Ai Dubia di Duka risponde un non-magistero che fa magistero
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Alla Dottrina della Fede va in scena il teatro dell'assurdo: si riserva "religioso ossequio" all'interpretazione autorevole di un passo che in Amoris Laetitia... non c'è. Alle richieste di chiarimento su Amoris Laetitia poste dall'arcivescovo emerito di Praga, città di Kafka, si risponde coerentemente in modo kafkiano.
Sono frequenti in questi giorni i casi di risposte vaticane, che non sono vere risposte, ma inganni. Una nuova occasione di questo genere si è presentata quando il Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, il cardinale Victor Manuel Fernández, ha ufficialmente risposto al cardinale Dominik Duka, arcivescovo emerito di Praga, il quale, a nome dei vescovi cechi, aveva inviato alcune domande (rieccoci con i dubia) sull’amministrazione dell’Eucarestia ai divorziati che vivono in una nuova unione. Le domande riguardavano l’Esortazione apostolica Amoris laetitia. Le risposte però non chiariscono nulla. Per illustrare la cosa fissiamo la nostra attenzione su alcuni passaggi.
Come è noto, il testo di Amoris laetitia (AL) non dice in nessun passaggio che i divorziati risposati possano accedere alla Comunione eucaristica. Non lo prevede espressamente nemmeno in alcuni casi particolari. Al punto che il cardinale Caffarra scriveva a quel tempo che, se il Papa lo avesse voluto stabilire, lo avrebbe scritto nell’Esortazione apostolica, siccome non lo ha fatto vuol dire che non lo voleva stabilire. Posizione, questa, un po’ ingenua. In ogni caso Caffarra faceva notare un aspetto certo: AL non ammette alla Comunione i divorziati conviventi o risposati. Però, quando i vescovi della regione di Buenos Aires dichiararono che essi li avrebbero ammessi, il papa scrisse loro una lettera di approvazione e la fece inserire negli Acta Apostolicae Sedis. Ecco allora la domanda chiave del cardinale Duka: questa pubblicazione ha valore magisteriale? Fernández risponde di sì e dice che a essa va riservato un religioso ossequio.
La situazione qui si fa pirandelliana o kafkiana che dir si voglia. Il Papa poteva dire nell’Esortazione che i divorziati risposati potevano, magari in casi particolari, accedere alla Comunione e non l’ha fatto. Sul punto, quindi, AL non fa magistero e non vuole farlo. Se – vedi Caffarra – avesse voluto farlo lo avrebbe fatto, ma non l’ha fatto. I vescovi di Buenos Aires interpretano quindi un non-magistero, fanno riferimento a quanto non-è-stato-detto, quindi la loro è una non-interpretazione, perché una interpretazione di nulla è una non-interpretazione. Poi arriva il Papa, che dà l'interpretazione autorevole di una non-interpretazione di un non-magistero e Fernández sostiene - ha l’ardire di sostenere - che questo sarebbe magistero. Ma come può reggere una costruzione di questo genere? Fa poi sorridere quando il cardinale Duka chiede: «Non sarebbe opportuno che l’intera questione venisse spiegata meglio nel testo del Suo competente magistero?». E Fernández risponde di no, che non ce n’è bisogno perché nella lettera ai vescovi di Buenos Aires la cosa è spiegata “sufficientemente”.
Non meno da teatro dell’assurdo è poi il non nuovo tentativo di Fernández di sostenere la continuità perfetta tra quanto insegnato da AL e dai due precedenti pontefici, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, i quali – egli dice – avevano già ammesso la possibilità di accedere all’Eucarestia, a patto che i due convivessero come fratello e sorella. Ma il punto è proprio questo, è proprio lì che si rende evidente la discontinuità. Secondo il Prefetto, Francesco mantiene tale proposta, ma ammette che vi possono essere delle difficoltà nel praticarla e quindi permette in certi casi, dopo un adeguato discernimento, l’amministrazione del sacramento della riconciliazione anche quando non si riesca a essere fedeli alla continenza. Viene taciuta qui la discontinuità che consiste nel non considerare più l’adulterio come un intrinsece malum e nell’assumere come motivazione di ciò non qualche argomento di fede rivelata ma la “difficoltà nel praticarla”. Questo punto mette in questione il principio che Dio non ci richiede mai qualcosa cui non possiamo aderire con il suo aiuto. Ci si chiede: come è possibile mascherare tutto questo dietro una presunta continuità che non esiste?
Alle stesse conclusioni pirandelliane arriviamo anche esaminando le risposte alle domande relative a chi spetta decidere, alla fine del processo di discernimento, se ammettere alla Comunione o meno. Tutti sanno che di questo ipotetico discernimento non c’è traccia reale da nessuna parte e che alla fine sono gli stessi divorziati risposati che decidono di farlo. Tutta la retorica dell’accompagnamento nel processo di discernimento, proposta dal cardinale Kasper fin dagli anni Settanta del secolo scorso, è vuota e strumentale. Duka pone in modo chiaro la domanda: “chi dovrebbe essere il valutatore?”, e aggiunge anche delle ipotesi: il confessore, il parroco locale, il vicario foraneo, il vicario episcopale o penitenziere? C’è dell’intelligente sarcasmo in questi esempi, dato che si sa bene che nella realtà non c’è né ci sarà niente di tutto questo. E infatti Fernández lo riconosce: «è ogni persona individualmente che è chiamata a mettersi davanti a Dio e ad esporgli la propria coscienza». Con il che viene dichiarato quale fosse l’obiettivo coltivato fin dall’inizio sotto il manto della retorica.
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