Lei si è mai perdonata?
No, non mi perdonerò mai, perché Dio da lassù voleva farci un regalo bello e io l’ho buttata via.

Però ha avuto il coraggio di parlare…
Spero che serva a risparmiare il dolore ad altre donne o ragazze.

Ha paura di essere stigmatizzata?
Si, ho messo in conto che sarò criticata dal mondo intero. Ma chi critica e dice che la donna deve essere libera non ha mai abortito.

Ci sono storie di rinascita anche di donne che hanno abortito più volte. Ha mai pensato che il primo ad averla perdonata è proprio il bambino o la bambina che aveva in grembo?
Le racconto una cosa che non ho mai detto a nessuno.

Sì…
Doveva nascere nella prima settimana di marzo. E dalla prima settimana di marzo ho smesso di avere incubi, ho iniziato a sognarmi con in braccio una bambina, mi svegliavo felice e mi sentivo meglio.

Che cosa si sente di dire ai medici del Consiglio Superiore di Sanità che hanno detto che la pillola Ru 486 è sicura?
Che non l’hanno mai usata. Solo questo.

Se rincontrasse quella dottoressa?
Che si parla tanto di libertà, ma mai di salute, la donna viene vista come un oggetto, è un sentimento terribile. Io non sapevo neanche che cosa fosse una sindrome post aborto ed è terrificante, non si tratta di forzare una donna a tenere il bambino, ma di aiutarla a riflettere. Io non avevo bisogno di aiuti economici, ma psicologici sì. Invece questa dottoressa non si è preoccupata un attimo di capire la situazione, a lei importava che io assumessi quella pillola perché era la cosa più rapida per risolvere il problema. Ora faccio i conti con i sensi di colpa.

Lei ha subito un trauma, ma il fatto che sia qui a parlare e a denunciare quanto avviene fa parte di un cammino. La sua vita non è finita in quel bagno di ospedale.
Forse, di certo non riesco a non guardare in faccia la realtà.

Un cammino che è iniziato quando ha preso quella pillola e che non si è ancora concluso.
Lo spero, solo Dio sa dove mi porterà.