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L'ALTRA GUERRA

A Gaza si muore di fame, alta tensione in Cisgiordania

Un'altra strage a Gaza tra la popolazione alla caccia di aiuti alimentari, Israele e Hamas si rimpallano la responsabilità. In Cisgiordania spadroneggiano i coloni ultraortodossi mentre Netanyahu è contestato anche in casa.

Esteri 18_03_2024
Bombardamento su Gaza (LaPresse)

Ancora una strage. Questa volta sono state lanciate bombe sulle scorte alimentari conservate nei magazzini dell’Unrwa e sparato su quanti si arrampicavano sui camion degli aiuti. A Gaza, ormai, non si muore soltanto per le incursioni dell'aviazione israeliana o per i mortai dell'artiglieria, si muore anche di fame. Ma non solo. L'esercito israeliano ha reso pubblico un video, nel quale si vedono dei palestinesi che sparano contro propri connazionali, ma Hamas nega e accusa l'esercito israeliano. L'unica certezza è che c'è stata una nuova strage di vittime innocenti: 21 morti e 155 feriti, molti dei quali in gravissime condizioni.
Si tratta della stessa zona, alla periferia di Gaza City, che lo scorso 29 febbraio, fu teatro di un massacro dove persero la vita 114 persone. Uomini, donne e bambini che si erano ammassati alla rotonda Kuwait per ritirare farina, riso e acqua. Ma nel loro rifugio, non avendo più una casa perché rasa al suolo, non hanno più fatto ritorno.

Gente disperata e ridotta alla fame, ormai al limite del collasso. Gli abitanti di Gaza non hanno più di che nutrirsi. C'è un video che circola su Telegram, dove si vede un bambino arrampicato su un palo dell’elettricità, con un piatto di plastica in mano, e che supplica i soldati israeliani di consegnargli un po' di cibo. Le forze gli vengono a mancare e il piccolo cade a terra, tenendo stretto nella mano quel piatto vuoto.

Nella Striscia, i bambini sotto i due anni soffrono di malnutrizione, flagello che si sta diffondendo rapidamente in tutta Gaza. I pochi medici, che sono ancora operativi, parlano di carestia: mancanza di cibo, di acqua potabile e medicinali. A denunciare questa "strage degli innocenti" è l'Unicef, attraverso un post su X. La fame come una micidiale arma da guerra. Era questo un metodo utilizzato durante la Seconda guerra mondiale, ma che sembra oggi impiegato, come strategia, dal governo del primo ministro Benjamin Netanyahu. Strategia interdetta dalla Convenzione di Ginevra. Anche pescare, unica risorsa per il sostentamento, è impossibile, perché Israele ha preso il controllo delle coste. Da mesi le organizzazioni umanitarie impegnate negli aiuti nella Striscia accusano Israele di limitare la distribuzione, mentre il governo israeliano sostiene che, se gli aiuti non giungono alla popolazione, la colpa è principalmente di Hamas che si appropria dei viveri. Accuse reciproche, come da copione di guerra.
Secondo il ministero della Sanità di Gaza, il totale dei morti in cinque mesi di guerra nella Striscia di Gaza sale a 31.645. Mentre sono 73.676 le persone ferite dall'inizio del conflitto dopo l'attacco dei miliziani di Hamas contro Israele dello scorso 7 ottobre.

Anche nel nord della Striscia la situazione è al collasso. Nader Jerada, 33 anni, padre di sei figli, prima della guerra poteva contare su un modesto lavoro, che comunque gli permetteva di mantenere la famiglia. Ora, dice: «Sono disperato. Non so come fare. Mangiamo grano crudo e mangime per gli uccelli. Ma al mercato il becchime inizia a scarseggiare. Un chilo costa 35 shekel (circa 8 euro). Come posso procurarmi i soldi necessari?».

E in Cisgiordania la situazione diventa, giorno dopo giorno, sempre più pesante. Ad Hebron, un uomo armato è stato ucciso dai soldati israeliani dopo aver aperto il fuoco contro un insediamento ebraico. Per ritorsione, le forze di sicurezza hanno fatto chiudere tutti i negozi di Hebron, compresi quelli di generi alimentari. Gli abitanti della Palestina, anche se formalmente non sono in guerra, di fatto vivono nel bel mezzo di ostilità e conflitti. Una guerra nascosta. Ad agire indisturbati sono i coloni ultraortodossi.
È il caso di Battir, un villaggio ad ovest di Betlemme, un sobborgo abitato da contadini e pastori. Lo scorso mese, un gruppo di coloni, giunto nell'area, ha iniziato a costruire un nuovo avamposto. Piccole baracche per la custodia del bestiame. Ma quella terra è di proprietà di una famiglia palestinese, e soprattutto si trova in territorio cisgiordano. Ora, imbracciando le armi, i coloni minacciano i pastori di Battir impedendo loro di entrare nelle legittime proprietà. «I coloni indossano uniformi militari e si muovono sotto la protezione dell'esercito», ha dichiarato Ibrahim Chassan. Aggiungendo: «Nessuno ci difende. Ormai è chiaro che gli israeliani vogliono anche questa terra. La costruzione di nuovi insediamenti non autorizzati è vietata anche dalle leggi dello Stato ebraico. Tuttavia, l’esercito protegge i coloni e il governo autorizza gli allacciamenti alla rete elettrica e idrica. A noi palestinesi, invece, per ottenere le autorizzazioni ci vogliono mesi, se non addirittura anni».

Nel distretto di Betlemme, Israele ha chiuso due dei cinque valichi per la circolazione dei palestinesi e ha ridotto gli orari di apertura di tre dei cinque posti di blocco. Ha sbarrato i passaggi di alcuni villaggi, con enormi cumuli di terra, blocchi di cemento e l’installazione di cancelli. Queste restrizioni, che danneggiano decine di migliaia di persone, costituiscono una vera e propria punizione collettiva.

Il primo ministro Netanyahu, dopo aver esaminato i piani per l'invasione di Rafah, nel sud di Gaza, assieme agli altri componenti del Gabinetto di guerra, ha dato il via libera all'operazione di terra. Contemporaneamente ha approvato che una delegazione israeliana, guidata dal capo del Mossad, David Barnea, si recasse a Doha per la ripresa dei negoziati con Hamas. In discussione l'ultima proposta fatta da Hamas per uno scambio degli ostaggi.

Ma Netanyahu è sotto accusa anche dagli israeliani. Lo scorso sabato si sono svolte numerose manifestazioni di protesta in molte città israeliane. A Cesarea, davanti all'abitazione del primo ministro, quattro manifestanti sono stati tratti in arresto; a Tel Aviv la polizia ha sparato con gli idranti contro i contestatori che bloccavano l'autostrada Ayalon, e a Gerusalemme i dimostranti sono riusciti a bloccare momentaneamente l'incrocio del centro città. Ad Haifa, invece, Yuri Golon, maggiore generale della riserva ed ex componente della Knesset, considerato l'uomo guida della sinistra, ha rivolto pesanti accuse all'attuale governo, sollecitando le dimissioni dei ministri e reclamando nuove elezioni.



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