Afghanistan addio, ora ci penseranno i cinesi
Ciò che l’America molla, viene preso dalla Cina? Questa pare proprio essere la dinamica nell’ultimo anno. L’esempio più eclatante è l’Afghanistan, se non altro per la rapidità con cui all’egemonia statunitense è subentrata quella cinese. Il nuovo Emirato e il regime di Pechino sono pronti ad accantonare la loro incompatibilità ideologica?
Ciò che l’America molla, viene preso dalla Cina? La politica estera non ammette spazi vuoti e questa pare proprio essere la dinamica nell’ultimo anno. L’esempio più eclatante è l’Afghanistan, se non altro per la rapidità con cui all’egemonia statunitense è subentrata quella cinese.
Il portavoce dei Talebani, Zabiullah Mujahid intervistato da La Repubblica, è stato molto chiaro: «La Cina è il nostro partner principale e rappresenta per noi una fondamentale e straordinaria opportunità poiché è disponibile a investire e ricostruire il nostro Paese. Teniamo moltissimo al progetto “One belt, one road” che porterà a rivivere l'antica Via della seta. Inoltre possediamo ricche miniere di rame che grazie ai cinesi potranno tornare in vita ed essere modernizzate. Infine la Cina rappresenta il nostro lasciapassare verso i mercati di tutto il mondo».
La Cina ha già raggiunto accordi con i Talebani ancor prima della loro conquista del potere. Come ricordavamo su queste colonne, il 28 luglio una delegazione del futuro Emirato si è incontrata con il ministro degli Esteri Wang Yi. Quest’ultimo ha riconosciuto il movimento degli “studenti coranici” come formazione politica legittima, premessa per il riconoscimento formale del nuovo regime islamico. In quella occasione, il portavoce Suhail Shaheen aveva invitato i cinesi ad investire nel Paese: «Benvenuti per la ricostruzione e lo sviluppo dell’Afghanistan. Se la Cina ha i suoi investimenti, naturalmente noi garantiremo la loro sicurezza». I Talebani hanno promesso di non creare difficoltà interne alla Cina: niente appoggio agli uiguri, la minoranza musulmana dello Xinjiang. E porte chiuse al Partito Islamico del Turkestan, braccio politico degli indipendentisti uiguri che, secondo gli accordi, non potrà agire in territorio afgano.
Comunque non saranno tutte rose e fiori. Mercy Kuo, analista di The Diplomat (rivista di Singapore) sottolinea tutte le difficoltà che potrebbero facilmente sorgere. Il Partito Islamico del Turkestan è stato escluso dai Talebani, ma costituisce ancora una preoccupazione. La Via della Seta e gli investimenti cinesi in Afghanistan, soprattutto nelle miniere delle terre rare, necessitano di un ambiente stabile e sicuro, che per ora non c’è. Infine, non ci sono solo i Talebani al potere in Afghanistan, ma anche il Movimento Talebano del Pakistan (Ttp) che finora ha costituito un ostacolo per il progetto del Corridoio Economico Pakistano, la tratta locale della Via della Seta. Il Ttp ha condotto una serie di attentati contro gli interessi cinesi nel Paese, l’ultimo dei quali a luglio, in cui sono morti nove ingegneri cinesi e quattro operai pakistani, oltre al tentativo, in aprile, di assassinare l’ambasciatore cinese in Pakistan. Potrebbe essere il prequel di quel che avverrà nel futuro tratto della Via della Seta in Afghanistan, dove non tutto il territorio è sotto controllo e dove milizie locali e gruppi terroristici non sempre rispondono ad un unico comando centrale.
Che sia facile o difficile, la penetrazione della Cina nella regione è già evidente adesso E desta il dubbio (o dovrebbe destarlo) sulla lungimiranza della strategia del presidente Joe Biden: uno dei motivi per ritirarsi dall’Afghanistan era proprio quello di avere più risorse per affrontare la Cina. Ma, ritirandosi, ha di fatto regalato a Pechino una maggiore influenza in Asia. C’è chi si consola pensando di aver regalato alla Cina solo una patata bollente. Se questo fosse veramente il retro-pensiero dell’amministrazione, sarebbe veramente pericoloso. Sia Pechino che Kabul, infatti, dimostrano molto pragmatismo, se non altro a parole sanno accantonare le loro rispettive ideologie. La Repubblica Popolare, che attualmente è la maggior persecutrice dell’islam in tutto il mondo, con oltre un milione di musulmani deportati nei campi di rieducazione, si dimostra ben disposta a trattare con un regime islamico alle sue porte. Quest’ultimo, invece di proclamare un jihad contro i maggiori persecutori dei propri fratelli nella fede (come coerenza ideologica vorrebbe), preferisce fare affari con il potente vicino ateo.