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fine vita

Quanti danni fanno i cattolici della riduzione del danno

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Ogni volta che si pone un grave problema legislativo su un rilevante tema etico ove sia in ballo qualche principio non negoziabile emerge sempre qualcuno che propone una riduzione del danno. I cattolici fanno una gran fatica ad imparare dal passato: i paletti cadranno uno dopo l'altro. 

Editoriali 15_07_2025

L’intervento di Domenico Menorello sul tema del suicidio assistito, in polemica con la posizione espressa dalla Bussola tramite un articolo di Tommaso Scandroglio, viene ospitato da Il Timone - come si legge nella introduzione del direttore -, data l’importanza del tema e per favorire il dialogo e il confronto. Al dialogo e al confronto nemmeno noi ci sottraiamo, ma non senza osservare che ancora una volta la cosa dimostra la divisione tra i cattolici. Siccome ciò è avvenuto sistematicamente in passato, a cominciare dalla legge sul divorzio, ne deriva che dialogo e confronto sono serviti a ben poco.

Sconforta prevedere che servirà a poco anche questa volta. Anche perché quelle poche volte che ci sembrava di aver trovato un’unità, come al Circo Massimo nel caso del Family Day (12 maggio 2007), si è poi dovuto constatare che le idee di chi era sul palco non collimavano proprio in tutto, come allora sembrava. E pensare che allora la nostra “unità” aveva alle spalle un documento dei vescovi – quello contro le coppie di fatto – molto preciso e deciso, cosa non più ripetutasi in seguito e men che meno oggi, quando da via della Conciliazione arriva solo l’invito al dialogo, appunto.

Ogni volta che si pone un grave problema legislativo e politico su un rilevante tema etico ove sia in ballo qualche principio non negoziabile emerge sempre qualcuno che propone interventi di riduzione del danno. Anche in questo caso è così. Lascio agli esperti chiarire perché il disegno di legge governativo introduca la liceità dell’aiuto al suicidio, dopo che la Corte costituzionale ne ha introdotto la depenalizzazione in quattro casi.

Sottolineo solo che i cattolici fanno una gran fatica ad imparare dal passato e ancora oggi si aggrappano ai primi articoli del disegno di legge nei quali si condanna il suicidio assistito. Ma anche la 194 sull’aborto dice nei suoi primi articoli che la vita va tutelata in modo assoluto. Avere insistito su questa illusione ottica ha prodotto due risultati: ha finito per convertire anche la gerarchia ecclesiastica sulla bontà della legge e ha contribuito ad accettare di fatto la eliminazione di alcuni paletti che la legge prevedeva, sicché ci si è appiattiti sulla necessità di applicarla bene. Con la fine di ogni seria contestazione. Lo stesso capita oggi con il suicidio assistito.

Anche Massimo Gandolfini ha sostenuto – a ragione – che se verrà approvata questa legge, tutti i paletti da essa posti verranno travolti uno dopo l’altro. Tutte le leggi contro la vita e la famiglia, dalla Loris-Fortuna sul divorzio in Italia, alla “loi Veil” sull’aborto in Francia, erano ricche di paletti … ma poi si è arrivati all’aborto generalizzato e immotivato e alle unioni civili anche tra omosessuali. Tutti sanno che la legge è sempre più di un testo scritto e la sua influenza sulla vita civile e politica è più ampia del solo livello giuridico. Su questo abbiamo alle spalle una lunga storia, da cui non abbiamo imparato niente.

Oltre a questo, c’è forse anche una spiegazione più ampia del puntuale arrivo, in casi di questo tipo, dei volonterosi che intendono perseguire il male minore o ridurre i danni di una legge ingiusta, però approvandola. Mi riferisco alla carenza di una visione complessiva della società che dovrebbe essere loro fornita dalla Dottrina sociale della Chiesa. Senza questo si finisce per concentrarsi sul tema circoscritto per trovare delle soluzioni specifiche, perdendo però di vista il quadro generale dei principi in gioco e le influenze reciproche dei vari criteri di giudizio.

Per esempio, si assume senza critica quanto stabilito dalla Corte costituzionale, ossia la depenalizzazione dell’aiuto al suicidio in certi casi, e da lì si parte, mentre la Dottrina sociale della Chiesa fornisce principi sulla legge e sulle istituzioni che richiederebbero altri atteggiamenti, molto più critici e liberi da indebiti ossequi. Non è scritto da nessuna parte che, dopo la sentenza della Consulta, il Parlamento sia obbligato a legiferare sul punto.

Le esigenze della Dottrina sociale, infatti, direbbero piuttosto di non farlo, e quando si tratta di principi non negoziabili, l’appello della gerarchia ecclesiastica al dialogo sempre e comunque non giustifica una posizione condiscendente dei polititi cattolici. Per chiarire questi collegamenti è però necessario condividere il quadro sistemico – la Dottrina sociale è un “corpus dottrinale” e non solo una applicazione della prudenza in situazione – della dottrina sociale cattolica. Il cattolico impegnato in politica, infatti, non è chiamato a “risolvere il caso” ma a costruire la società cristiana che, proprio perché tale, è anche umana.

Infine, c’è un punto ancora più delicato. Certamente il tema del suicidio assistito è a portata anche della sola ragione e del diritto naturale. I cattolici dovrebbero chiedersi però cosa significhi oggi parlare di diritto naturale ad uno Stato che non ne conosce minimamente la nozione. Essi arrivano al dunque, come in questo caso, senza avere alle spalle una azione culturale e prepolitica affinché quel concetto, ed altri con esso, penetri nelle menti. Inoltre, con la scusa che l’argomento è di ordine razionale e naturale, scendono essi stessi solo su questo campo, dimenticando il piano della fede considerato inutile nella società laica. Ma senza il sostegno delle verità di fede, anche quelle di ragione vacillano.

Mentre i cattolici continuano così, gli “altri” gongolano, contenti di vederci dialogare tra noi perché divisi. Se questo disegno di legge, in discussione al Senato dal prossimo 17 luglio, dovesse passare, ciò avverrà, ancora una volta, con l’aiuto dei cattolici. Quelli della riduzione del danno, naturalmente.