Adozioni "omo": per Avvenire «il dibattito è aperto»
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Benché con punti interrogativi e distinguo, dal giornale dei vescovi trapela uno spiraglio possibilista riguardo alla proposta del Centro italiano aiuti all’infanzia di estendere la possibilità di adottare alle coppie omosessuali. Ma chi per anni si è occupato di adozioni in ambito istituzionale, come Carlo Giovanardi, non ci sta.
Ad attendere i bambini adottati non ci potrebbero essere solo “mamma e papà”, ma anche “mamma e mamma” o “papà e papà”. «Il dibattito è aperto» e «tutto è opinabile»: non lo diciamo noi, bensì Avvenire nell’articolo pubblicato domenica 11 giugno, intitolato Serve un’adozione più larga? a firma di Luciano Moia. Pur non prendendo posizione, il quotidiano dei vescovi riporta per tre quarti la posizione del Ciai (il Centro italiano aiuti all’infanzia) che apre a single e coppie omogenitoriali.
Un ente «importante» secondo Avvenire, non solo per i 55 anni di esperienza nel campo ma anche perché «affianca all’impegno sull’adozione quello per la formazione psicologica e per l’inclusione». «Persone serie» secondo il quotidiano cattolico, che passa quindi a citare stralci del recente documento del Ciai – frutto di una lunga gestazione a partire dal 2012 – che promuove «l’idea che l’adozione e l’affidamento familiare da parte di coppie omogenitoriali e single costituisca per un bambino la stessa valida opportunità di avere una famiglia stabile e degli affetti sicuri che potrebbe sperimentare con una coppia eterossessuale». Inoltre, sempre secondo il Ciai che riprende la posizione dell’Associazione italiana di Psicologia, «le ricerche nazionali e internazionali hanno messo in evidenza che non sono né il genere né il numero dei genitori a garantire il benessere del bambino».
A questo punto Avvenire avanza quantomeno un punto interrogativo («Ma è davvero così? Tutto è opinabile») e accenna al «confronto già molto aspro negli Stati Uniti, con un piccolo gruppo di ricercatori teso a contrastare la vulgata corrente fondata sulla tesi della “nessuna differenza” tra genitori etero e omosessuali», oggetto dell’intervista alla professoressa Elena Canzi presente nella stessa pagina. E si chiede se è «davvero necessario» tale allargamento «comunque problematico e certamente divisivo» (e se non fosse «divisivo», chiediamo, allora andrebbe bene?) in un momento in cui «l’adozione è in difficoltà».
Pur tra vari caveat e distinguo non sembra troppo peregrino cogliere – ripetiamo: sul giornale dei vescovi – uno spiraglio possibilista, vista la conclusione: «Il dibattito è aperto, la questione è delicata perché investe aspetti antropologici e relazionali fondamentali. Ecco perché vale la pena ragionarci sopra e ascoltare la voce degli esperti».
Ascoltiamo anche noi la voce degli esperti e chiediamo a chi, in veste istituzionale, si è occupato per vari anni di adozioni internazionali. È il sen. Carlo Giovanardi che nel quarto governo Berlusconi (2008-2011) è stato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, assumendo anche la delega per le adozioni internazionali.
A Giovanardi, piuttosto sconcertato per l’aperturismo che trapela tra le righe di Avvenire, ricordiamo uno degli “argomenti-grimaldello” con cui si vuol forzare l’apertura alle adozioni da parte di single e coppie omosessuali: “ci sono tanti bambini che altrimenti resterebbero soli”, si dice... È un falso problema, risponde, perché «le coppie autorizzate all’adozione sono molte di più» e devono sottostare a una «trafila» che ripercorre per sommi capi, tra i requisiti richiesti dalla legge italiana (essere regolarmente sposati, oltre ai criteri di natura economica e sanitaria eccetera) e quelli del Paese dei bambini da adottare («e non tutti i Paesi sono disposti a dare i propri bambini in adozione a coppie omosessuali: non solo bambini africani, ma anche russi o cinesi»). «Ma quando anche hai ricevuto l’autorizzazione, i bambini adottabili, perché magari dichiarati orfani, sono pochissimi in proporzione alle coppie in attesa». Qualche numero? «Alla fine del mio mandato, nel 2011 erano stati adottati 4100 bambini, mentre l’anno scorso erano poche centinaia. I governi successivi hanno trascurato la Commissione adozioni internazionali».
È in questo contesto che va esaminata anche la questione dell’adozione a coppie omosessuali: «Ci sono coppie italiane, marito e moglie, in possesso dei requisiti e autorizzate… e apriamo alla coppia uomo-uomo o donna-donna? E magari li facciamo passare avanti? E pensiamo al bambino: ha già avuto la sfortuna di rimanere senza i propri genitori e lo priviamo anche della mamma o del papà adottivo?».
A questo punto ricordiamo l’altro motivo, continuamente reiterato: se non concediamo l’adozione alle coppie omosessuali, queste grideranno alla discriminazione. «Ma la prima discriminazione», obietta Giovanardi, «è nei confronti di quelle coppie che hanno tutte le caratteristiche per adottare un bambino e sono ancora in attesa. I secondi discriminati (ma non secondi per importanza) sono i bambini stessi – e sempre ammesso, come abbiamo ricordato, che il loro Paese li dia in adozione. Chi è il vero discriminato? Il bambino che si chiede: “dov’è mia madre?”».
Giovanardi conclude con una domanda: «Se la priorità è non discriminare i bambini e le coppie in attesa, che cosa significa questo spiraglio aperto da Avvenire?». Una domanda che, vista la linea consolidata di Avvenire, rischia di essere retorica.