A Messa col biglietto e la polizia ci darà il benvenuto
A Milano consigliano la polizia in chiesa per "dirigere" il traffico; a Firenze tracceranno i fedeli e a Venezia si dovranno prenotare i posti. Mentre a Mantova gli sposi devono igienizzarsi le mani prima delle promesse matrimoniali. In vista della riapertura di lunedì le diocesi si attrezzano, ma emerge una Chiesa patriottica impaurita, igienista, fobica, lontana dalle famiglie e dall'Eucarestia: il catalogo di detergenti di Sassari, a Imperia si risparmia sulle Messe, coi guanti buttati si sprecano i sacrilegi. E se non si trova posto? "Ritenta, sarai più fortunato", dicono a Brescia. Il viaggio della Bussola tra le assurdità dei protocolli diocesani, dove emerge la solitudine del parroco al quale è scaricato tutto il peso della responsabilità legale.
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«E domenica, tutti in seconda fila a Messa: vi ho preso i biglietti». Prepariamoci perché non è la trama di un romanzo distopico, ma la realtà che ci troveremo ad affrontare da lunedì 18 maggio, quando le chiese riapriranno per le messe cum populo. Dopo il protocollo siglato da Cei e Governo, già pesantamente limitativo della libertas Ecclesiae alla quale il Viminale ha sostanzialmente dettato le norme liturgiche, i vescovi hanno dovuto recepire il protocollo.
E – come era naturale – ci hanno messo del loro per “impreziosire” le disposizioni che già erano problematiche di loro.
Ne esce un quadro piuttosto variegato – e mesto - di una Chiesa che fa di tutto per non farsi beccare in castagna dalle autorità, super igienista, che non riflette sull’aspetto spirituale, impaurita di prendere multe e che per questo cerca di coprirsi le spalle il più possibile, anche inserendo disposizioni non richieste, ma che rendono l’idea di che cosa voglia dire l’idea di una Chiesa di Stato.
“SBIRRI” IN CHIESA
A cominciare dal recepimento della direttiva dell’ormai ministro del culto del Viminale Michele Di Bari, il quale il 13 maggio scorso ha disposto che in chiesa non entrino comunque più di 200 persone. Una decisione unilaterale – non concordata con la Cei – e univoca, cioè che vale sia per le chiese piccole che per la grandi basiliche.
Abituarsi dunque: il controllo dello Stato sarà presente e neanche tanto discreto. A Milano ad esempio, ma lo stesso vale anche per Lodi, gli “sbirri” potranno entrare in chiesa come se fosse una bisca clandestina, a controllare che tutto si svolga per il meglio. Sono gli stessi vescovi a suggerire ai parroci che per gestire gli ingressi contingentati possono avvalersi della collaborazione della Polizia municipale o della Protezione civile. Avremo così le forze dell’ordine in chiesa indicarci dove sederci e controllare se abbiamo con noi guanti e mascherina.
Paese che vai, security che trovi: a Firenze hanno chiesto aiuto agli scout, mentre ad Aosta ad accogliere i fedeli ci saranno gli Alpini. Non è detto se nel foyer … pardòn sul sagrato, intoneranno Quel mazzolin di fiori.
TUTTO SULLE SPALLE DEI PRETI
Con uno Stato che decide il numero e anche i posti a sedere, alla Chiesa resta davvero poco da approntare. Ma c’è comunque spazio per dare ai parroci un bel pensiero che di sicuro in questi giorni non li fa dormire la notte tanto che a Mondovì, il vescovo ha deciso che i tempi non fossero maturi e non si riaprirà il 18.
Partiti al motto del “senso di responsabilità” al tempo del lockdown, la responsabilità legale della corretta gestione non poteva che ricadere sui parroci. A Palermo ad esempio, il vescovo lo ricorda nero su bianco, ma quasi tutte le diocesi parlano del parroco come del “legale rappresentante” dell’ente, cioè la parrocchia. Colui, in sostanza, che se non dovesse osservare tutte le meticolose disposizioni prenderà la multa salata. E così Grosseto: «Il Legale rappresentante dell’Ente è responsabile della corretta applicazione delle norme». A leggere bene i protocolli diocesani, dipartiti dal protocollo magno siglato da Basseti-Lamorgese-Conte la grana della sicurezza è tutta in capo al parroco, il quale però non può decidere neanche quanti posti destinare al culto dato che questi devono essere tutti comunicati alla diocesi che li deve condividere.
DUE BIGLIETTI PER PENTECOSTE
Già, i posti. Se la capacità di accoglienza è ridotta, come si fa decidere chi può entrare? In quasi tutte le chiese vige il tribale principio del “chi prima arriva meglio alloggia”. Con un’avvertenza. A Brescia si sono chiesti che fare di quelli che rimangono fuori. Bene, gli verrà risposto più o meno evangelicamente il classico “via, non vi conosco”. «Se i posti disponibili in Chiesa, indicati dal presente documento, sono esauriti e non sei riuscito ad entrare – si legge nel vademecum della diocesi - dovrai avere pazienza e tornare per un’altra celebrazione, oppure offrire a Dio il tuo desiderio che non si è potuto concretizzare a causa di questa situazione.
Non sono previste eccezioni di alcun genere in deroga alla capienza massima della chiesa». Dovremo vedere fedeli respinti? Sembra proprio di sì. Ed è per ovviare a questo che qualcuno si sta ingegnando andando a delineare un vero e proprio sistema di tracciabilità e prenotazioni.
A Firenze al momento è solo allo studio, ma il «sistema di controllo elettronico per il numero degli accessi» è in rampa di lancio. Così come a Reggio Emilia, dove la app di prossima attivazione Io vado a messa consentirà di prenotare comodamente il proprio posto: navata centrale o laterale? Banco esterno o interno? Vista altare o ambone? E per la Pentecoste c’è un’offerta speciale: in regalo la mascherina… Basterà un click e per i non pratici di internet ci sarà un servizio di call center. A Venezia la prenotazione non è obbligatoria, ma consigliata. Se andrà a buon fine, entreremo con il nostro posto assegnato “Riservato signor Rossi”, in mano il libretto d’opera… pardòn, il Messalino, e uno scout ci chiederà di accomodarci per lo spettacolo.
NON È UNA CHIESA PER FAMIGLIE
Il problema degli accessi richiama quello dei nuclei famigliari con figli che vengono pesantemente limitati. Ad essere sempre citato è il singolo fedele, come prodotto di un individualismo inquietante se si pensa che stiamo parlando di comunità ecclesiali. Impossibile trovare riferimenti alle famiglie le quali devono osservare le distanze di sicurezza, quando fino a dieci minuti prima hanno dormito nella stessa camera e fatto colazione allo stesso tavolo. A Brescia saranno inflessibili: «Il rispetto dei posti assegnati vale anche per i nuclei famigliari, non è possibile derogare al distanziamento previsto, evita di portare con te bambini troppo piccoli». Venezia chiede di «far rispettare le presenti disposizioni anche ai nuclei famigliari affinché non venga alterato il numero dei posti calcolato». Per trovare un po’ di umanità bisogna andare a Grosseto dove «le famiglie e le persone coabitanti possono stare vicini tra di loro senza rispettare la distanza interpersonale, mantenendo comunque la distanza di un metro, laterale e frontale, dagli altri». Idem a Torino dove genitori con figli, coppie di sposi, ma pure anziani con badanti possono stare vicini, nello stesso banco, ma sempre nelle distanze stabilite.
LA CHIESA “UNTRICE”
Il cambiamento sarà immediato. Avremo messe come sale d’attesa del dentista: igienizzate e fredde, tutti, a cominciare dal parroco – e per loro bisogna considerare un surplus di solidarietà – saranno occupati sul rispetto delle regole e la loro attenzione sul Mistero si sposterà inevitabilmente. Sono immagini da Chiesa patriottica cinese, nella quale le messe sono a numero chiuso e controllate dall’autorità. Chi ha visto, sa di che cosa parliamo. E chi pensasse che il 18 maggio torneremo al 7 marzo si sbaglierebbe di grosso. Siamo entrati in una dimensione nuova e insolita nella quale la Chiesa è più preoccupata per l’accusa di essere chiamata “untrice” che per la sua missione e per questo si attrezza più del dovuto.
Il presidente Cei Bassetti era riuscito a non obbligare i parroci a provare la febbre ai fedeli, ma dalle parti di Reggio Emilia, tanto per essere più realisti del re, hanno deciso che tutti i fedeli dovranno sottoporsi alla misurazione della temperatura tramite termo scanner – già opportunamente acquistato e dato in dono a tutti i parroci -. Esagerati? Può darsi, ma nel testo riservato ai parroci e che la Nuova BQ ha potuto leggere il vicario è stato molto sincero: «E’ opportuno valutare con la massima attenzione questo rischio in quanto potrebbe costituire un elemento pretestuoso per accusare la Chiesa cattolica di essere motivo di diffusione del contagio».
PIU’ MESSE? MEGLIO DI NO
L’essere più realisti del re si ritrova anche nell’applicazione del consiglio ministeriale-episcopale di aumentare le Messe per distribuire al meglio tutta la popolazione fedele. È questa la misura probabilmente più saggia che si sarebbe potuta mettere in campo fin da subito per diluire i fedeli nello spazio e nel tempo della domenica. Bene, dopo essere passata anche dall’ok del comitato tecnico scientifico, la possibilità di aumentare le Messe è ancora un problema. Il vescovo di Imperia ha categoricamente – diciamo imperiosamente – sentenziato: «Non incoraggio assolutamente la moltiplicazione del numero delle Sante Messe». Ma quella di “risparmiare” sulle Messe deve essere una costante ligure, del resto buon sangue non mente. Infatti, anche a Spezia non sarà facile ottenere più celebrazioni e andare così incontro in maniera più razionale alle esigenze spirituali dei fedeli: «Fate il possibile per non aumentare le messe» è il succo del documento episcopale. “Paganini non ripete” dicono a Mantova, dove «nel caso in cui i posti disponibili in chiesa non siano sufficienti, si eviti di aumentare il numero delle Messe, e si valuti piuttosto la possibilità di recuperare posti all’esterno predisponendo adeguata amplificazione e sedie per i fedeli». Insomma: basta con le repliche.
GUANTI E SACRILEGI
Pochissime le diocesi che raccomandano al celebrante la purificazione finale dei guanti, rituale obbligatorio da Messale al termine della Comunione per togliere dalle mani eventuali residui di particola. A Venezia non si sono accorti del sacrilegio, ma il protocollo dice espressamente al prete di togliersi guanti e mascherina e gettarli. «Poi proceda a purificare il calice more solito», segno che evidentemente dei residui di Ostia santa sul guanto non ci si deve preoccupare più di tanto. La preoccupazione della purificazione non c’è neanche a Cuneo dove il vescovo addirittura modifica il rituale della purificazione all’offertorio, che diventa una igienizzazione, ma ignora quella finale. Questa dimenticanza sacrilega è presente in moltissime diocesi. A Teramo invece sembrano sapere il fatto loro. I guanti? I preti hanno tre possibilità: bruciarli dopo la celebrazione (e la diossina sviluppata?), dotarsi di una pinzetta oppure sciacquare i guanti e versare l’acqua nella terra dopo che la eventuale materia dell’Eucaristia si sarà consumata. Ok, ma dove?
BEATO CLORO E SANT’AMUCHINA
Tutti i documenti sono pervasi di igienismo pessimista cosmico. Sembra che anche i gesti più comuni possano essere fonte di contagio. Ci sono diocesi che hanno proibito l’uso dell’incenso. Peccato, proprio adesso che qualche scienziato ha scoperto le sue straordinarie proprietà antisettiche. Ma ci sono anche diocesi, è sempre il caso di Teramo che sconsiglia – siamo nel capitolo sanificazione banchi e ambienti - l’uso di varechina e di prodotti a base di cloro, e l’ammoniaca mentre per i vasi sacri si consiglia di igienizzare con sapone di Marsiglia e acqua. A Sassari invece il catalogo è pronto e il parroco deve diplomarsi in sanificazione grandi ambienti: sul sito della diocesi compare uno schema riassuntivo con tutti i prodotti da usare per igienizzare con le varie specifiche: legno, pietra, marmo, stoffe e tessuti. Qualche consiglio? Usate Chanteclaire, Citrosil, Amuchina, Benzaclor, Clorosan e Alco Sany. E attenzione a guardare la percentuale di principio attivo contenuto. Fino a 0,5% va bene.
IGIENIZZATEVI E MOLTIPLICATEVI
A Mantova l’igiene delle mani è un comando evangelico: i lettori devono igienizzarsi le mani prima e dopo la proclamazione, così da poter girare le pagine del lezionario e regolare il microfono in sicurezza. E a chi pensa che con questa sia stato raggiunto l’apice, ancora non ha visto che cosa accadrà nella Città virgiliana quando ci saranno dei matrimoni: «Gli sposi si igienizzano le mani con il prodotto adeguato e quindi si procede con la manifestazione del consenso, in cui gli sposi si danno la mano destra». E dopo, almeno voi, dateci dentro. Auguri e figli maschi e … puliti.