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L'ITALIA E LA GUERRA

Armi all'Ucraina: una decisione legittima, ma inopportuna

Da un punto di vista costituzionale, l'invio di armi all'Ucraina è legittimo. Ma in termini di opportunità? La reazione ad un male (aggressione ad uno Stato) non deve condurre ad un male più grande (conflitto mondiale), altrimenti la scelleratezza dell’attacco militare russo viene superata dalla scelleratezza di chi provoca un male peggiore. 

Politica 05_04_2022
Soldato ucraino con lanciamissili M-141

L’Italia, sin dall’inizio del conflitto Russia - Ucraina, ha assunto un atteggiamento politico marcatamente schierato a favore del governo ucraino, limitandosi non solo a condannare - giustamente in quanto contraria alle regole della convivenza internazionale - l’aggressione armata della Russia, ad imporre sanzioni finanziarie al popolo russo, e offrire i propri aiuti umanitari alla comunità civile ucraina colpita dalla guerra, ma impegnandosi a sostenere l’Ucraina anche militarmente con la fornitura di armi (anche letali).

Una tale decisione si presenta costituzionalmente legittima. Ed infatti il ripudio della guerra espresso dall’art. 11 della Costituzione («L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali») si riferisce alla guerra offensiva e quindi viene considerata legittima la guerra difensiva in caso di attacco militare da parte di una potenza straniera (in linea col principio stabilito dall’art. 52 comma 1 Cost. secondo cui «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino»). Il ripudio della guerra non è che una espressione del più ampio principio pacifista che ispira l’intero art. 11 Cost., ove nella seconda parte si stabilisce che l’Italia «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».

Se il principio pacifista vieta in termini assoluti sia il coinvolgimento dell’Italia in guerre di natura offensiva sia ogni forma di assistenza a Stati che le conducano, l’art. 11 Cost. non chiarisce espressamente se sia consentito all’Italia di partecipare a guerre per la difesa non propria ma di altri Stati. È stato evidenziato come la risposta sia positiva, perché il concetto di guerra «difensiva» ai fini dell’art. 11 deve essere interpretato alla luce delle norme del diritto internazionale che regolano l’uso della forza e, in particolare, l’esercizio della legittima difesa. La seconda parte dell’art. 11 Cost., che è stata redatta dai Costituenti con l’intenzione di consentire la partecipazione italiana alle Nazioni Unite e al relativo sistema di sicurezza collettiva, deve essere coordinata con l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, che sancisce «il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite…». Inoltre, il diritto internazionale consuetudinario, cui l’ordinamento giuridico italiano si conforma ed eleva al rango costituzionale per mezzo dell’art. 10 comma 1 Cost., riconosce il diritto di legittima difesa individuale e collettiva.

Per quanto riguarda la situazione ucraina, non c’è alcun dubbio che le azioni della Russia costituiscano un’aggressione (come confermato dalla Risoluzione del 1° marzo dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite), che questo attacco armato non trovi giustificazione nelle regole del diritto internazionale e che l’Ucraina stia agendo in legittima difesa. L’invio di armi all’Ucraina, ove non rientri nell’ambito della legittima difesa collettiva, costituisce in ogni caso, sul piano del diritto internazionale (e costituzionale), una forma ammissibile di assistenza all’esercizio della legittima difesa individuale.

Dunque, la fornitura di armi all’Ucraina non sembra realizzare una violazione dell’art. 11 Cost. o di altre disposizioni costituzionali a contenuto internazionalistico. Pur legittima, una tale decisione politica presenta aspetti di dubbia opportunità. Ed infatti l’invio di armi, anche letali, all’Ucraina costituisce una forma indiretta di partecipazione dell’Italia alla guerra. Pur senza l’impiego di proprie forze armate, la fornitura di armi letali al popolo ucraino realizza di fatto uno status di belligeranza dell’Italia contro la Russia: le armi inviate vengono utilizzate per respingere con l’uso della forza l’aggressione subita, e dunque per colpire, ferire, uccidere soldati russi.

In tema di opportunità, in primis si rileva che la partecipazione dell’Italia alle operazioni belliche contro la Russia avrebbe dovuto rappresentare non l’unica scelta possibile (come è stato), ma una decisione estrema, una volta fallite tutte le iniziative diplomatiche per una soluzione che conduca ad un accordo di pace. Invece di manifestare un atteggiamento pacato e aperto alla comprensione (non giustificazione!) delle ragioni che hanno condotto la Russia a muovere guerra all’Ucraina, il governo italiano si è espresso talora con toni evitabili ed esternazioni imprudenti.

In secondo luogo non si può non considerare che lo status di belligeranza dell’Italia contro la Russia ha importanti riflessi di natura economica e sociale. Non ancora uscita dall’emergenza sanitaria, con un tessuto produttivo ed economico devastato dagli effetti della “pandemia”, il Governo italiano investe risorse finanziarie in armamenti da cedere a titolo gratuito all’Ucraina. E per “combattere” contro uno dei Paesi al mondo da cui l’Italia dipende maggiormente per materie prime e risorse. Paradossalmente l’Italia continua a comprare dalla Russia materie prime (gas), mentre le muove - indirettamente - guerra. L’aumento dei costi delle materie prime acquistate dalla Russia avrà l’effetto di incrementare la povertà delle fasce più deboli della società italiana già duramente colpite dalle misure emergenziali “sanitarie”, nonché provocare un aumento delle disuguaglianze sociali.

In terzo luogo l’atteggiamento belligerante dell’Italia (e degli altri paesi europei) non sembra tenere sufficientemente conto e con la dovuta attenzione il pericolo dell’uso dell’arma nucleare. La Russia è notoriamente una delle nazioni con un maggior potenziale nucleare al mondo, ed il presidente russo Putin ha più volte minacciato il ricorso all’arma nucleare ove le forze della Nato avessero ostacolato i suoi obiettivi in Ucraina. Orbene, al di là delle buone ragioni che possono animare il sostegno militare in difesa dell’indipendenza e della sovranità del popolo ucraino, è evidente che un intervento militare - anche indiretto come la fornitura di armi - può essere l’inizio di una escalation di eventi che può condurre ad una terza guerra mondiale atomica.

Dunque ci si domanda: il sostegno armato alla resistenza dell’Ucraina può avere, al netto delle posizioni assunte dalla Russia, un effetto di deterrenza contro l’aggressione? Oppure può avere l’effetto opposto di inasprire e allargare il conflitto bellico in Europa e nel mondo? Oltre a prolungare la guerra, con le sue miserie e devastazioni, quale scenario ci si può ragionevolmente attendere se Putin non dovesse riuscire a realizzare - complice la Nato e l’Italia con i suoi provvedimenti - i suoi obiettivi politico-militari in Ucraina?

La bontà di una scelta o decisione va misurata nei risultati conseguibili. La reazione ad un male (aggressione ad uno stato) non deve condurre ad un male più grande (conflitto mondiale con l’utilizzo di armi nucleari), altrimenti la scelleratezza dell’attacco militare russo viene superata dalla scelleratezza di chi provoca un male ancora peggiore (e mille volte peggiore!) di quello subito, in termini di pace e sicurezza fra le nazioni. Diceva Albert Einstein all’indomani della Seconda guerra mondiale, evidenziando i rischi per l’umanità prodotti dall’esistenza delle armi nucleari: “Non so con quali armi si combatterà la Terza guerra mondiale, ma la Quarta sì: con bastoni e pietre”.