Distanziamento? L'ideale è la comunione in ginocchio
Il protocollo non esclude affatto la comunione direttamente sulla lingua, che tra l’altro non comporta un maggior rischio di contagio. Ma ormai ha preso piede la fobia biologica che renderà il momento della Comunione macchinoso. Il sacerdote dovrà prepararsi alla distribuzione con una serie di passaggi da sala operatoria. Ma se il problema è garantire il distanziamento, allora la soluzione è questa: il fedele dovrebbe ricevere l’Ostia in ginocchio.
Una delle abilità tipiche del mondo ecclesiastico da almeno mezzo secolo a questa parte è l’arte dell’interpretazione dei documenti. Avvenne così immediatamente dopo il Concilio Vaticano II, quando i documenti, le dichiarazioni, i decreti e le costituzioni della grande assise della Chiesa cominciarono ad essere “interpretati”. Piano piano la lettera dei discorsi cominciò ad essere sostituita dallo “spirito”, e fu così che ebbe inizio il Postconcilio, che arrivò a far credere che facessero parte del patrimonio insegnato autorevolmente dalla Chiesa anche idee, pensieri, opinioni così come scelte operative pastorali che col Concilio autentico non c’entravano nulla.
Ora, molto più in piccolo, quest’arte clericale un po' machiavellica sta manifestandosi anche nell’approccio che da più parti si sta prendendo nei confronti del Protocollo circa la ripresa delle celebrazioni con il popolo firmato il 7 maggio congiuntamente dal Presidente della CEI e dal Presidente del Consiglio. Diversi Vescovi hanno emanato circolari che danno delle proprie interpretazioni e letture del protocollo, andando anche al di là dell’enunciato del documento stesso, stipulato “per la graduale ripresa delle celebrazioni liturgiche con il popolo, avendo per oggetto le necessarie misure di sicurezza, cui ottemperare con cura, nel rispetto della normativa sanitaria”. In realtà una “normativa sanitaria” relativa a questa epidemia non c’è: sappiamo purtroppo bene che non sono mai state date direttive normative precise in merito, come a titolo di esempio sulla la ricerca e all’isolamento dei positivi al Covd-19.
L’unica normativa che caratterizza questa epidemia non è di tipo sanitario, ma di ordine pubblico, con chiusure di attività e limitazioni alle varie libertà, tra cui quella di culto. Limitazioni, come sappiamo bene, giustificate dalla finalità di limitare la diffusione del contagio.
L’atteggiamento che diversi Vescovi hanno assunto nelle loro circolari interpretative è quello di chi vuole essere più realista del Re, e più igienista degli igienisti. Ad esempio, là dove il protocollo dice che “non è opportuno” che ci siano in chiesa libretti per i canti (in assenza degli stessi cori), diversi pastori hanno deciso di fare piazza pulita anche dei foglietti per la Messa e dei notiziari parrocchiali. Insomma, banchi vuoti per impedire che il Covid possa annidarsi nella carta. Qualcuno ha ipotizzato che possano esserci sì dei sussidi cartacei per la celebrazione, ma che debbano essere portati via dai fedeli al termine della funzione.
Quelli che resteranno inavvertitamente lasciati su sedie e banchi, oppure “avanzati” perché non utilizzati, verranno distrutti in quanto potenzialmente infetti. In queste indicazioni traspare una paura quasi paranoica del contagio. Il virus viene visto nascondersi in ogni anfratto della chiesa. Secondo questa logica, i supermercati dovremmo eliminare e distruggere ogni carrello usato dai clienti, a meno che il cliente stesso se lo porti a casa. Una soluzione più semplice e anche più saggia potrebbe essere che ogni fedele (o ogni famiglia) si doti di un proprio messale sul quale seguire la Messa. Una misura ottimale dal punto di vista sanitario ma anche educativa: i fedeli potrebbero seguire meglio la liturgia, ma anche prepararsi adeguatamente al rito già a casa, o utilizzarlo insieme a chi a Messa non può venire.
C’è chi poi addirittura - come il vescovo di Mondovì monsignor Miragoli - ha bocciato motu proprio a riapertura decisa per il giorno 18. Il presule neo-epidemiologo vuole valutare ulteriori dati di contagi e poi ha sottolineato che per motivi organizzativi è necessario qualche giorno in più per organizzare le chiese. E’ stato possibile realizzare dei reparti Covid in pochi giorni negli ospedali, ma per spostare qualche panca e comprare i dispencer evidentemente è necessario molto più tempo.
Un altro ambito dove la fobia per il virus ha assunto livelli parossistici è quella della distribuzione della Comunione, e anche qui lo “spirito del protocollo” sta portando a forzature, in varie circolari esplicative, come l’obbligo di ricevere la Comunione solo sulle mani. Il protocollo non esclude affatto la comunione direttamente sulla lingua, che tra l’altro non comporta un maggior rischio di contagio. Quello che il protocollo prescrive è che il sacerdote distribuirà l’Eucaristia “avendo cura di non venire a contatto con le mani dei fedeli”, presumibilmente “sganciandola” a pochi centimetri dalle mani protese del fedele.
La fobia biologica ha peraltro reso il momento della Comunione estremamente macchinoso: il sacerdote dovrà prepararsi alla distribuzione della Comunione con una serie di passaggi da sala operatoria: indosserà la mascherina, disinfetterà le mani, calzerà guanti in lattice sulle mani disinfettate.
Secondo alcune interpetazioni, il fedele (che porta la mascherina) non dovrebbe nemmeno comunicarsi di fronte al sacerdote (pure mascherato), ma per ragioni sempre di sicurezza, si sposta di lato, porta la particola alla bocca (con la sua mano potenzialmente ricolma di microbi) e se ne va. I pur scrupolosissimi e preoccupatissimi operatori pastorali che hanno elaborato questa tecnica per la Comunione, hanno trascurato una possibilità che dal punto di vista meramente igienico-pastorale è senz’altro in grado di offrire maggiore sicurezza, e noi ci permettiamo di suggerirla.
Il fedele potrebbe (o meglio ancora dovrebbe) ricevere l’ostia in ginocchio. In tal modo, le sue vie respiratorie e quelle del sacerdote si troverebbero non di fronte, ma poste ad una distanza di tutta sicurezza. Inoltre, l’operazione di “sgancio” della particola sulle mani avverrebbe con più facilità e minori rischi di possibili cadute per terra del Corpo di Cristo. Infine, il fedele potrebbe ricevere l’ostia non sulle nude mani, ma magari su un fazzoletto pulito, e magari la fantasia creativa della fede potrebbe dare vita a fazzolettini “liturgici”. En passant, questo modo accurato di accostarsi alla comunione, insieme all’atto di inginocchiarsi, avrebbe una grande valenza pedagogica per i fedeli, aumentando la devozione con cui accostarsi a questo Sacramento.