A chi serve l'emergenza infinita? Non alla salute
Tutto come previsto: emergenza prorogata. Fino alla fine di marzo 2022. Anche se i dati epidemiologici non giustificano affatto questa ennesima forzatura. E allora perché? Per motivi politici: blindare la legislatura fino a dopo l'elezione del prossimo Presidente, vincolare Draghi al governo. E intanto nel Paese la crisi si approfondisce.
Tutto come previsto. Con l’aria che tirava lo si poteva immaginare già mesi fa, a prescindere dall’andamento della curva epidemiologica. Ieri il Consiglio dei ministri ha deciso di prorogare fino al 31 marzo lo stato d’emergenza. Per farlo ha approvato un decreto legge, che dovrà essere convertito dal Parlamento entro 60 giorni. Un modo per coinvolgere, almeno formalmente, le due Camere, che durante la pandemia non hanno praticamente toccato palla, venendo sistematicamente bypassate dal potere esecutivo.
Va ricordato che lo stato di emergenza è regolato dalla legge n.225 del 1992, che ha istituito il Dipartimento nazionale della Protezione Civile. Nel 2018 quella legge è stata aggiornata da un decreto legislativo in cui si dice che questo strumento non può superare i 12 mesi ed è prorogabile per non più di altri 12 mesi. L’ultima proroga scadrà il 31 dicembre 2021, ma la possibilità di prorogarlo finirà il 31 gennaio del 2022. Per prorogare fino a dopo l’inverno, occorreva, quindi, un atto avente forza di legge, un decreto che richiederà, in Parlamento, un largo consenso politico.
Che cosa cambia con questa scelta, che è tutta politica, visto che la situazione epidemiologica è ben diversa da quella di un anno fa? Con la proroga dello stato d’emergenza, il Premier Mario Draghi conserva la facoltà di dettare misure di contenimento tramite decreti del presidente del Consiglio (dpcm), che non devono ricevere l’approvazione parlamentare. Il governo precedente ha fortemente utilizzato i dpcm, mentre l’attuale esecutivo sembra averli un po’ accantonati. Grazie alla proroga dello stato d’emergenza, restano in funzione, inoltre, tutti gli organi speciali istituiti per far fronte alla pandemia: la Cabina di regia tra Governo, Istituto superiore di sanità e Regioni, il Commissario straordinario all’emergenza e il Comitato tecnico-scientifico.
Ministeri, Regioni e Protezione Civile possono firmare ordinanze (per esempio il Ministro della Salute può continuare a stabilire con proprie ordinanze il passaggio da un colore all’altro delle Regioni) in deroga alle disposizioni di legge. Anche il Green pass, l'obbligo di mascherine e il distanziamento sociale trovano strada più agevole se resta in vigore lo stato d’emergenza, che consente altresì di imporre eventuali altri lockdown.
I risvolti politici della decisione presa ieri dal Consiglio dei ministri sono molteplici. Anzitutto, come detto, la proroga dello stato d’emergenza consente all’esecutivo di accentrare su di sé tutte le decisioni in materia di Covid. In secondo luogo allunga la vita alla legislatura, perché almeno fino a marzo (ma a questo punto non si possono escludere altre proroghe) il corso degli eventi istituzionali sarà inesorabilmente segnato dall’allarme sanitario e ogni ulteriore criticità passerà in secondo piano, come accaduto da marzo 2020 in poi. Superfluo dire che, qualora non ci fosse stata la pandemia, saremmo già in un’altra legislatura, perché quella attuale si sarebbe rapidamente esaurita a causa del caos politico e dello sbriciolamento del dominante esercito grillino.
Ma c’è un’altra conseguenza tutt’altro che banale di questo decreto legge di proroga dello stato d’emergenza: il tramonto di ogni sogno quirinalizio dell’attuale premier. Che senso avrebbe far traslocare sul Colle un premier con poteri eccezionali, chiamato a fronteggiare l’ennesima ondata della pandemia? Se ciò accadesse, non lo si potrebbe accusare di abbandonare la nave che affonda? I più maliziosi, però, pensano il contrario. Forse un Draghi al Quirinale come garante dei rapporti internazionali in una fase così difficile potrebbe più facilmente imporre come suo successore a Palazzo Chigi un suo fedelissimo, il Ministro dell’Economia, Daniele Franco, proprio sfruttando l’onda lunga dell’emergenza e puntando a congelare le conflittualità tra le forze politiche in nome dell’esigenza di completare i progetti del Pnrr e di far ripartire il Paese dopo l’auspicabile fine della pandemia. Questa prospettiva, peraltro, non dispiacerebbe affatto ai peones, cioè quei parlamentari, soprattutto grillini, che temono la fine anticipata della legislatura e sono abbarbicati con le unghie e con i denti allo scranno parlamentare.
In questo caso, per la prima volta, anche il fronte dei virologi si spacca sul tema proroga dello stato d’emergenza. «Ritengo che in questo momento non ci siano le condizioni sanitarie per uno stato di emergenza. Prolungarlo o meno oltre il 31 dicembre ovviamente è una decisione politica. Ma dal punto di vista sanitario, ripeto, non c'è emergenza e questo è un parere condiviso anche da altri colleghi», dichiara convinta Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell'ospedale Sacco di Milano. «Oggi - osserva l'esperta - abbiamo imparato a gestire la pandemia di Covid-19, abbiamo vaccini efficaci e stiamo per avere ottime terapie. Quindi non c'è un'emergenza, ma c'è la necessità di una buona continua gestione. Questo, lo ribadisco, parlando dal punto di vista sanitario».
Profondamente contraria alla proroga dello stato d’emergenza Giorgia Meloni, che attacca nuovamente il governo: «Non sono d'accordo con la proroga dello stato di emergenza: se dura più di due anni è un controsenso logico e linguistico. Credo - prosegue - che il governo oggi debba riuscire a combattere l'epidemia ripristinando i diritti. Comincia a crearsi un problema per la democrazia. Gli unici a difendere la Costituzione siamo rimasti noi di Fratelli d’Italia».
La politica italiana, dunque, appare ormai prigioniera della schiavitù dell’emergenza e dimostra di non saper o di non voler convivere con il virus. Anzi, seguita a lanciare segnali allarmistici agli italiani e agli altri Stati, destinati a produrre un nuovo freno ad attività produttive e commerciali. Il nostro Paese sembra un cane che si morde la coda e non riesce ad uscire da questo meccanismo perverso: fine emergenza mai, ma a questo punto con precise finalità politiche e con dubbia utilità sul piano sanitario.