Autonomia differenziata, un antidoto alle clientele
Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al testo in dieci articoli predisposto da Calderoli e già emendato dai tecnici. Sinistra, Cgil e 5 Stelle protestano. Ma l’autonomia differenziata si basa sulla sussidiarietà verticale, un principio che minaccia il potere clientelare. Perciò la riforma è osteggiata.
Gli entusiasti sostengono che il centralismo ha le ore contate e che il disegno di legge approvato ieri in Consiglio dei ministri sull’autonomia differenziata darà una svolta al Paese, consentendo finalmente ai territori di autodeterminarsi, pur senza compromettere la cornice unitaria dello Stato. Si vedrà. Certo è che questo Governo, zitto zitto, le cose dimostra di volerle fare, giuste o sbagliate che siano, e ci mette la faccia. Senza aspettare altro tempo, ieri, in Consiglio dei ministri è stato dato il via libera al testo predisposto dal ministro per gli Affari regionali, Roberto Calderoli, che riorganizza le competenze tra centro e periferia e dà maggiori margini di manovra alle Regioni per capitalizzare le proprie risorse e valorizzare le proprie specificità territoriali e sociali.
Non ci sono stati ritocchi ai dieci articoli del provvedimento, già esaminato ed emendato dai tecnici due giorni fa. Il coraggio dell’esecutivo è evidente, se è vero che di questa proposta di autonomia differenziata si parla dal 2001, quando entrò in vigore la riforma del Titolo V della Costituzione, nella quale si delineava la possibilità per tutte le regioni a statuto ordinario di richiedere allo Stato la competenza esclusiva su 23 materie, molte delle quali davvero importanti sul piano economico e sociale: dalle politiche attive del lavoro all’istruzione e alla formazione professionale, dal welfare regionale alla ricerca scientifica e tecnologica, dal governo del territorio alla tutela e alla promozione dei beni culturali e paesaggistici e alla salvaguardia dell’ambiente e dell’ecosistema.
È questa l’essenza del concetto di autonomia differenziata: ogni territorio, a seconda della sua vocazione, deve poter viaggiare in maniera autonoma per promuovere sviluppo. Ad oggi però manca ancora la definizione dei Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni, che ogni regione dovrà garantire e che determineranno l’ammontare delle risorse che Roma dovrà girare alle singole regioni affinché assicurino i servizi ai cittadini. Questo è dunque un passaggio necessario per attivare la riforma dell’autonomia, che altrimenti rischia di restare sulla carta.
Nel frattempo, però, i governatori del centrosinistra come Stefano Bonaccini (Emilia Romagna) bocciano la proposta Calderoli e preannunciano mobilitazioni di piazza se il Governo decidesse di andare avanti in quella direzione. I governatori di centrodestra, non solo del Nord (Fontana, Zaia, Toti) ma anche del Sud (Bardi, presidente della Regione Basilicata), plaudono invece all’iniziativa, che reputano decisiva per il rilancio del Paese e per garantire livelli di benessere a tutti gli italiani, rispettando le differenze e valorizzandole in funzione delle diversificate strategie di crescita. Ma ci sono mugugni anche nel mondo della scuola, perché la Cgil teme una frammentazione del diritto all’istruzione e punta i piedi, minacciando scioperi.
Forse è vero quello che ha detto Matteo Salvini quando riconosce a Calderoli di aver fatto in 90 giorni «più di quanto non abbia fatto qualche chiacchierone o chiacchierona per anni» e insinua che «gli unici a non volere l’autonomia sono gli amministratori incapaci». In effetti, il dubbio più fondato riguarda la ferma opposizione del disegno di autonomia differenziata da parte degli amministratori locali del Movimento 5 Stelle e della sinistra estrema, che temono di perdere il controllo delle clientele attraverso l’erogazione di sussidi improduttivi e parassitari tendenti a perpetuare logiche da assistenzialismo di Stato. Se arriva una legge che prevede l’autonomia differenziata e consente alle regioni di avere più risorse e più poteri per gestire in maniera “meritocratica” e “aziendale” i servizi essenziali per i cittadini, a cominciare da quelli sanitari, evidentemente la discrezionalità della politica si riduce e diventa più difficile per i partiti che prendono tanti voti al Sud pilotare la destinazione di quelle risorse.
L’autonomia differenziata, che dunque attua il principio di sussidiarietà verticale (soddisfare i bisogni del cittadino al livello più vicino al cittadino stesso, combattendo il centralismo), rappresenta una minaccia al potere clientelare della vecchia politica e dunque viene osteggiata anche per questo. «Ogni anno 200.000 cittadini raggiungono la Lombardia da altre Regioni per interventi chirurgici. Quindi, dobbiamo garantire a tutti una sanità di assoluta qualità. Questa riforma non spacca un bel niente, semplicemente chiede che dei compiti che oggi svolge lo Stato vengano svolti dalle Regioni, ottenendo le cifre che oggi spende lo Stato. Quindi è soltanto una diversa organizzazione amministrativa», ha chiarito il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana, riferendosi a uno dei settori più importanti, quello della tutela della salute pubblica.
Unica incognita lungo il sentiero che conduce all’approvazione e alla messa a terra di questo disegno autonomista riguarda le radici nazionaliste e stataliste del partito di Giorgia Meloni. Il fatto però che Fratelli d’Italia stia rubando voti alla Lega anche al Nord depone a favore dell’autonomia differenziata, che i meloniani avranno tutto l’interesse a portare avanti per fidelizzare anche al Nord il loro elettorato in molti casi ex leghista e dunque favorevole a qualsiasi forma di decentramento dei poteri. Inoltre alla Meloni e ai suoi sta a cuore il presidenzialismo, che potrebbe essere in un certo qual modo “la merce di scambio” con i leghisti per accontentare tutti e preservare l’unità del centrodestra. Il che significa che, dopo tanti anni di chiacchiere e sterili slogan, questo Governo potrebbe riuscire a fare riforme epocali e a lasciare un segno tangibile della sua efficacia e affidabilità. Un’occasione da non lasciarsi scappare.