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Diritto alla vita

Archie, no del giudice, ma la battaglia per la vita continua

La sentenza dell’Alta Corte di Londra del 15 luglio ha dato ancora ragione ai medici del Royal London Hospital che vogliono togliere i sostegni vitali al 12enne in coma dopo un incidente domestico. Pronto un nuovo ricorso dei familiari, ma intanto i giudici tentano di facilitare la morte ritoccando il criterio della morte cerebrale e del “best interests”.

Vita e bioetica 18_07_2022

Continuare le cure è «inutile, serve solo a protrarre la sua [di Archie Battersbee] morte, senza poterne prolungare la vita». Con questa dichiarazione, il 15 luglio, presso l’Alta Corte di Londra, il giudice Hayden si è espresso a favore del Barts Health NHS Trust. È la seconda volta che i medici che hanno in cura il dodicenne Archie Battersbee al Royal London Hospital hanno chiesto e ottenuto l’autorizzazione a interrompere legalmente i sostegni vitali in nome del best interests. Ma è noto ormai da tempo che questo giudizio “prevedibile” non risolve la contesa legale tra le due parti.

La famiglia di Archie ha già dichiarato giorni prima che finisse il dibattimento, che in caso di sentenza negativa avrebbe fatto ricorso alla Corte d’Appello contro la decisione del giudice Hayden. Al termine, parlando fuori dal tribunale, la mamma di Archie, Hollie Dance, ha detto: «Finché Archie lotta per la sua vita, io non posso tradirlo. Finché Archie non si arrende, io non mi arrendo». «Non condividiamo l’idea della dignità della morte. Imporcela e accelerare la sua morte a questo scopo è profondamente crudele». Questo caso presenta uno scenario, tipico del Regno Unito, simile a quelli famosi di Alfie Evans e Charlie Gard, dove i medici, in nome del best interests chiedono il permesso legale di interrompere i sostegni vitali a un bambino contro il parere dei genitori.

Ripercorriamo in sintesi la vicenda. Il 7 aprile Archie Battersbee ha subito una grave lesione cerebrale in casa che lo ha mandato in coma. Da allora una battaglia legale oppone la sua famiglia e i medici riguardo alle cure. A partire dal terzo giorno i medici del Royal London Hospital hanno affermato che il tronco encefalico di Archie è «molto probabilmente» morto a causa delle lesioni. Il caso è giunto in tribunale quando la famiglia ha rifiutato il permesso ai medici di eseguire test sul tronco encefalico potenzialmente letali, volti a dimostrare che lui era morto.

Il 13 giugno il giudice Arbuthnot ha sentenziato che Archie era morto nel giorno della risonanza magnetica, il 31 maggio, e che i trattamenti per il supporto vitale potevano essere legalmente sospesi. Il 29 giugno tre giudici della Corte d’Appello hanno invece dichiarato che il caso andava riesaminato da altri giudici dell’Alta Corte l’11 luglio. I giudici della Corte d’Appello hanno infatti riscontrato che gli standard per la “dichiarazione di morte” applicati nell’udienza precedente erano troppo bassi e che l’evidenza medica emersa nel processo non aveva dimostrato «oltre ogni ragionevole dubbio» che Archie fosse effettivamente morto il 31 maggio.

Hanno chiesto quindi al giudice Hayden di indire un processo sul best interests per decidere se Archie debba vivere o morire. Il giudice Hayden è ben noto per aver presieduto nel 2018 il caso di Alfie Evans, di un anno, sentenziando che per il bene di Alfie si dovessero rimuovere i supporti vitali. Come nella maggior parte dei casi analoghi si è schierato con i medici contro i genitori imponendo il 15 luglio di rimuovere i supporti vitali di Archie.
Anche se si può affermare l’esistenza di numerose ragioni culturali e ideologiche che spiegano lo schema familiare dei casi di fine vita nel Regno Unito, il modo in cui è stato condotto quello di Archie Battersbee è inedito. Nel suo caso, medici e avvocati del Barts Health NHS Trust hanno tentato di estendere la definizione di morte. Hanno inoltre sorvolato su alcuni fattori indicati nelle linee guida per i medici tese a valutare il best interests  nel momento di adottare la decisione di sospendere i sostegni vitali. Invece proprio questi specifici fattori hanno dato notevole vigore alla tesi della famiglia per cui si deve permettere ad Archie di continuare a ricevere le cure.

Nella prima udienza, il giudice Arbuthnot aveva deliberato che Archie era morto il 31 maggio, nel giorno della risonanza magnetica. La sua decisione si basava sul parere dei medici secondo i quali era «probabile o molto probabile» che il tronco encefalico di Archie fosse morto, piuttosto che sul Codice di Condotta che impone di eseguire dei test sul tronco encefalico per decidere se un paziente è cerebralmente morto. Non essendo mai stati completati questi test, la morte di Archie non è stata attestata secondo i criteri del Codice che richiedono di stabilire la morte al di là di ogni ragionevole dubbio. Inoltre, se questa sentenza non fosse stata annullata dalla Corte d’Appello, si sarebbe creato un preoccupante precedente relativo alla morte per “equilibrio tra le probabilità”.

Nella seconda udienza, il giudice Hayden ha sentenziato che si potessero interrompere i sostegni vitali di Archie perché vivere non sarebbe il suo best interests. Ha detto che l’evidenza medica aveva mostrato che nella sua condizione i miglioramenti erano «impossibili» e non c’era «alcuna speranza di recupero». Anche questa dichiarazione è allarmante dal momento che i fattori presi in esame per raggiungere questa decisione sono fortemente squilibrati da un solo lato: la presunzione che la morte sia preferibile alla vita.

Da parte sua, la famiglia di Archie Battersbee è convinta del contrario: Archie vuole vivere. I medici hanno affermato che i sostegni vitali per lui sono «gravosi». Invece, Hollie Dance, che veglia 24 ore al giorno al capezzale del figlio, ha spesso postato foto del monitoraggio del paziente che ne attestano la «stabilità» e «l’assenza di prove di dolore o sofferenza in conseguenza dei trattamenti». Inoltre, nulla dimostra che le cure per Archie siano inutili. Il suo peso è aumentato, il cuore continua a battere e gli organi a funzionare. Neppure proseguire i supporti vitali è «contrario alla dignità», come affermano i medici. Questo non tiene conto di una precedente dichiarazione di Archie a sua madre che «in caso di incidente avrebbe voluto ricevere i sostegni vitali per poter rimanere con lei e con il resto della famiglia». I giudici poi evitano di prendere in considerazione le sue convinzioni religiose. Hollie ha detto alla corte: «Archie ritiene che spetti solo a Dio venire a prenderlo da questo mondo quando sarà il momento».

Ancora, dalla decisione del giudice Hayden emerge un palese pregiudizio che considera i pazienti in stato di incoscienza o di minima coscienza incapaci di ottenere qualsiasi beneficio dalla vita, o la loro stessa esistenza priva di ogni valore. Soprattutto, con questa significativa sentenza ha sancito che è moralmente e legalmente accettabile sopprimere una vita.

Ogni singolo caso di fine vita ci ricorda tristemente le sfide legali e la terribile sofferenza che ogni famiglia deve affrontare nella lotta disperata per salvare la vita di una persona cara. Ma tutti sono accomunati dallo stesso obiettivo. Con le parole di Hollie Dance, «ci deve essere un cambiamento nel sistema sanitario nazionale e in quello giudiziario prima che un’altra famiglia debba passare ciò che stiamo passando noi... chiediamo le vostre preghiere e il vostro sostegno».