A quale santo votarsi quando la terra trema
Nell'agiografia e nella liturgia, dalle Rogazioni ai patroni invocati in caso di terremoto, la tradizione della Chiesa ha sempre invocato il Cielo di fronte alle calamità naturali. I nostri antenati erano creduloni o superstiziosi? Forse erano semplicemente consapevoli che non siamo onnipotenti.
«A flagello terraemotus libera nos, Domine» («Dal flagello del terremoto liberaci, o Signore»), è una delle suppliche che un tempo si levavano in occasione delle Rogazioni, le processioni che tradizionalmente si svolgevano nei tre giorni precedenti l’Ascensione. Si invocava la liberazione da vari mali del corpo e dello spirito, a cominciare «dalla dannazione eterna» («A damnatione perpetua libera nos...»), ma anche «dalla folgore e dalla tempesta» («a fulgure et tempestate»), «dalla peste, dalla fame e dalla guerra» («a peste, fame et bello»). Benché aggiornate (e forse un po’ semplificate), alcune di queste invocazioni sono tuttora presenti e raccomandate dal Benedizionale (nn. 1820 ss.)
La preghiera non esimeva certo i nostri antenati dall’adoperarsi per prevenire le calamità o almeno farvi fronte con i mezzi a disposizione così come noi facciamo il possibile disponendo di mezzi e strutture antisismiche decisamente più avanzate. Ma facciamo, appunto, il possibile. Se da un incendio o da un diluvio ci si può (forse) isolare senza venire lambiti dall’acqua o dalle fiamme, la scossa di terremoto invece è inevitabile: se ne possono limitare i danni, ma non azzerare l’evento in sé. Siamo capaci di prevedere ma non di fermare quel movimento implacabile, sussultorio o ondulatorio, che nel giro di pochi secondi fa ballare la cosiddetta “terraferma” con tutto quanto vi è sopra.
Il sisma è l’evento che più mette alla prova le nostre capacità di difesa di fronte alle forze della natura – natura che solo un’ingenua concezione della “madre terra” può considerare benigna a prescindere e che invece può mostrarsi al contempo mater et matrigna, per così dire. E non è sempre “colpa dell’uomo”, che anzi è l’unico essere in grado di “addomesticarne” in qualche misura le forze fuori controllo, come quella di un terremoto o di un meteorite. Con risultati spesso sorprendenti, fin dove può. Dove non può, di fronte alla furia della terra e degli elementi, ci si è sempre affidati anche a colui che può governarli (Mc 4, 41), direttamente o per mezzo dei santi. Almeno finché l’uomo non ha infranto il legame che unisce le cose visibili a quelle invisibili.
A che santo votarsi di fronte al terremoto? Rino Cammilleri ne censisce ben sette nel suo Il grande libro dei santi protettori (Ares, Milano 2022). Chi volesse conoscere vita, morte e (letteralmente) miracoli di ciascuno di loro e di molti altri santi e relativi patronati troverà pane per i suoi denti nelle oltre 700 pagine di Cammilleri. La Sicilia annovera due santi “antisismici”: Rosalia, la “santuzza” veneratissima dai palermitani, e il carmelitano Alberto degli Abati, vissuto fra Trapani e Messina. Due anche per la Spagna: il domenicano Vincenzo Ferrer e il gesuita Francesco Borgia, che poi visse e morì a Roma, negli stessi anni in cui vi svolgeva un fecondo apostolato Filippo Neri (a sua volta invocato anche a protezione dai movimenti tellurici). La martoriata Irpinia ha un santo tutto suo: il vescovo Amato di Nusco. Last but not least, Emidio, vescovo e martire, che vanta tale “giurisdizione” ben al di là della “sua” Ascoli.
Sant’Emidio e il terremoto sono tutt’uno, nell’iconografia e nell’agiografia. Sarebbe avvenuto proprio un terremoto a fermare coloro che volevano costringere il santo a tornare al culto degli dei pagani, nella natia Treviri o – stando a un’altra versione – ad Ascoli, dove il Papa lo aveva inviato come vescovo e dove subì il martirio (siamo al tempo della persecuzione di Diocleziano, a cavallo tra il III e il IV secolo). Certo è che la città fu risparmiata dal terribile terremoto del 1703, con epicentro a nord de L’Aquila, ed eresse in ringraziamento il tempietto di Sant’Emidio alle Grotte, poi consacrato nel 1720. Con la stessa intensità ed estensione di quel tragico evento che aveva causato migliaia di morti, aumentò di pari passo la devozione al santo ascolano, raffigurato nell’atto di sorreggere un edificio prossimo a crollare.
L’intercessione “antisismica” di Sant’Emidio è particolarmente sentita nelle Marche e in Abruzzo, regioni peraltro ad altissimo rischio e che frequentemente hanno dovuto fare i conti con i “capricci” della terra. Basti pensare agli eventi del 2016 (tra la reatina Accumoli e l'ascolana Arquata del Tronto, colpendo poi ancora più forte due mesi dopo in Umbria); alla devastazione de L’Aquila nel 2009 o al terremoto della Marsica che il 13 gennaio 1915 rase al suolo l’intera Avezzano. Un secolo dopo, nel 2015, proprio nel segno di Sant’Emidio l’evento fu commemorato da mons. Giovanni D’Ercole (allora ordinario di Ascoli, ma di origini marsicane) e mons. Pietro Santoro (allora vescovo dei Marsi). E in tutta l'area “Sant’Emidio!” (o meglio: “Santo Middio!” o “Sante Middie!” a seconda delle varianti dialettali) è invocazione capillarmente diffusa, anche laddove non è il patrono principale. Persino oltreoceano è viva la devozione “emidiana”: il sito Sant’Emidio nel mondo elenca tutte le località interessate, dagli Stati Uniti alle Filippine, toccando praticamente ogni continente.
Dall’agiografia torniamo infine alla liturgia. Il messale romano attuale tra le «Messe e orazioni per varie necessità» include una colletta (n. 34) In tempo di terremoto, che recita: «O Dio, che hai fondato la terra su solide basi, abbi pietà dei fedeli che nella paura ti supplicano: fa’ che sentiamo sempre la sollecitudine della tua bontà e allontana per sempre i pericoli del terremoto, perché sotto la tua protezione possiamo servirti con riconoscenza». Nel messale tradizionale c’è invece l’intero formulario dell’apposita Messa, con tutte le relative antifone, letture e orazioni, implorando la clemenza di Dio di fermare il tremore della terra e di donarci la grazia di risanarla.
Superstizione? Purtroppo, «un paio di secoli di scetticismo illuministico ci hanno abituati a ritenere che i nostri antenati fossero più̀ stupidi di noi», scrive Cammilleri nel libro citato. Certamente possiamo contare «su lussuosi prefabbricati in caso di calamità. Salvo quando, nell’un caso o nell’altro, il soccorso degli uomini arriva troppo tardi». Oppure quando non è in grado di arrivare, per quanto sia avanzato e sofisticato. La ragione è molto semplice: non siamo onnipotenti. Siamo capaci di far molto, ma non tutto. E rivolgersi al Creatore e ai santi non costa nulla. «Se avete qualche problema – conclude Cammilleri – provate con loro. Pare facciano miracoli».