Aborto, come e perché la Chiesa deve ancora combattere
«La pratica dell’aborto è condannata dalla Chiesa e ad essa si oppone anche la retta ragione. “Non uccidere” è un principio della coscienza morale dell’umanità, ossia della legge morale naturale che l’intelligenza è in grado di conoscere. La Chiesa non può abbassare la guardia: Dio le ha affidato non solo il compito di conservare la legge soprannaturale ma anche la legge naturale, educando all'uso della ragione».
Pubblichiamo la dichiarazione dell’Arcivescovo Giampaolo Crepaldi nel 40mo anniversario della legge 194 e all’indomani del referendum in Irlanda.
Nei giorni scorsi, precisamente il 22 maggio 2018, è ricorso il quarantesimo anniversario dell’approvazione da parte del Parlamento italiano della legge 194 che ha introdotto nell’ordinamento del nostro Paese l’interruzione volontaria della gravidanza, ossia l’aborto. La pratica dell’aborto è sempre stata condannata dalla Chiesa e ad essa si oppone anche la retta ragione. “Non uccidere” è un principio che appartiene alla coscienza morale dell’umanità intera, ossia alla legge morale naturale che l’intelligenza umana è in grado di conoscere in modo evidente e per inclinazione, spontaneamente e con l’aiuto di una coscienza retta e formata. Il principio secondo cui la vita è indisponibile all’uomo è a baluardo della violenza e dell’ingiustizia dell’uomo sull’uomo.
Se questo principio non viene mantenuto saldo nel momento iniziale della vita, sarà poi impossibile garantirlo nelle altre situazioni della vita sociale e politica. L’indisponibilità della vita ha il suo ultimo fondamento in Dio Creatore, autore della vita. La legislazione abortista rompe il legame tra creatura e Creatore e, considerando la vita umana a disposizione degli uomini, estromette il riferimento al Creatore, implicito o esplicito che sia, dalla società degli uomini. L’attacco alla vita è sempre anche un attacco a Dio e l’approvazione di una legge che permetta l’aborto è sempre non solo il rifiuto di norme morali oggettive che regolino la vita politica, ma anche una secolarizzazione forzata.
La Chiesa non può abbassare la guardia contro la tragedia dell’aborto. I principi della legge morale naturale, infatti, sono anche oggetto di rivelazione e Dio ha affidato alla Chiesa non solo il compito di conservare, proteggere e tramandare la legge soprannaturale ma anche la legge naturale. La difesa del diritto alla vita è il primo dei cosiddetti “principi non negoziabili”. Con questa espressione, resa nota soprattutto dal magistero di Benedetto XVI, altro non si intende che i contenuti del diritto naturale. La dottrina dei “principi non negoziabili” rimanda da un lato alla legge morale naturale che ha carattere moralmente obbligante per tutti in quanto espressione dei fini ultimi dell’uomo e, dall’altro, alla dottrina morale circa gli atti intrinsecamente cattivi (intrinsece mala). Si tratta di atti il cui oggetto materiale, qualsiasi siano le motivazioni, le condizioni e le situazioni, non è mai ordinabile a Dio, fine ultimo di tutto il nostro agire. Ora, il primo di questi “principi” è la difesa del diritto alla vita. Per la sua cogenza morale esso non può essere assimilato ad altri obblighi morali positivi, come per esempio la lotta alla povertà o l’accoglienza degli immigrati. L’agire umano in questi due ultimi settori ha di fronte il bene, che si può fare in molti modi, ma l’agire umano che si trova di fronte all’aborto ha di fronte un male che non si deve mai compiere.
La legge 194 del 1978 era, ed è, una legge profondamente ingiusta. Non si è trattato solo di successive deformazioni applicative e anche i supposti aspetti positivi sono comunque all’interno di una legge il cui scopo finale è la soppressione dell’innocente. La legge 194 è stata, tra l’altro, una legge ingannevole, in quanto dichiarava di voler proteggere la vita, così accogliendo in via strumentale anche l’approvazione sprovveduta di persone contrarie all’aborto, mentre in realtà la metteva in pericolo.
L’impegno per l’abolizione della legge 194, pur nella difficoltà contingente del quadro culturale e politico, non può essere tralasciato. La diffusione di legislazioni favorevoli all’aborto, al cui numero si è aggiunta ultimamente quella dell’Irlanda, non può trasformare il male in bene. Su punti come questo la democrazia regge o cade.
La Chiesa non può dare la priorità al metodo democratico piuttosto che ai suoi contenuti. Essa continuerà sempre a combattere contro le legislazioni abortiste, ben sapendo che in questa lotta essa non esprime una ideologia politica, ma risponde alla sua missione di evangelizzare, dato che l’evangelizzazione contiene anche l’educazione al rispetto della legge morale naturale, messa da Dio nel creato e nei nostri cuori.