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NO ALL'OBIEZIONE DI COSCIENZA

Aborto in Irlanda: la Chiesa tace e punta sul sociale

Il premier Leo Varadkar vuole obbligare gli ospedali cattolici a praticare gli omicidi in grembo. Il suo ragionamento non fa una piega, ma svela l'inganno della libertà come intesa dal mondo moderno, non tollerando coloro che non vogliono compiere aborti. Ma la responsabilità maggiore è della Chiesa che pensa di dover riconquistare terreno partendo dai poveri. 

Editoriali 28_06_2018

Gli aborti saranno praticabili ovunque nell’Irlanda che ha deciso di abrogare l’unica legge che la rendeva ancora un posto sicuro per gli innocenti in grembo. Ma al premier progressista Leo Varadkar non basta, bisogna forzare anche le poche strutture cattoliche a praticare gli omicidi, eliminando così l’obiezione di coscienza. Il ragionamento, dal suo punto di vista è coerente: se l’aborto è un bene da garantire che rende il «paese un posto più tollerante», perché bisognerebbe lasciare a qualcuno il diritto di essere intollerante?

Date queste premesse l'obiezione di coscienza è difficilmente difendibile, sebbene emerga tutta la falsità di un concetto di libertà senza oggetto né scopo, intesa come il mero atto di decidere di fare qualsiasi cosa si voglia a prescindere dal contenuto dell'azione. Se la libertà è tale e l'omicidio del proprio figlio è considerato un atto libero, si capisce anche il divieto a non impedire né ad opporsi a un atto di liberazione e "tolleranza". Come lo ha definito il primo ministro irlandese. La contraddizione mostra però la menzogna di una libertà così intesa. È impossibile che l'azione non abbia contenuto o scopo: in questo caso si è scelto di tutelare l'atto di uccidere che include il contrasto alle azioni che lo ostacolano.

È quindi un'illusione quella della liberazione dal vecchio mondo che la nuova Irlanda ha gettato nel cestino considerandolo retrogrado. Non c’è più libertà oggi che ieri, sono semplicemente cambiati i valori che lo Stato vuole raggiungere: solo che un tempo si intendeva per libertà la difesa della famiglia e della vita, mentre oggi si indirizza la libertà verso l'opposto, la morte per mano dello Stato. Se quindi in passato si tutelava il bene per legge e vietando l’aborto, ora si legalizza il male vietando l’obiezione di coscienza. 

Ma l’inganno risulta ancora più evidente guardando la maggioranza dei cattolici che hanno votato per il sì in nome della libertà di coscienza, secondo la classica giustificazione per cui “io non lo farei mai, ma chi sono per impedire la libertà di un altro?". Alphonsus Cullinan, vescovo di Waterford e Lismore ha fatto notare al National Catholic Register che «è singolare che da un lato le persone che hanno votato “Sì” vengano lodate per aver seguito la loro coscienza mentre si cerca di costringere le persone a fare qualcosa contro la propria coscienza». Il vescovo ha poi fatto capire perché i politici dovrebbero almeno avere il coraggio di smettere di mentire parlando di tolleranza, perché «forzare il personale di un ospedale cattolico contro il proprio ethos non è coerente con la tolleranza». Sarebbe meglio essere leali e spiegare fin da subito che non c’è indulgenza per chi va contro un bene di Stato come viene considerato l’aborto da chi lo promuove.

Ma la vera debolezza è della Chiesa e del mondo cattolico che ha assunto in sé questo concetto di libertà relativizzata dell’Occidente moderno, tanto che l’ospedale Mater di Dublino, di proprietà delle Suore della Misericordia, aveva già deciso di attenersi alla legge quando nel 2013 l’aborto fu legalizzato in caso di rischio reale per la vita della madre, sebbene la scelta rimase ancora legata alla coscienza del medico.

In generale, la posizione della Chiesa nel dibattito è stata comunque marginale, anche perché dopo lo scandalo della pedofilia la paura verso il mondo ha generato un silenzio sulle questioni etiche non meno colpevole. Dall’altra parte sono anni che la cultura, persino dei cattolici adulti, rifiuta di obbedire agli insegnamenti del magistero. A campagna referendaria ancora in corso padre Joe McDonald di Ballyfermot aveva rivelato al Guardian che «il dibattito è stato perso molto tempo fa», mentre dopo la vittoria una religiosa, Annemarie McCarrick, ha chiarito all’Ap che «il sì è stato "un voto contrario alla Chiesa”».

Ma se è vero che il primo spot uscito nel 2014, a ridosso della vittoria sul cosiddetto matrimonio fra persone dello stesso sesso, parlava del divieto all'aborto come qualcosa che «porta sofferenza, anche morte alle donne» e che «incatena l’Irlanda al suo passato», ponendo sullo sfondo una chiesa diroccata, non può essere una scusa per la ritirata. 

Infatti, in nome del fatto che la Chiesa non è ascoltata, la sua voce si è fatta debole se non assente. La nuova strategia sarebbe infatti, non quella della verità e del coraggio delle ragioni della fede, ma dell'azione nel sociale. Come ha confermato il capo della conferenza episcopale irlandese Eamonn Martin affermando che il risultato del referendum dipende dal fatto che «la Chiesa viene vista come mancante di compassione» e che pro life significa invece «essere al fianco di coloro che sono minacciati dalle violenze o che non possono vivere a pieno a causa delle deprivazioni economiche, della mancanza di un tetto e dell’emarginazione».

Peccato che mettere sullo stesso piano l’aborto e la povertà, oltre che errato e contrario agli insegnamenti millenari della Chiesa, sia culturalmente un boomerang, dato che la battaglia per la dignità non può che partire da quella per la vita nascente in ogni sua condizione. Ma se questa è la linea della conferenza episcopale, sia che gli ospedali decidano di scendere a patti con uno dei mali più gravi della nostra epoca (Madre Teresa spiegò perché era la prima causa delle guerre), sia che preferiscano chiudere senza provare a combattere come fece con Obama l’episcopato americano su richiesta di Benedetto XVI, verrà meno l’unico spazio pubblico dove la vita è tutelata senza compromessi. Provocando, con la responsabilità della Chiesa, un danno enorme a tutta la società, in cui i più deboli e senza voce non avranno più difese. Figurarsi i senza tetto.