Afghanistan, gli Usa se ne vanno. La Cina arriva
Dopo il ritiro di Usa e Nato e la rapida avanzata dei Talebani, la “questione afghana” diventa prioritaria per Russia e Cina che rischiano di dover fare i conti con un Paese che potrebbe presto tornare in mano agli studenti coranici. Primi accordi a Tianjin fra il regime di Pechino e i Talebani.
Dopo il ritiro di Usa e Nato e la rapida avanzata dei Talebani, la “questione afghana” diventa prioritaria per Russia e Cina che rischiano di dover fare i conti con un Paese che potrebbe presto tornare in mano agli studenti coranici (che già ne controllano a quasi totalità dei confini) e che potrebbe in prospettiva tornare ad ospitare e sostenere i movimenti jihadisti attivi in altri stati.
Il 28 luglio il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ha incontrato a Tianjin, nel nord della Cina, una delegazione di 9 emissari talebani guidati dal mullah Abdul Ghani Baradar, uno dei fondatori del movimento talebano alla testa dell'ufficio di rappresentanza a Doha, in Qatar, dove si svolsero i negoziati con Washington che hanno portato al ritiro delle truppe alleate. L'incontro, non certo casualmente, si è tenuto pochi giorni dopo che le milizie talebane avevano conquistato il breve confine afghano-cinese, appena 91 chilometri nell’estremità orientale del cosiddetto “Corridoio di Wakhan”, nella provincia nord orientale del Badakhshan.
Pechino, che pure ha forti interessi minerari in Afghanistan ed è l’unico Stato straniero ad aver utilizzato concessioni minerarie afghane nonostante le precarie condizioni di sicurezza, sembra voler affrontare con il consueto pragmatismo la nuova crisi afghana. Pur senza condannare l'avanzata talebana, la Cina si prepara al peggio instaurando rapporti diretti con i Talebani con l’obiettivo di farli diventare interlocutori politici per negoziare con loro alcune condizioni essenziali per Pechino.
La prima è indurre i Talebani a cessare di sostenere la rivolta islamista e nazionalista degli uighuri del Sinkiang, regione che, come il Tibet, è oppressa dal tallone del regime comunista. I Talebani, che devono tranquillizzare la comunità internazionale per puntare a prendere il potere a Kabul, hanno già riferito che "non interferiranno" nelle questioni interne cinesi.
In cambio di questo impegno Wang Yi ha definito i Talebani una "forza militare e politica cruciale" aggiungendo che dovrebbero svolgere un "ruolo importante" nel processo di pace, riconciliazione e ricostruzione del Paese. Secondo quanto riferisce l’agenzia di stato Nuova Cina (Xinhua) , Pechino ha chiesto ai talebani di mettere al primo posto gli "interessi nazionali", per portare la pace, e adottare una "politica inclusiva"
Il "rapido" ritiro delle forze militari statunitensi e della Nato dall'Afghanistan "segna il fallimento della politica degli Stati Uniti" nel Paese asiatico ha detto ancora il ministro degli Esteri cinese rivolgendosi alla delegazione dei Talebani in visita in Cina, esortandola a rompere con tutte le organizzazioni terroristiche, incluso il Movimento islamico del Turkestan orientale attivo nella regione dello Xinjiang, dove la popolazione musulmana uighura si oppone alle repressioni tese a stroncare il movimento indipendentista. I Talebani "assicurano" a Pechino che il territorio afghano non verrà utilizzato contro la sicurezza" di altri Paesi: un’assicurazione simile a quella offerta agli Stati Uniti di non ospitare in futuro al-Qaeda o altre organizzazioni terroristiche.
Il coinvolgimento di Pechino nella crisi afghana è stato salutato positivamente da Washington, a conferma che il ritiro da Kabul aveva anche l’obiettivo di lasciare in eredità a Cina e Russia il bubbone del jihadismo afghano. Potrebbe essere "positivo" un possibile coinvolgimento della Cina se negli auspici del gigante asiatico ci sono "una soluzione pacifica del conflitto" e un governo "davvero rappresentativo e inclusivo" ha detto il segretario di Stato Antony Blinken. “Nessuno ha interesse a una presa militare del potere nel Paese da parte dei talebani, al ripristino di un emirato islamico", ha detto Blinken che ha sollecitato i Talebani a sedersi "pacificamente" al tavolo dei negoziati.
Anche Mosca ha definito "non realistica" l'ipotesi di una presa di potere dei Talebani in Afghanistan: Zamir Kabulov, rappresentante speciale del Cremlino per l'Afghanistan, ha assicurato che Mosca è "preparata a tutti gli scenari se si dovesse arrivare a questo". Del resto lo stesso Kabulov ha riconosciuto che "più della metà" del territorio afghano è sotto il controllo dei Talebani che di certo non stanno impegnandosi molto per offrire un’immagine diversa da quella bellicosa.
Violenti scontri sono in corso in almeno tre capoluoghi delle 34 province dell'Afghanistan. Da almeno quattro giorni i Talebani attaccano diversi distretti della città di Kandahar, nel sud del Paese da dove molti civili sono in fuga. Da una settimana si combatte accanitamente anche intorno a Lashkar Gah, capoluogo della provincia meridionale di Helmand, dove i talebani hanno preso il controllo di un altro distretto. La caduta dei due capiluoghi meridionali, tradizionale roccaforte dell’etnia pashtun e del movimento talebano, rappresenterebbe un grade successo, anche simbolico, per gli insorti. Scontri durissimi sono in corso anche nel nord dove le forze governative sono riuscite a respingere attacchi a Taloqan, capoluogo della provincia di Takhar.