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BRASILE

Anche gli indios dell'Amazzonia denunciano i brogli di Lula

Crescono le proteste contro Lula, neo-eletto in Brasile. I sostenitori di Bolsonaro, leader evangelici e politici influenti di centrodestra accusano la controparte di aver organizzato brogli. Ma Lula passa per il salvatore dell'Amazzonia e tanto basta a farne il beniamino dei governi che contano. Non degli indios, che protestano contro di lui.

Esteri 06_12_2022
Tserere Xavante uno dei capi indios pro Bolsonaro

Crescono ancora le tensioni in Brasile, Bolsonaro mantiene il silenzio, si muovo gli Usa per una alleanza con Lula, ma scendono in piazza anche gli indigeni dell'Amazzonia contro i brogli e condizionamenti elettorali che, indirettamente, vengono confermati anche da Elon Musk. Non si placano le proteste esplose sin dai primi giorni dallo spoglio elettorale dello scorso fine ottobre, dopo la proclamazione dei risultati che hanno visto il comunista Lula da Silva prevalere per una manciata di voti sull'uscente e conservatore cristiano Jair Bolsonaro e che abbiamo tratteggiato su La Bussola.

Il presidente eletto (per ora) Lula da Silva, un ateo convinto che si professa cristiano, non fa nulla per placare le tensioni nel Paese e, lo scorso 27 novembre, si è azzardato ad accusare i cristiani evangelici ed i loro leader religiosi di esser stati la causa della diffusione del Covd 19 e delle conseguenti morti del paese, che ha visto sinora 34 milioni di contagiati e 690 mila morti. Un attacco diretto e postumo a coloro che rappresentano la base popolare ed elettorale del movimento conservatore brasiliano e di Jair Bolsonaro e rappresentano almeno un terzo dei credenti cristiani del Brasile. Ovviamente tutti i più importanti leader religiosi evangelici del Paese hanno rispedito al mittente le accuse di esser stati degli "untori" irreponsabili, e il "Fronte parlamentare evangelico del Congresso nazionale" (FPE), l’intergruppo religioso certamente più numeroso del parlamento, ha protestato con veemenza contro il futuro Presidente brasiliano.

Se da un lato le proteste contro i brogli e le ingerenze della magistratura politicizzata si intensificano, dall’altro stride il silenzio nel quale si è trincerato il presidente uscente Jair Bolsonaro che, pur avendo attivato le procedure per la transizione del potere, non ha ancora rilasciato alcuna dichiarazione ufficiale e compiuta dal 30 ottobre scorso, limitandosi a dire che le proteste sono legittime, purché non impediscano alle persone di muoversi liberamente. Bolsonaro ha solo contestato, anche attraverso i leader del proprio partito, i risultati delle elezioni. La seria escalation di tensione potrebbe veder superare una nuova soglia di allarme dopo la promessa fatta da Lula a fine novembre di regolare nei primi 100 giorni di governo (dunque: limitare o censurare) la libertà di espressione su internet ed i social media nel paese, colpevoli di diffondere il dissenso verso i vincitori social comunisti.

Questa promessa di Lula ai brasiliani acquista una luce tetra se la mettiamo in relazione alle dichiarazioni dei giorni scorsi di Elon Musk nelle quali il CEO di Twitter, ha evidenziato come Twitter potrebbe aver interferito nelle recenti e controverse elezioni presidenziali in Brasile (“Ho visto molti tweet preoccupanti sulle recenti elezioni in Brasile... Se questi tweet sono corretti, è possibile che il personale di Twitter abbia dato la preferenza ai candidati di sinistra"). Orbene, se lo stesso Musk rilasciasse la documentazione a cui si riferisce in merito alle elezioni brasiliane o addirittura la rendesse disponibile alla stampa, come ha fatto ed è stato illustrato da La Bussola nel caso di Hunter Biden, allora c’è da scommettere che anche la magistratura brasiliana dovrebbe muoversi (e con celerità) per evitare il peggio e, soprattutto, evitare che imbroglioni e social media internazionali di sinistra possano aver la meglio sul voto libero, consapevole, informato e popolare.

Sono in molti a chiedere all’esercito di intervenire, ai singoli alleati di Bolsonaro si sono aggiunti negli ultimi giorni anche leader pentacostali come Silas Malafaia della chiesa evangelica di Rio de Janeiro, che ha chiesto ai militari di intervenire contro il Presiederne del Tribunale elettorale Moraes. La deputata e leader del Partito Liberale Carla Zambelli, in un video, ha invitato i generali delle forze armate a non riconoscere il governo del presidente Luiz Inácio Lula da Silva e agire prima del prossimo 1° gennaio 2023, giorno di entrata al potere del nuovo Presidente. 
Un gruppo cospicuo di senatori ha inoltrato invece una lettera/denuncia formale al Tribunale Militare nazionale sui brogli avvenuti durante il secondo turno elettorale delle elezioni presidenziali. Dunque le pressioni sull’esercito perché intervenga sono diverse e significative e anche se il vicepresidente e stretto collaboratore di Bolsonaro, l’ex generale Hamilton Mourão, ha affermato che i manifestanti fanno proteste legittime in tutto il Paese, ha ribadito che il processo elettorale ha avuto "vizi" e previsto un "disastro" con il ritorno del PT di Lula, ma allo stesso tempo ha messo in guardia su possibili e catastrofiche conseguenze di un intervento dell'esercito, che non auspica.

In tutto questo bailamme e fermento di protesta, spicca la più evidente delle contraddizioni: da un lato l’ovazione internazionale che Lula continua a raccogliere per le sue promesse ambientaliste e in particolare dell’Amazzonia. Dall’altro le proteste di migliaia di persone negli ultimi giorni a Brasilia, guidate dai leader delle popolazioni indigene della Amazzonia, indigeni nelle strade e nell'aeroporto della capitale proprio contro i brogli e le malversazioni elettorali di magistratura e partiti che hanno penalizzato Bolsonaro e inficiato il risultato del voto. Il paladino dell’Amazzonia contestato dagli abitanti delle foreste... Di tutto ciò non si è accorta l'Amministrazione Usa che, ieri, ha inviato il Consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Jake Sullivan a colloquio con Lula da Silva per preparare l’incontro tra Biden e Lula prima dell'insediamento di quest’ultimo a gennaio. "Penso che abbiamo molto da dirci...gli Stati Uniti stanno affrontando gli stessi problemi di democrazia del Brasile. Il danno che Trump ha fatto alla democrazia americana è lo stesso che Bolsonaro ha fatto al Brasile", ha detto Lula. Tutto si va chiarendo.