Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giovanni Evangelista a cura di Ermes Dovico
A 150 ANNI DALLA NASCITA

Anche Proust oggi sarebbe chiamato “omofobo”

Nel quarto volume (Sodoma e Gomorra) della sua monumentale Recherche, Marcel Proust (che per un certo periodo fu bisessuale) descrive il tormento della persona omosessuale che vive tra menzogna, simulazioni e paure. Il suo giudizio sull’omosessualità è netto, e scrive anche sulla possibilità di uscirne accennando a «casi in cui si vedrà che l’inversione è guaribile». Altro che icona gay. Con la mentalità sottesa al Ddl Zan, oggi Proust sarebbe tacciato di omofobia.

Cultura 10_07_2021

10 luglio 1871 - 10 luglio 2021. Centocinquant’anni dalla nascita di Marcel Proust. Dici Proust e ti viene in mente Alla ricerca del tempo perduto. Ma oggi dici Proust e ti viene anche in mente omosessualità, topic che divora tutto, anche i capolavori. Gli attivisti LGBTQI+ sono sempre a caccia di bandiere e di icone nel tentativo ansioso di risplendere di luce riflessa e di trovare legittimazione nei grandi. Ma con lo scrittore parigino cascano male. Innanzitutto a dar retta ai suoi quaderni, che raccontano di amori e amorazzi con fanciulle benestanti e cameriere, il Nostro era semmai bisessuale e non esclusivamente omosessuale. Ma ciò che a noi preme qui sottolineare, lasciando le vicende personali di Proust al giudizio altrettanto personale di Dio, sono le sue riflessioni sull’omosessualità, che non sono per nulla lusinghiere.

Torniamo alla Recherche, opera divisa in sette volumi, scritta nella casa di boulevard Haussmann perlopiù di notte, sdraiato a letto nella famosa camera tappezzata di sughero tra il 1909 e il 1922, anno della sua morte. Proust scrive di omosessualità già in forma larvata nel volume Dalla parte di Guermantes e, come accenno, in altre sezioni del romanzo, ma è in Sodoma e Gomorra, quarto volume della Ricerca, che il tema diventa centrale. Sodoma è per lo scrittore francese l’omosessualità maschile, Gomorra invece rappresenta quella femminile. Nel quarto volume primeggiano due personaggi omosessuali: il barone di Charlus e l’amata Albertine, dietro la quale, secondo la critica, si cela l’amico di Proust, Alfred Agostinelli (trattasi della cosiddetta teoria della trasposizione dei sessi: esiste anche un transessualismo letterario).

Il volume si apre con l’adescamento del barone di Charlus ai danni del sarto Jupien (che più avanti gestirà un bordello per omosessuali). La descrizione che ne fa Proust passa dal satirico al sarcastico, dal dileggio alla critica sprezzante. Insomma il barone ne esce con le ossa rotte. Il celebre scrittore André Gide rimproverò a Proust la descrizione dell’omosessualità così greve e sordida. In merito ad Albertine, la scoperta della sua omosessualità getta il narratore nello sgomento. E non per motivi religiosi - il Nostro si dichiarava ateo - bensì per motivi morali che in Proust diventano motivi psicologici, antropologici e quindi culturali. Proust, con l’impareggiabile sensibilità che lo contraddistingue, descrive il tormento della persona omosessuale che vive tra menzogna, simulazioni e paure. Ne comprende l’afflizione perché ne ha condiviso lui stesso i patimenti. Detto ciò, il giudizio sulle condotte e addirittura sulle esistenze delle persone omosessuali è netto (per quanto questo aggettivo possa attagliarsi alla forma mentis del Nostro).

Lasciamo ora a lui il lapis citando solo alcuni passaggi dedicati all’argomento, passaggi in cui sono espressi giudizi e sono presenti espressioni e termini che oggi verrebbero definiti certamente «omofobici». Gli omosessuali sono «esclusi perfino […] dalla simpatia […] dei loro simili, ai quali offrono la disgustosa visione di ciò che essi sono riflessa in uno specchio che, spietatamente, denuncia tutte le tare che non avevano voluto vedere in se stessi e fa loro comprendere che ciò che chiamavano il loro amore […] scaturisse non da un ideale di bellezza da loro scelto, ma da una malattia inguaribile» (M. Proust, Sodoma e Gomorra, Bur, 2000, p. 125). E più avanti: «Ogni essere insegue il piacere, e se quell’essere non è troppo vizioso, lo cerca in un sesso opposto al suo» (p. 131). In una pagina successiva, poi, Proust medita sulla possibilità di uscire dall’omosessualità accennando a «casi in cui si vedrà che l’inversione è guaribile. […] Veramente la vita di certi invertiti sembra a volte cambiare, il vizio (come si suol dire) sparisce dalle loro abitudini» (p. 136), seppur poi aggiunga che alcune tendenze paiono davvero insopprimibili (domanda: dopo il varo della legge Zan sarà ancora possibile leggere la Recherche?).

Volendo cogliere il giudizio più generale di Proust sull’omosessualità, potremmo dire che per l’autore questa è «tempo perduto», una ricerca che va nella direzione sbagliata. Il titolo del romanzo è polisemantico e uno di questi significati è il seguente: Proust scrive la Recherche nell’ultimo scorcio di vita e tenta quasi di recuperare il tempo perduto. Il tempo perso è stato quello trascorso lontano dalla sua vera identità, dalla sua vera vocazione, imbrigliato in affanni e impegni inutili. L’omosessualità è tempo perduto perché non è in essa che l’autore potrà trovare se stesso (c’è però da appuntare che per Proust anche l’amicizia è tempo perso), trovare la sua felicità, l’essenza della vita. Nell’omosessualità - come in moltissimi altri costumi, relazioni, affari, interessi descritti nel romanzo - non c’è autenticità, verità. Essa non può entrare a far parte de Il tempo ritrovato (ultimo volume del romanzo), non solo nel senso del recupero del tempo passato, ossia del riconoscimento di un senso del passato, ma anche nel senso di un significato positivo da assegnare a questa inclinazione.

No, Marcel Proust non ha proprio le carte in regola per diventare un’icona gay.