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IL VIAGGIO IN ASIA

Asia-Pacifico addio. Trump lancia l'"Indo-Pacifico"

Il viaggio di 11 giorni del presidente Donald Trump in Asia si conclude oggi, con la sua visita di Stato nelle Filippine. Cosa cambia rispetto a Obama? I rapporti commerciali. Niente più aree economiche integrate, ma solo trattati bilaterali. E cambia il baricentro della politica Usa, che si sposta verso il Sud Pacifico e l'Oceano Indiano.

Esteri 12_11_2017
Vertice Apec, in Vietnam

Il viaggio di 11 giorni del presidente Donald Trump in Asia si conclude oggi, con la sua visita di Stato nelle Filippine di Rodrigo Duterte. Con l’incontro fra i due uomini più “impresentabili” del pianeta, si conclude anche una gazzarra mediatica che ha riguardato di tutto, dal cerimoniale giapponese per nutrire le carpe alle battute più o meno di buon gusto del presidente, dal look di Melania Trump alla stretta di mano con Putin. Tutto, meno che i contenuti delle cinque visite di Stato del presidente americano, in Giappone, Corea del Sud, Cina, Vietnam e Filippine, che includono sia incontri bilaterali, sia multilaterali (il vertice Apec in Vietnam) e danno l’idea di come stia cambiando la politica estera Usa nel Pacifico.

Cosa resta invariato e cosa cambia, rispetto all’era Obama? Anzitutto va detto che il predecessore democratico di Trump ha lasciato in eredità una politica tutta sbilanciata nel Pacifico, considerata la principale area di interesse statunitense. Questa politica si basava su: contenimento della Cina e costruzione di un’area comune di libero scambio (TPP) che la escludesse e invece integrasse tutte le potenze regionali rivali della Cina. Per evitare la degenerazione del confronto, Obama ha comunque voluto mantenere rapporti cordiali con Pechino. Anche a costo di accettare parecchi sacrifici. Donald Trump, pur senza grossi strappi, sta iniziando a invertire questa politica. Ha appoggiato il Congresso che non ha ratificato il TPP. Dunque ha buttato a mare il trattato economico e il progetto di area di libero scambio nel Pacifico. Al tempo stesso, ha reso i rapporti con la Cina un po’ meno cordiali, anche se entro i limiti del rispetto reciproco.

Cosa cambia, dunque? Cambia il paradigma dei rapporti commerciali nel Pacifico. Non saranno più regolati da un unico trattato multi-laterale (in stile Comunità Economica Europea), ma da trattati bilaterali, ancora tutti da negoziare. Nel frattempo la libertà di movimento di merci e capitali nel Pacifico dovrà attendere. Con Shinzo Abe, il premier giapponese, Trump ha confermato la sua intenzione, precedentemente ventilata nell’incontro negli Usa, di stringere un accordo per la creazione di un’area di libero scambio nippo-americana. Nel suo incontro con il presidente Moon della Corea del Sud, ha spinto per concludere il Korus, il trattato di libero scambio coreano-americano concluso nel 2012, ma in fase di rinegoziazione. Trump ha respinto la versione attuale dell’accordo, considerandola svantaggiosa per gli interessi americani, tuttavia non chiude la porta a nuove versioni più “eque” da un punto di vista commerciale: Trump ha lamentato che con il Korus il deficit della bilancia commerciale americana è raddoppiato, da 13,2 a 27,6 miliardi di dollari. La linea del bilateralismo, contro il multilateralismo, è stata confermata nero su bianco dal discorso molto franco tenuto dal presidente Usa al vertice dell’Apec in Vietnam (occasione in cui c'è stata l'ormai famosa stretta di mano fra Trump e Putin). Dove l’inquilino della Casa Bianca ha denunciato, senza mezzi termini, la concorrenza sleale e il mercato asimmetrico. E' il principio dell'America First applicato all'Asia.

Cosa resta invariato? La rete delle alleanze militari. Trump ha sottolineato il suo pieno appoggio a Shinzo Abe e la sua visita in Giappone ne ha ulteriormente rafforzato la leadership. Non è solo una questione formale, né l’alleanza va data per scontata, perché per la prima volta dal 1945, il premier conservatore nipponico mira al riarmo e sta dando un taglio al pacifismo (imposto) che finora ha contraddistinto la politica estera e militare del suo paese. Il sostegno di Trump al premier di Tokyo è dunque un’approvazione alla nuova linea e può cambiare sostanzialmente i rapporti di forza in Asia. Cosa che, nel medio e lungo periodo, potrebbe preoccupare non poco la Cina, mentre nel breve serve da deterrente contro la Corea del Nord. A proposito di Corea, la visita sudcoreana di Trump è servita anche di stimolo al presidente Moon, progressista e pacifista, desideroso di ottenere un accordo con il Nord. Per Trump si deve attendere prima di sedersi al tavolo, nel frattempo si deve premere per la denuclearizzazione del Nord. Questo non vuol dire che il presidente americano spinga per una guerra. Anzi: non ha escluso che si torni a dialogare con Pyongyang. Ma alle condizioni degli Usa e della Corea del Sud. Trump avrebbe anche programmato una visita a sorpresa sul confine fra le due Coree, annullata il giorno stesso a causa del maltempo. Ciò non toglie che la volesse fare: la sua intenzione è una chiara sfida alla Corea del Nord, a cui manda il messaggio di non temere alcun confronto.

Cosa resta di poco chiaro, ancora? I rapporti con la Cina. L’incontro bilaterale con Xi Jinping è stato molto cordiale. Non sono emersi i numerosi attriti, né sulla Corea del Nord, né sulle isole del Pacifico occidentale, che la Cina rivendica contendendole al Giappone, al Vietnam e alle Filippine. L’uomo forte della Repubblica Popolare, a cui il 19mo Congresso del PCC ha assegnato pieni poteri, può ritenersi soddisfatto dell’omaggio personale del presidente americano. Ma i fatti dicono altro. La Cina ha rafforzato le sanzioni contro la Corea del Nord, ma gli Usa chiedono più impegno per il disarmo nucleare del “regno eremita”. La Cina, come il Congresso stesso del PCC ha confermato, mirano a diventare potenza egemone in Asia, non solo economicamente, ma anche militarmente. E Trump, su questo, non lascia spazio, come dimostra la sua alleanza col Giappone. E non solo: l’amministrazione Usa ha anche cambiato la dicitura Asia-Pacifico in Indo-Pacifico, per designare la regione. In modo da render chiaro alla Cina che anche l’India (altro grande rivale di Pechino) è partner degli Usa. E’ un cambio di baricentro a cui, quasi certamente, seguirà anche un cambiamento politico.