Aborto, eutanasia, Fiv: tutto ciò che dice la Chiesa
Padre Giorgio Carbone, curatore del libro Enchiridion di bioetica. Documenti da Pio X a Francesco, spiega alla Nuova Bussola Quotidiana: "La bioetica interessa anche il mondo relativista; l’insegnamento dei pontefici fa ricorso sia alla fede teologale sia all’esperienza razionale e in 115 anni di magistero c'è una continuità. Il movimento pro-life italiano? Ha dei pregi e dei difetti".
La sempre prolifica casa editrice Edizioni Studio Domenicano ha di recente dato alle stampe un prezioso volume: Enchiridion di bioetica. Documenti da Pio X a Francesco. Si tratta di una raccolta scrupolosamente selezionata di documenti del Magistero relativi a tematiche di bioetica: dall’aborto all’eutanasia, dalla fecondazione extracorporea alla contraccezione e molto altro.
Il volume era stato voluto dal compianto cardinal Carlo Caffarra, primo preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per le Scienze sul matrimonio e sulla famiglia. Sua sarebbe dovuta essere l’introduzione al voluminoso tomo, ma non fece in tempo a scriverla. Il lapis passò al domenicano padre Giorgio Maria Carbone, professore di Bioetica presso la Facoltà di Teologia di Bologna, il quale, come curatore del libro, ha tenuto a precisare, nella stessa introduzione, un doppio concetto di fondamentale importanza nella attuale e ormai pluriennale discussione sui limiti del papato: non ogni affermazione del papa è Magistero e non tutti i pronunciamenti magisteriali hanno pari valore. Una precisazione utilissima al fine di leggere tutte le 1.120 pagine dell’Enchiridion evitando di cadere in derive proprie di una certa papolatria. Siamo andati dunque a porre qualche domanda al curatore del volume, padre Carbone, per saperne di più.
Un libro sulla bioetica. Ma alla gente interessa ancora?
Durante le settimane più acute e drammatiche dell’epidemia da coronavirus gran parte dell’opinione pubblica si è interrogata sul punto di equilibrio tra la tutela della salute individuale e collettiva e l’esercizio dei diritti di libertà, sui criteri per selezionare e ammettere i malati più gravi di covid nei reparti di terapia intensiva. La bioetica è proprio quella disciplina che cerca di trovare una soluzione ragionevole a questi temi. Il fatto poi che molte persone si pongano queste domande sulla bontà e sull’appropriatezza di azioni umane suppone che queste persone siano convinte che le azioni umane non sono tutte alla pari, che esistono azioni buone e azioni cattive. Ciò manifesta il fallimento del processo di normalizzazione e di assuefazione imposto dal relativismo etico: con messaggi martellanti grandi agenzie di comunicazione ci vogliono far credere che un’azione valga l’altra, che tutto sia relativo. Ora, il semplice fatto che mi ponga degli interrogativi per cercare la soluzione migliore significa che non tutto è relativo. A questo proposito la bioetica ci aiuta a fondare razionalmente la ricerca del migliore atto umano in campo medico, sanitario, sperimentale e più in generale nel campo delle bio-tecnologie.
Leggiamo nel sottotitolo: «Documenti da Pio X a Francesco». Un testo quindi rivolto solo ai cattolici?
Assolutamente no. Proprio perché la bioetica – a differenza della teologia morale – si pone come disciplina filosofica subordinata all’etica razionale. Mentre la teologia morale suppone la conoscenza di quanto Dio ci rivela nella Scrittura e nella Tradizione e quindi suppone che il teologo moralista abbia la fede teologale, l’etica razionale e la bioetica tentano di fondare razionalmente le proprie argomentazioni e quindi suppongono che i cultori dell’etica e della bioetica facciano buon uso della ragione pratica e dell’esperienza. Ad esempio in questi «Documenti da Pio X a Francesco» l’insegnamento ricorrente dei pontefici secondo il quale la vita di ogni essere umano va tutelata ed è inviolabile è fondato facendo ricorso sia alla fede teologale – es. ogni uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio e redento in Cristo – che all’esperienza razionale – es. constatiamo che gli uomini delle diverse generazioni e latitudini portano in sé caratteristiche comuni e in forza di queste essi compongono un unico genere, il genere umano, escludere un uomo da questo genere sarebbe una discriminazione iniqua.
Rimaniamo sul sottotitolo: da Pio X a Francesco c’è stata continuità o discontinuità sulle tematiche di bioetica?
Il primo documento riportato è del 1906 e l’ultimo è del 2020. Quindi, l’Enchiridion di Bioetica copre una documentazione di 115 anni. È stupefacente constatare la continuità, cioè la fedeltà e la costanza con la quale i pontefici hanno insegnato il bene della vita di ogni uomo, il bene dell’amore coniugale, il bene dell’atto medico e della ricerca scientifica, solo per fare alcuni esempi. In questo insegnamento costante notiamo anche un notevole progresso della dottrina. Ad esempio, insegnando sempre che la vita di ogni uomo è un bene da promuovere, i pontefici hanno approfondito i versanti di questa promozione. Penso alla vita prenatale e quindi alle diagnosi prenatali, alla fecondazione artificiale, alla sperimentazione sull’uomo e alle fasi finali dell’esistenza.
Il miglior pregio e il peggior difetto delle realtà pro-life e pro-family in Italia?
Beh, è difficile fare una gerarchia di pregi e difetti. Parto da due difetti. Il primo: l’apparentamento partitico di alcuni leader pro-life nuoce alla causa pro-life, non in sé ma a causa degli effetti collaterali. Un obiettivo che dovrebbe essere di tutti è stato identificato come un’istanza di un partito isolato, facendo così il gioco delle forze anti-vita e anti-famiglia. Ad esempio la tutela della vita umana pre-parto è un bene comune, di tutti e di ognuno. Se il presidente di una tale associazione pro-life è anche senatore o deputato di un partito, tutte le forze avverse a quel partito proprio per biechi motivi di parte interpreteranno le istanze di quel senatore o deputato non nel senso della promozione di un bene comune, ma nel senso di istanze di parte. E così a causa della ristretta mentalità partitica il risultato finale è la lesione di un bene comune di capitale importanza. Non sto dicendo che le associazioni pro-life non debbano formare una classe dirigente politica, anzi, ma sto dicendo che il compito primario di queste associazioni è un compito culturale ad ampio spettro, formare le intelligenze delle persone in tutti i modi e, quindi, indirettamente concorrere anche alla formazione di eventuali candidati politici. Il secondo difetto in parte legato al primo è la divisione tra queste realtà: in parte dovuto ai legami con i partiti, in parte al carattere fortemente personale di alcune associazioni. Quanto ai pregi, innanzitutto il coraggio di essere contro-corrente: agenzie di comunicazione, lautamente finanziate, premono con forza per omogeneizzare il pensiero e la condotta per realizzare gli obiettivi più disparati, ma in ultim’analisi tutti disumani. Il popolo pro-life non ci sta, vuole ragionare con la propria testa e in molti casi porta a conoscenza dell’opinione pubblica fenomeni e azioni umane altrimenti censurate. Il secondo pregio è il desiderio diffuso di sapere, conoscere non solo per essere ben informati, ma anche ben formati intellettualmente e moralmente.