"Aborto diritto fondamentale", Parigi e Londra ci pensano
La sentenza della Corte Suprema americana ha avuto molte reazioni estreme anche in Europa, dove in Francia e Regno Unito sono state avanzate proposte per inserire l'aborto come diritto costituzionale. Reazioni radicali che inducono alcuni a pensare che la sentenza fosse inopportuna: ragionamento sbagliato, ecco perché...
Si sa che l’animale ferito s’incattivisce. E così la Francia e il Regno Unito vorrebbero elevare l’aborto a diritto costituzionale come risposta alla sentenza della Corte Suprema USA che ha ribaltato la sentenza Roe vs Wade.
Aurore Bergé, presidente del gruppo parlamentare Renaissance (RE) nell’Assemblea nazionale francese, ha reso noto che presenterà un disegno di legge affinchè l’aborto sia inserito nella Costituzione come diritto fondamentale. Uccidere l’innocente un diritto e pure fondamentale. Non è più vivere un diritto fondamentale, bensì il suo opposto: uccidere. Sulla stessa lunghezza d’onda Mathilde Panot, presidente del partito di estrema sinistra La France Insoumise (FI): anche lei ha annunciato di voler presentare un disegno di legge simile.
Al di là della Manica la musica non cambia. Come risposta ai giudici USA, Stella Creasy, deputato inglese del socialdemocratico Labour and Co-operative Party, ha proposto di varare un emendamento al Bill of Right, documento del 1689 che rappresenta una delle fondamenta dell’ordinamento giuridico inglese, al fine di «proteggere, per ogni singola donna nel Regno Unito, il diritto della donna di scegliere». Il vice primo ministro Dominic Raab ha dichiarato che per ora non serve inserire questo emendamento.
Dunque una delle molte reazioni alla sentenza della Corte suprema è stata quella di estremizzare il confronto, polarizzare lo scontro, procedere ancor più speditamente verso la direzione opposta a quella seguita dai giudici USA. Tu giudice lasci la disciplina sull’aborto in mano ai parlamenti nazionali con il rischio che diventi addirittura un reato ed io lo elevo a diritto fondamentale.
A tal proposito viene in mente una classica obiezione presente non di rado anche in alcuni circoli cattolici e cattolici pro-life: se alziamo la testa rischiamo che ce la mozzino. Insomma cediamo al ricatto dei pro-choice altrimenti costoro potrebbero spingere ancor più sull’acceleratore. A protestare rischiamo di fare un passo indietro.
Sulla scia di questa obiezione, allora viene da chiedersi se i giudici della Corte suprema abbiano fatto male a pronunciare quella sentenza, dato che, così facendo, hanno inasprito gli animi degli abortisti europei spingendoli a riforme ancor più dannose per la vita nascente. La domanda riceve una risposta negativa. Per capirne il senso procediamo per gradi.
Un criterio da tenere presente è quello di proporzionalità o di efficacia. Se io parlamentare so che, quando varerò una certa legge, questa provocherà molti più danni che benefici e assai gravi per il bene comune, allora è doveroso astenersi dal varare quella legge. È questo il caso presente? No, perché la sentenza Dobbs salverà negli anni a venire centinaia di migliaia di bambini, forse milioni, un numero ben superiore di quello dei bambini uccisi a causa delle modifiche legislative ventilate in Francia e in UK. Infatti da una parte abbiamo l’effetto positivo della sentenza sul suolo statunitense, ma anche all’estero, che farà nascere moltissimi bambini che invece sarebbero stati abortiti e su altro fronte abbiamo la volontà di dichiarare l’aborto diritto fondamentale, dichiarazione che probabilmente non farà aumentare di molto l’accesso a questa pratica, dato che sia in Francia che in UK già ora abortire è facilissimo. Insomma, pioverebbe sul bagnato. Dunque i benefici di questa sentenza superano gli effetti collaterali.
Ma occorre riflettere anche su un secondo aspetto. Abbiamo scritto che se il parlamentare prevedesse che la legge che vuole varare provocherebbe più danni che benefici, allora sarebbe doveroso desistere dall’intento di varare la norma. Ciò nel rispetto del principio di proporzione. Ma è proprio tenendo conto di questo principio che, per alcune condotte, è sempre doveroso vietarle per legge. Tali condotte sono l’assassinio (anche ovviamente quello prenatale), il furto, la violenza, etc. La sanzione relativa a tali condotte è sempre doverosa perché sempre proporzionata al bene comune. Tommaso d’Aquino sottolinea infatti che «[sono proibiti quei vizi N.d.A.] dannosi per gli altri, senza la cui proibizione non può sussistere l’umana società, quali l’omicidio, il furto e simili» (Summa Theologiae, I-II, q. 96, a. 2 c.). E dunque tollerare queste condotte porterebbe alla distruzione del bene comune e quindi apparirebbe contraddittorio con il fine proprio dell’ordinamento giuridico.
Perciò, anche laddove ci fossero rivolte, attentati, atti di distruzione come protesta nei confronti di leggi simili – come sta avvenendo negli USA a seguito della sentenza Dobbs – e anche laddove tali leggi spingessero i parlamenti di altri Paesi a rendere ancor più facile abortire, vietare l’aborto rimarrebbe un dovere perché divieto efficace, a patto che l’ordinamento giuridico accompagni il varo di queste leggi con altre azioni sia di carattere penale – punire i facinorosi – sia di carattere educativo – spiegare il senso di queste leggi ai cittadini, introdurre percorsi scolastici pro-life, etc. – sia di carattere amministrativo – impegnarsi nella tutela della vita nascente e delle madri – sia di carattere diplomatico – interloquendo con quei Paesi che invece, a motivo di queste leggi, hanno allargato ancor più le maglie della pratica abortiva. Dunque per tamponare i possibili effetti negativi di una legge-sentenza pro-life occorre agire su più fronti. Non basta vietare e sanzionare.
Ciò detto, è bene rammentare che la sentenza Dobbs non ha nemmeno vietato l’aborto – scelta che sarebbe stata doverosa dal punto di vista morale – ma si è limitata a passare la palla ai singoli parlamenti nazionali che potranno vietare o legittimare l’aborto.